La prima volta che Midda, Nass’Hya e Fath’Ma erano giunte alla fortezza fra i ghiacci, ciò era accaduto per un puro caso e un caso, evidentemente, neppur troppo fortunato.
Poste a confronto con un’inattesa e smisurata struttura, tanto grande da permettere loro di accedere alla stessa passando attraverso la naturale fessura presente lungo l’asse centrale della porta d’ingresso, si erano poi ritrovate catapultate in una realtà decisamente inquietante, quanto, in fondo, non aveva mancato di esserlo nel presentarsi con dimensioni mutate, e inaspettatamente a loro congeniali, di lì a poco. E se le dimensioni smisurate di quella realtà non erano state comprese immediatamente da alcuna fra loro, il raziocinio presente alla base di tutto ciò aveva avuto occasione di manifestarsi di lì ad alcuni anni più tardi, quando, nel corso della battaglia finale fra Kah e Desmair, quest’ultimo aveva alfine avuto occasione di essere liberato dalla propria prigione, e di mostrare tutte le proprie effettive, e colossali, dimensioni, tali da ben giustificare l’intero apparato posto in essere per ospitarlo.
A onor del vero, comunque, la questione delle reali dimensioni di Desmair non aveva mai avuto una qualche occasione di essere poi chiarita, là dove, tanto nelle apparizioni precedenti in carne e ossa, quanto in quelle successive qual proiezione mentale o costrutto all’interno del tempo del sogno, egli si era sempre dimostrato sì imperioso ma mai, necessariamente, tanto monumentale, là dove altrimenti improponibile sarebbe stata una qualunque possibilità di interfacciamento con lui.
La prima volta che Be’Wahr e M’Eu giunsero alla fortezza fra i ghiacci, non per puro caso, ove sospinti da una chiara volontà di raggiungere quel luogo, essi non poterono ovviare a confrontarsi con i resti di quella che era stata la battaglia lì occorsa. E una battaglia che, per quanto già leggenda, apparve immediatamente minimizzata nel proprio effettivo valore nelle parole scelte dai bardi per narrarla, e parole che non avrebbero mai potuto esprimere adeguatamente la verità dei fatti.
Di quello che un tempo era stata la smisurata fortezza fra i ghiacci, allora, restavano soltanto macerie. E macerie costituite da mattoni grandi come interi edifici di quel di Kriarya. Se la minaccia rappresentata dai titani poteva essere apparsa temibile, attorno alle mura dodecagonali di Kriarya, impossibile sarebbe comunque stato ipotizzare che quei pur ciclopici esseri avrebbero mai potuto riservarsi l’occasione di produrre una simile distruzione, così come era quella lì loro presentata e presentata come conseguenza del letale confronto fra un dio e il suo figlio immortale.
L’idea, quindi, che in tutto ciò, che nel mezzo della sfida fra Kah e Desmair, potesse aver realmente trovato un ruolo Midda Bontor, semplice donna mortale, non avrebbe potuto ovviare a rivalutare in diversi termini l’appellativo che, da ciò, era per lei derivato: Ucciditrice di Dei. Perché se pur, nella teoria, tale appellativo avrebbe avuto a potersi considerare persino esagerato; a confronto con l’evidenza della pratica, e di quella pratica, forse sarebbe stato persino poco avere a riferirsi a lei in tali termini.
« Beh... ma aveva dalla sua il sangue di Marr’Mahew, dea della guerra... » tentò di argomentare M’Eu, deglutendo appena a confronto con tutto ciò, nel ritrovarsi a osservare una pietra, un tempo parte di una parete della fortezza, alta quasi come una torre.
Era vero: per avere una possibilità di confronto alla pari con un dio, Midda Bontor aveva ricercato e conquistato il sangue di un vero figlio di Marr’Mahew, dea della guerra alla quale ella era generalmente, e pur impropriamente, associata; sangue in grazia alle virtù del quale aveva ottenuto l’estemporanea possibilità di imporre i propri colpi anche a discapito di un dio, e di un dio altrimenti immortale.
Ma per quanto indispensabile fosse allor stato quell’elemento, il contributo del sangue di Marr’Mahew era servito soltanto a permettere alla donna guerriero di non veder vanificati i propri sforzi nei contrasti di un dio... e nulla di più. Minuscola ella era a confronto con tutto ciò, in misura sufficiente da potersi infilare attraverso la fessura di una porta al pari di una lucertolina; e minuscola ella era rimasta a confronto con tutto ciò anche nella grazia per lei derivante dal sangue di Marr’Mahew...
... e tutto il resto, era stata lei a compierlo. Riuscendo, oltretutto, a sopravvivere.
« Sai... se non conoscessi Midda... e non la conoscessi come una sorella... credo proprio che anche a me potrebbe fare paura... » osservò per tutta replica Be’Wahr, non mistificando le proprie emozioni in quel momento « ... confrontarsi al pari con un dio... e uscirne viva... » deglutì, storcendo appena le labbra verso il basso « ... e all’epoca non aveva ancora ereditato il potere di Anmel... il potere della Portatrice di Luce e dell’Oscura Mietitrice. »
« Che cosa vuoi dire...?! » domandò il figlio di Ebano, temendo di aver compreso e, ciò non di meno, desiderando essere certi di quanto l’amico stesse dicendo « Non starai dando ragione alla Progenie della Fenice, voglio sperare... »
« Non do loro ragione. » scosse il capo il biondo, rifiutando fermamente quell’addebito a proprio discapito, benché fosse consapevole che da parte dell’altro non avesse a dover essere fraintesa alcuna volontà di accusa contro di lui « Però non sono neppure certo di poter essere in grado di riservare loro torto... a confronto con l’idea di tutto quel potere nelle mani di una donna che, in fondo, non conoscono e della quale, in questo, non possono permettersi di fidarsi. »
A muovere i passi di Be’Wahr e di M’Eu verso quel luogo, così come quelli di H’Anel e Duva alla volta del tempio della fenice, o quelli di Nóirín e di Be’Sihl verso il tempo del sogno, e, ancora, quelli di Howe e di Lys’sh verso il sotterraneo nel quale era stata sepolta per secoli, millenni forse, la corona di Anmel Mal Toise e, con essa, era stato lì imprigionato il suo spirito, l’ombra del suo potere, altro non avrebbe avuto a dover essere riconosciuto se non il desiderio di ritrovare Midda Bontor o, nell’infausta eventualità di una sua prematura scomparsa, di vendicarla. E benché, per salvare la sua amica, o per lavare con il sangue la sua morte, egli sarebbe stato disposto quietamente disposto a compiere una strage, massacrando chiunque si fosse frapposto sul suo cammino, a incominciare proprio dalla Progenie della Fenice; tutto ciò non avrebbe avuto a inficiare il fatto che, innanzi alle proporzioni di quella desolazione, estranee a qualunque possibilità di razionale definizione, egli non avrebbe potuto ovviare a comprendere, e forse e persino a giustificare, i timori propri di chi consapevole del potere allor finito nelle mani della donna guerriero.
E di un potere incommensurabilmente maggiore rispetto a quello che ella aveva posseduto all’epoca degli eventi che avevano condotto a quel disastro. Un disastro del quale ella non avrebbe avuto a dover essere considerata l’unica responsabile, ma del quale era stata comunque partecipe e, in fondo, fra i tre contendenti in giuoco, ne era riuscita a uscire qual unica sopravvissuta...
« Andiamo... » incalzò poi lo stesso Be’Wahr, incitando il compagno ad andare oltre « Secondo le indicazioni di Fath’Ma, un secondo ingresso dovrebbe essere un po’ più a nord rispetto a qui. E, allungando un po’ il passo, potremmo riuscire ad arrivarci prima di sera. » sancì, a dimostrazione di quanto, comunque, da parte sua non avesse a dover essere considerata mutata alcuna fra le loro priorità: accedere alla fortezza, accedere all’”altra” fortezza nascosta all’interno di quella fortezza, e, soprattutto, sperare lì di avere a ritrovare Midda Bontor, per poterla riportare a casa.
« Sì. » annuì quindi M’Eu, con un amplio sorriso assolutamente propositivo verso l’amico, riconoscendo in tal modo chiusa ogni parentesi a tal riguardo e ogni parentesi perdere tempo attorno alla quale non avrebbe avuto a condurre loro alcuna utilità di sorta « Sperando di non avere, nel frattempo, a fare altri spiacevoli incontri... » soggiunse, subito pentendosi tuttavia di essersi espresso in quei termini e in quei termini che, da un punto di vista scaramantico, avrebbero potuto portare loro sfortuna.
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