Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.
Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!
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E siamo a... QUATTROMILA!
Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!
Grazie a tutti!
Sean, 18 giugno 2022
Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!
Grazie a tutti!
Sean, 18 giugno 2022
sabato 2 dicembre 2017
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Avventura
048 - Non smettere di lottare
Negare, da parte sua, un certo diletto in tutto ciò, per la donna guerriero sarebbe equivalso a mentire. E non che ella, nella propria vita, si fosse negata occasione di mentire al prossimo: al contrario. Quanto ella aveva tuttavia sempre, accuratamente, evitato, sarebbe stato mentire a se stessa, laddove alcun pro, alcun genere di vantaggio avrebbe potuto cogliere in una simile scelta. Per tale ragione, quindi, ella non avrebbe mai potuto negare un indubbio piacere nel ritrovarsi coinvolta in quel combattimento, in quella vera e propria battaglia, non a meno di non voler iniziare, alfine, a mentire anche a se stessa.
Sin dalla più tenera età, da quand’ancora più piccola rispetto persino a Tagae o Liagu, ella aveva sempre dimostrato una certa predilezione per l’avventura, per il pericolo, nella forse insensata, forse autolesionistica ricerca per prove da superare, nemici da combattere, tesori da conquistare. In conseguenza a tutto ciò, nel cercare di offrire soddisfazione alla propria brama di avventure, non ancora neppure adolescente, ella aveva abbandonato i pacifici confini della propria isoletta sperduta nei mari del sud, aveva abbandonato la propria famiglia, i propri genitori e la propria gemella Nissa, fuggendo nel cuore della notte, clandestina a bordo di una nave mercantile, alla ricerca di quella vita già allora desiderata: una vita colma di sfide, di battaglie, per riuscire a soddisfare quel desiderio allor infantile, e ciò non di meno mai superato, di essere la protagonista di straordinarie cronache, mirabili canzoni, tali da far sognare chiunque, un giorno, a occhi aperti. In questo, quindi, tanto nei primi anni qual marinaio, quanto nei successivi quando costretta a reinventarsi qual mercenaria, ella non aveva mai smesso di essere un’avventuriera, combattendo per dimostrar di essere l’eroina della propria stessa infanzia, e lottando con tutte le proprie forze, con tutte le proprie energie, con tutta la propria passione, al solo scopo di dimostrarsi, ogni giorno, qual unica artefice del proprio destino, qual sola padrona del proprio fato, a dispetto di qualsiasi intento in senso contrario da parte di uomini, mostri o dei. Un impegno costante, il suo, una precisa presa di posizione, estremamente gravosa e che pur, ella, mai aveva commesso l’errore di vivere come un obbligo, quanto qual una scelta, e una scelta per la quale essere felice, una scelta per la quale votarsi, ogni giorno, a una lotta costante, contro chiunque, contro qualunque cosa: una lotta metaforica, certo, e pur, sovente, corrispondente a un combattimento fisico, a una battaglia reale, concreta, in grazia alla quale, ancora una volta, dimostrare tutta la propria incontestabile, incontrovertibile autodeterminazione.
In tutto questo, quindi, benché allor necessariamente preoccupata per la sorte dei due pargoli a lei affidatisi, la Figlia di Marr’Mahew non avrebbe potuto ovviare a provare un certo entusiasmo nel confronto con la battaglia lì presentatale, divertimento che, chiunque, nel riconoscerlo, non avrebbe potuto ovviare a considerare folle e che tale, anche in quel frangente, ebbe a essere giudicato, da tutti coloro che, con lei, ebbero a confrontarsi. Compresi, allora, i tre che, per un fugace istante, credettero, in buona fede, di aver avuto occasione di supremazia su di lei, nell’averla travolta, letteralmente, con la propria forza e nell’averla rigettata a terra, sotto il peso dei loro stessi corpi…
« Woah… quanta irruenza. » non poté ovviare a commentare ella, sorpresa, e sorpresa in positivo, nel ritrovarsi, allora, così apparentemente in trappola, bloccata in grazia alla collaborazione di ben tre uomini, di cui uno dotato di arti artificiali, per riuscire a sopraffarla, ad arginarne l’incontenibile forza, dal loro punto di vista non poi così dissimile da quella di un fiume in piena « Immagino che voi tre non abbiate sovente a che fare con il gentil sesso, altrimenti non sareste così eccitati all’idea di potervi confrontare con me… » suggerì con tono volutamente malizioso, a prendersi giuoco dei propri tre antagonisti, in quella che, tuttavia, non avrebbe avuto a dover essere confusa qual mero e folle chiacchiericcio, quanto una già ampliamente collaudata opportunità di rovesciare le sorti di un confronto apparentemente sfavorevole nel vincere il proprio avversario, o i propri avversari, sul piano psicologico prima ancora che su quello fisico.
Nel potersi attendere, infatti, qualunque genere di reazione da parte della loro comune antagonista, nonché preda, fra tentativi di ribellione, gesti d’offesa, insulti o, persino, eventualmente pianti e lamentose suppliche volte a riservarsi occasione di pietà, ma non, certamente, la quieta serenità da lei allor dimostrata, da lei in tal maniera palesata, e palesata in una completa distensione della propria muscolatura e in parole così inappropriate in un contesto qual quello nel quale ella avrebbe avuto a doversi riconoscere, nella trappola entro la quale avrebbe avuto obiettivamente a doversi considerare essere caduta; i tre uomini in nero non poterono ovviare a esitare, e a esitare nell’incertezza di star ignorando un qualche dettaglio così palese, così evidente, forse e addirittura banale, tale per cui la loro apparente vittoria avrebbe avuto a doversi ritenere una sconfitta. Esitazione, la loro, forse sorta per un fugace battito di ciglia, per un effimero istante, e pur già sufficiente, già adeguata, a garantire alla loro antagonista quell’utile finestra temporale, uno spiraglio invero, ad agire, e ad agire al fine non soltanto di liberarsi, ma anche, e ancor più incredibilmente, di rivoltare completamente la situazione a proprio esclusivo vantaggio.
Benché, infatti, ipoteticamente bloccata nelle proprie braccia, e nella parte superiore del proprio busto, dalla presenza di quei tre uomini, ben concentrati sul non concedere la benché minima opportunità di movimento ai suoi arti superiori; Midda Bontor avrebbe avuto a doversi, ancora e pericolosamente, considerare libera nel movimento dei proprie arti inferiori e della propria testa, in quello che, allora, avrebbe avuto a doversi ritenere il terzo e ultimo errore imperdonabile di quei tre uomini, dopo l’essersi concessi quel momento di esitazione e, primo fra tutti, aver veramente ipotizzato di poterla battere. Verso i due uomini dotati di braccia umane, e intente a bloccarle le spalle e il braccio mancino, ella ebbe allora a rivolgersi nell’immediato, volgendo al primo una violenta testata dritta sul suo setto nasale, con foga sufficiente non solo da infrangerlo ma, addirittura, da proiettare all’indietro il proprietario dello stesso, nel mentre in cui un abbondante flusso di sangue ebbe a esplodere dal suo naso infranto e a riversarsi, copioso, dritto su di lei, sul suo viso, sul suo corpo, non dissimile da un’oscena benedizione a lei rivolta dalla stessa dea della guerra, Marr’Mahew, a riconoscere, a consacrare, in ciò, la sua figlia prediletta; e destinando al secondo, altresì, una spiacevolissima ginocchiata dritta nelle proprie parti più intime, in un effetto forse meno plateale rispetto all’aggressione destinata al suo compare ma, non per questo, più piacevole, nel bloccargli, al contrario, ogni possibilità di respiro o di pensiero e nel costringerlo, in tal maniera, a liberare la presa sul suo braccio. Riconquistato, in tal maniera, il proprio braccio, fu un istante, e nulla più, quello necessario alla stessa per ribellarsi nella direzione del terzo uomo, di colui che le stava ancorando il destro a terra, e nel tentare di conficcare, dritta nel suo collo, una nuova corta lama, della quale ebbe, allora, opportunità di impossessarsi all’interno del proprio equipaggiamento. Solo un tentativo, tuttavia, fu il suo, giacché, dimostrando egli maggiore reattività rispetto ai propri compagni, e rispetto a essi aiutato, in tal senso, dall’essere stato triste testimone di quanto appena accaduto, questi ebbe allora ad arginare l’offensiva a lui rivolta liberando il braccio destro di lei dal proprio, solo allo scopo di sollevare questo a bloccare la lama a lui destinata e l’arto che, allora, la stava guidando.
« Complimenti… » riconobbe la donna dagli occhi color ghiaccio, sorridendogli con una certa soddisfazione « … buono. Ma non ancora ottimo. » ebbe tuttavia poi a precisare, sancendo, in tal maniera, quanto comunque inutile avrebbe avuto a doversi considerare tutto ciò.
Libera, infatti, dal peso degli altri due uomini, uno accartocciato al suo fianco, l’altro precipitato più in basso, a tentare di scendere a patti con il dolore proveniente dal proprio naso rotto, ella non ebbe alcuna inibizione fisica a potersi lasciar roteare, allora, sotto il proprio ultimo antagonista, per andare ad abbracciare, con le proprie gambe, il suo stesso arto lì sollevato a ricacciare l’offensiva destinatale, solo per poi, con un deciso colpo di reni, tornare a ridistendersi, e catapultare, in ciò, il corpo del proprio antagonista a terra, lì sospinto da quelle stesse gambe, delle quali il polpaccio sinistro ebbe, allora, a premere con forza sul collo dell’uomo, nel mentre in cui, per supportarlo, il piede destro ebbe a intrecciarsi all’altro, premendo a sua volta con forza e con forza lì intrappolandolo.
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