11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

venerdì 13 agosto 2021

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Ritrovandosi seduti attorno a un caldo fuoco, al centro dell’amplia tenda di forma conica costituita da diversi strati di pelli adagiate su alti pali di legno, abitazione trasparente della natura nomade di quella comunità raramente geograficamente sita nello stesso punto per più di qualche settimana, M’Eu e Be’Wahr ebbero a riacquistare consapevolezza nel merito dell’esistenza dei propri arti e, ancor più, delle proprie estremità, e di quelle estremità che troppo a lungo avevano patito per il freddo loro imposto da quei giorni di viaggio fra le nevi delle cime dei monti Rou’Farth.
Non che la loro spedizione fosse partita in maniera disorganizzata: semplicemente era da un po’ di tempo che entrambi non si ritrovavano ad affrontare simili quote e, soprattutto, un simile gelo, in termini tali per cui, quindi, tutto ciò non aveva potuto che lasciarli decisamente intirizziti, per non dire quasi assiderati. Ragione per la quale, quindi, poter godere del caldo microclima interno a quella tenda e, soprattutto, di due tazze di calde tisane, non avrebbero potuto mancare di considerare già ripagato il loro viaggio sino a lì, a prescindere dall’esito che esso avrebbe mai potuto riservarsi. Esito che, comunque, non avrebbe avuto ormai a doversi fraintendere così negativo come inizialmente temuto a confronto con le parole di Ma’Vret...

« Sono consapevole di non aver avuto mai occasione di adeguato confronto con Midda, da dopo... quegli eventi. » spiegò ella, con un sorriso lievemente tirato a evidenza di quanto ciò che il suo compagno aveva dichiarato non avesse a doversi fraintendere del tutto privo di fondamento, proponendosi ella ancor distante da un completo superamento del proprio trauma, e del trauma del quale, involontariamente, la stessa Figlia di Marr’Mahew era stata indubbiamente corresponsabile « E pur non dimenticando quanto ella mi abbia prima tradita e poi abbandonata, non posso neppure ovviare a considerare quanto, in fondo, ella si sia anche impegnata sinceramente nel tentativo di essermi amica... e di difendermi da quanto di più negativo avrebbe potuto occorrermi. » proseguì, bagnandosi poi le labbra con un piccolo sorso di tisana, a concedersi una lieve pausa di riflessione a meglio discriminare le parole da impiegare in quel proprio discorso « Il solo, reale responsabile per quanto di male accadutomi è Desmair. E da Desmair, Midda ha solo cercato in ogni modo di proteggere tanto me quanto Nass’Hya, arrivando a sacrificare addirittura la propria libertà in quell’empia unione matrimoniale. »

Per Fath’Ma, impegnarsi in quel discorso non avrebbe avuto a doversi fraintendere semplice. Ma, ciò nonostante, avrebbe avuto a doversi riconoscere qual necessario. E necessario al fine di sperare di superare realmente quel trauma, con tutte le questioni in sospeso a esso collegate.
Per troppo tempo, infatti, quella donna si era limitata a individuare in Midda Bontor l’origine di ogni male della propria esistenza, argomentando tale definizione con una semplice relazione di causa-effetto: se ella non si fosse introdotta all’interno dell’harem e della sua vita, e se non avesse agito al fine di condurre la principessa Nass’Hya in territorio kofreyota, nulla di quanto poi accaduto avrebbe potuto avere occasione di occorrere. E la sua vita sarebbe potuta proseguire serena, per così come era sempre stata: non una vita perfetta probabilmente, non una vita libera certamente, e pur, malgrado tutto, una vita serena. E che la sua vita passata fosse lontana da ogni idea di perfezione e di libertà, obiettivamente, ormai ella lo aveva compreso e accettato, a confronto con tutti i limiti in passato impostile dal proprio ceto e, soprattutto, dalle leggi patriarcali e misogine a fondamento della società y’shalfica, espressione più pura della quale avrebbe avuto a potersi intendere proprio l’idea stessa dell’harem e di quell’harem che sol aveva la funzione di tradurre bambine asservite ai propri padri in giovinette asservite ai propri mariti, senza che nulla nella propria esistenza potesse avere un ruolo al di fuori dell’obbligata interazione con un uomo.
Ma, alfine, ella aveva compreso quanto colpevolizzare Midda Bontor per tutto ciò avrebbe avuto a equivalere a colpevolizzare la luce del sole a confronto con l’idea del risveglio mattutino: un’assurdità, e un’assurdità necessariamente tale innanzi al pensiero di quanto, se venisse meno il risveglio mattutino, ciò non avrebbe a potersi in alcun modo fraintendere qual qualcosa di buono, a prescindere o meno dal sorgere del sole. Anzi.

« A prescindere da tutto ciò, e da quanto razionalmente tutto ciò mi sia estremamente chiaro, non sono ancora certa di riuscire a perdonare Midda, tornando a rapportarmi con lei come un tempo, là dove, in fondo, sovente la mente e il cuore non hanno a percorrere le medesime vie... » sottolineò, quasi a levare, metaforicamente, le mani innanzi a sé, nel tentativo di delineare un certo, invalicabile confine ancor esistente nel confronto psicologico con quella figura dal ruolo troppo complesso nella propria vita « Ma non per questo si deve pensare che io possa augurare nulla di meno di tutto il bene possibile a lei. In termini tali per cui non le negherei mai tutto l’aiuto possibile. »

A confronto con tale discorso, obiettivamente, Ma’Vret non avrebbe potuto che riconoscersi, contemporaneamente, qual felice e qual preoccupato per lei, ritrovandosi il cuore combattuto fra un senso di fierezza  e un altresì meno corroborante senso di ansa. Perché se lieto egli non avrebbe potuto che proporsi all’idea di quanto la sua compagna stesse finalmente ottenendo reali progressi nel proprio non facile percorso di riabilitazione psicologica; dall’altro lato non avrebbe potuto che temere l’eventualità nella quale ella avrebbe avuto a esporsi a nuove e spiacevoli fonti di trauma.
Ciò non di meno, ella non aveva errato nel riproporgli una propria, medesima massima di vita, e una massima di vita a confronto con la quale anch’egli, evidentemente, avrebbe dovuto avere a impegnarsi un po’ di più, al fine di non ritrovarsi a essere a propria volta vittima delle proprie paure, e delle proprie paure, or, aventi per protagonista proprio la sua compagna.  

« Quindi... » esitò Be’Wahr, non volendo arrivare a richiederle direttamente supporto per quella missione e, ciò non di meno, non avendo ancora ben compreso in quali termini avere a interpretare le sue parole.
« Quindi vi fornirò tutte le indicazioni utili per raggiungere la fortezza fra i ghiacci. » confermò ella, esprimendo apertamente il proprio intento collaborativo nei loro riguardi « Per quanto vorrei riuscire a dimenticarmi di tutto ciò, dubito che mi sarà mai offerta occasione di farlo... e non soltanto posso essere in grado di guidarvi con precisione a ritrovare il luogo ove sorgeva la fortezza in questo mondo, prima dell’attacco di Kah. Ma, ancor più, posso fornirvi tutte le indicazioni utili a raggiungere anche l’altra fortezza... quella nella quale Desmair è rimasto intrappolato per tutta la sua vita. »
« Credevo che senza il quadro maledetto non vi potesse essere possibilità di accedere a quella dimensione... » osservò Ma’Vret, colto in sincero contropiede da quell’affermazione dell’amata, e quell’affermazione dal suo punto di vista completamente imprevista e imprevedibile, nel ritenere, evidentemente in maniera erronea e impropria, quanto ormai tutto ciò appartenesse al passato, e a un passato che non avrebbe più potuto avere a fare ritorno.

Il quadro in questione, nel dettaglio, altro non avrebbe avuto a dover essere ricordato se non qual l’unico punto di contatto noto fra quella realtà e l’altra realtà, punto di contatto che, loro malgrado, Midda e le sue due amiche avevano scoperto in occasione del loro primo incontro con Desmair. Un quadro che, tuttavia, avrebbe avuto a dover essere considerato qual distrutto insieme al resto dell’edificio, in conseguenza all’offensiva lì imposta dalla brutale furia del dio Kah.

« Il quadro era solo una delle vie di accesso alla fortezza... la via che abbiamo inconsapevolmente varcato Midda, N’Hya e io la prima volta che siamo entrate entro quei confini. » storse le labbra Fath’Ma, in una smorfia di necessario disappunto a confronto con quel ricordo, e quel ricordo lontano dal potersi considerare piacevole « Ma esistono altre vie di accesso... altre porte. E porte che ho avuto occasione di scoprire negli anni in cui mi sono ritrovata al servizio di Desmair, unica donna vivente in un’intera corte di spettri. »

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