Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.
Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!
Scopri subito le Cronache di Midda!
www.middaschronicles.com
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E siamo a... QUATTROMILA!
Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!
Grazie a tutti!
Sean, 18 giugno 2022
Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!
Grazie a tutti!
Sean, 18 giugno 2022
sabato 11 dicembre 2010
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Avventura
023 - Passato e presente
« Perdona se, forse, il tempismo che dimostrerò in questo momento non si offrirà quale il migliore, soprattutto in un momento qual quello attuale… » riprese pertanto voce verso di lei, incerto fra l'ipotetica necessità di mantenere un tono il più contenuto possibile e l'inutilità intrinseca in un tale sforzo, dove forse questo stesso non avrebbe avuto ragione alcuna di poter essere nella loro già rivelata presenza all'attenzione della loro avversaria in semplice conseguenza alla fattore di turbamento imposto su tanta pace dalla loro banale presenza in un'area similmente abbandonata da ogni forma di fauna « … ma sei davvero partita disarmata da Kriarya, allo scopo di affrontare una chimera?! »
« Sì… e così sarà sino a quando non troverò una spada adatta ai miei scopi, ai miei gusti. » annuì ella, constatando quanto dal proprio punto di vista considerabile addirittura quale ovvietà, per quanto totalmente assurdo e privo di senso nel confronto con la mentalità propria del suo attuale compagno d'arme « Non voglio affermare che voi continentali non sappiate produrre nulla di buono… ma le spade non hanno da considerarsi quali il vostro punto di forza. Credimi. »
Fu in quel preciso frangente, nella conclusione di quelle stesse parole, pronunciate con leggerezza e, ciò nonostante, consapevolezza assoluta, che Midda ed Ebano si ritrovarono a non inatteso, e pur improvviso, confronto con l'oggetto delle ricerche della prima e dei timori del secondo, così come di ogni uomo o donna dotato di una qualche minimale parvenza di senno.
Senza riservare loro occasione di alcun miraggio, senza concedere loro alcuna illusione, così come, al contrario, le leggende, i miti avrebbero necessariamente richiesto da parte sua, quella creatura si dimostrò innanzi allo sguardo di Ma'Vret esattamente nelle forme e nelle proporzioni a essa attribuite dalle ballate, dai canti popolari e, con essi, dalle numerose raffigurazioni che molti artisti si sono prodigati di produrre attorno a simile argomento, a tale idea, mostrando un assurdo intreccio di creature fra loro completamente prive di qualsivoglia fattore comune, di qualsiasi ipotesi di comunione, per quanto, all'interno di quel mostro, similmente riunificate e poste qual unica entità. Al centro della fiera e muscolosa schiena di un corpo da leone, il cui principale capo ancor felino si propose del tutto simile a quello dei possenti animali con cui egli aveva avuto occasione di aver a che fare al nord, nei territori per lui un tempo indicati con termini come "casa" e "patria", non cercava assolutamente di nascondersi, di negarsi, la presenza di una seconda natura, questa volta nelle sembianze di una capra, la cui testa emergeva in quel punto quasi lì fosse stata applicata e non generata, posta in cotale maniera dai capricci di un infante divino che, giuocando con quella bestia al pari di un semplice balocco, si fosse divertito a fondere, in similare modo, due animali fra loro in assoluta contraddizione, qual soli avrebbero potuto essere considerati un leone e una capra, il primo predatore, la seconda preda. A completare un quadro in tal modo già privo di ogni senso, di ogni ragion logica o naturalezza, e pur lì presentato ai suoi occhi così incredibilmente fedele a qualsiasi immagine mentale egli si sarebbe mai potuto riservare a suo riguardo, quasi essa fosse emersa da un arazzo, non mancò poi di attrarre l'attenzione del colosso nero anche la coda di tale creatura mitologica, non semplice estremità felina o caprina, quanto, piuttosto, terza testa, ora di serpente, a sua volta dotata di vita propria, di pensiero indipendente e autonomo, nonostante il fato avverso l'avesse in tal modo asservito a quell'improponibile e confuso mosaico zoologico. Tre nature diverse per una sola belva, poste fra loro in tanta contraddizione da rendere assurdo il pensiero che un tale mostro riuscisse a restare, effettivamente, coeso, e non si spezzasse in maniera spontanea, non si infrangesse per proprio conto, qual apparentemente inevitabile conseguenza di tanta intrinseca diversità e, ancor più, incompatibilità fra le sue stesse forme, fra le sue medesime componenti: un'incredibile e forzata convivenza, la loro, che tuttavia propose allora, in contrasto a quei possibili avversari, a quelle minacce, l'impeto di un'oscena zampogna, una corale assordante che, da tre diverse fauci, eruttò, allora, in loro violenta offesa, chiaro monito nel merito del pericolo da entrambi corso in quel particolare momento, in quella spiacevole situazione da loro stessi tanto assiduamente ricercata.
E se, di fronte a simile avviso, il buon Ebano, già trionfatore di numerosi scontri, sopravvissuto a pur incredibili imprese, si ritrovò, proprio malgrado, privo di controllo sul proprio stesso corpo, nel porsi diviso fra un'ardimentosa volontà volta ad avanzare verso quel nemico e un naturale istinto di conservazione prepotentemente supplicante in favore della fuga da tutto ciò, concedendosi, per questo, semplicemente e rischiosamente immobile, Midda Bontor non si volle riservare la benché minima esitazione, la più semplice occasione di incertezza, scattando in avanti, verso quel mostro, non diversamente da come, negli ultimi giorni, si era spesso impegnata a scattare nella direzione del proprio inatteso alleato, colui con l'aiuto del quale aveva vivacemente animato le proprie serate, impegnandosi in lunghe lotte, sempre più prossime, nella loro dichiarata natura, a un semplice allenamento, che a una concreta sfida mortale.
« Dei… » ebbe appena modo di sussurrare egli, sgranando gli occhi nell'essere spettatore di un simile coraggio, tanto incredibilmente prossimo alla follia.
Impossibile, in effetti, sarebbe stato, in simile situazione, distinguere i limiti propri della più incredibile audacia e della più stolida dissennatezza, là dove, entrambe, sarebbero pur potute essere riconosciute quali caratteristiche della futura Figlia di Marr'Mahew e del proprio impeto in avversione a una minaccia pur meritevole di ogni rispetto, di ogni reverenziale timore, e lì, altresì, trattata al pari di una bestia qual altre, priva di qualsiasi ipotesi di mortale pericolo a proprio possibile discapito. Un comportamento, il suo, che, obiettivamente, come solo la consapevolezza propria di chi, al nostro pari, si impegna ad analizzare a posteriori una realtà ancor prima di viverla personalmente, non può comunque essere considerato qual assurdo nella propria straordinarietà, in quanto proprio di chiunque, al pari della mercenaria dagli occhi di ghiaccio, abbia desiderato, bramato qual propria l'occasione, nella Storia o nel mito, di imporre la propria stessa volontà in contrasto non solo ai capricci del fato, ma, anche, ai voleri degli dei tutti: solo negandosi una certa parte di consapevolezza, di coscienza, infatti, chiunque avrebbe potuto riservarsi l'occasione di affrontare un pericolo di tale entità, una competizione in contrasto alla morte certa come solo sarebbe potuta essere interpretata quella lì loro riservata; ma solo in grazia di un valore fuori dal comune, privo d'eguali, tale rinuncia sarebbe stata possibile, in un atto che, pertanto, soltanto l'esito del medesimo avrebbe saputo giudicare, promuovere qual dimostrazione di un'indole superiore, di un carattere volto al dominare il destino ancor prima dell'esserne dominato, o condannare qual riprova di sfrontata immodestia, propria di chi sì idiota da meritare la tremenda fine a cui, in tal modo, si sarebbe votato.
Nel considerare come, anche a quindici anni di distanza, siamo qui oggi a parlare nel merito di tale questione, a narrare di simile impresa, credo che non solo presumibile, ma addirittura ovvio, possa considerarsi l'esito del coraggio, o della follia, della donna guerriero: ella trionfò, riuscendo a imporsi sulla propria controparte per quanto spoglia di armi, sebbene appartenente priva di ogni possibilità in contrapposizione a tanta oscena presenza, e raggiungendo tale risultato con tanta naturalezza, meravigliosa spontaneità, incredibile rapidità, da non consentire, in ciò, neppure a un guerriero dello stampo di Ebano di cogliere con precisione, con puntualità, quanto lì avvenne, ponendogli innanzi, semplicemente e assurdamente, il risultato finale, quello rappresentato dal cuore della creatura trafitto con una delle corna della medesima, della sua testa di capra, spezzata e riutilizzata, in quel modo, a sua condanna. Una vittoria allucinante, nella rapidità del proprio raggiungimento e nella naturalezza della propria esecuzione, che non poté evitare di sconvolgere l'uomo lì improvvisamente già consapevole della fine della propria epoca, della propria carriera in quanto mercenario e avventuriero, e dell'inizio di quella di chi, ipoteticamente, egli stesso avrebbe dovuto uccidere, ma nel confronto con la quale per alcuna ragione avrebbe potuto riservarsi la benché minima occasione di successo, di trionfo, là dove neppure la creatura più temibile e temuta a memoria d'uomo, la minaccia rappresentata da una chimera, era parsa sufficiente non solo a preoccuparla, ma, ancor più, ad affaticarla.
« Credo di essermi appena innamorato di te… » ammise con assoluto candore, con quell'ingenuità che sarebbe potuta essere considerata propria di un giovinetto alle sue prime esperienze sentimentali, e non di un uomo suo pari.
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