11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

mercoledì 23 agosto 2017

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« Ai tuoi ordini, capitano. » rispose ella, neppur sforzandosi di ricorrere all’impiego della terza persona, in quella particolare declinazione di ipotetico rispetto per lei del tutto estranea e alla quale, benché avesse lasciato ormai da tempo il proprio pianeta natale, ancora non avrebbe potuto considerarsi né abituata, né tantomeno assuefatta, considerandola, ostinatamente, qual priva di qualunque ragion d’essere.

Nella sua lingua natia, dopotutto, non era prevista alcuna forma di colloquiale deferenza, anche e soprattutto nella consapevolezza di quanto troppo semplice, addirittura banale, sarebbe stato supporre di poter ingannare un proprio interlocutore, ove la stima nei riguardi del medesimo fosse rimasto relegata entro una sfera di mera, retorica argomentazione verbale. Nel suo mondo, e, soprattutto, nella lingua parlata, in varie accezioni, con diversi accenti e minimali variazione, nel preciso angolo di mondo in cui ella era nata, cresciuta, e aveva speso la quasi totalità della propria vita, quindi, risultava essere di gran lunga preferibile riservare ai fatti, ancor prima che alle parole, il compito di palesare il rispetto, o l’assenza di rispetto, nei confronti di qualcuno, diffidando, anzi, da tutti coloro che, a una riprova pratica, a una dimostrazione concreta e inconfutabile, potevano dimostrarsi prediligere vani orpelli oratori e superflui chiasmi sintattici. E quella lingua, la sua lingua, non avrebbe avuto a dover essere, neppure allora, incautamente considerata, da parte sua, qual non più parlata né, tantomeno, rammentata, non laddove, quantomeno, sin dal proprio primo giorno oltre i confini dell’unico mondo che per quarant’anni aveva avuto occasione di conoscere e di considerare qual esistente, al suo fianco, in suo supporto, si era offerto l’irrinunciabile e prezioso ausilio di un, per lei straordinario, traduttore automatico, in grado di apprendere la sua lingua riadattarla a quella impiegata da coloro a lei circostante, nell’esatto contempo in cui, parimenti, trasformava le parole pronunciate nei più disparati idiomi in vocaboli da lei riconoscibili, per lei apprezzabili.
Uno strumento, il traduttore automatico, nel confronto con il quale, comprensibilmente, ella non desiderava riservarsi una prospettiva di indefinito impiego, nella riconoscere gli importanti vantaggi derivanti, comunque, dal poter essere autosufficiente sotto tale profilo, fosse anche e soltanto nel confronto verbale con i propri compagni a bordo della Kasta Hamina, il principale idioma da loro impiegato già stava sforzandosi di apprendere, seppur con non poca fatica. Uno strumento, il traduttore automatico, nel confronto con il quale, razionalmente, ella era comunque consapevole di non poter presumere una qualche possibilità di futura, completa emancipazione… non laddove obiettivamente troppe avrebbero avuto a dover essere censite le lingue parlate nelle decine, centinaia di mondi nei quali ella avrebbe avuto potenziale occasione di avventurarsi, in una misura tale da escludere, necessariamente, qualunque ipotesi di assoluta e completa autosufficienza, per lei così come per chiunque altro. Non a caso, invero, tutti a bordo della nave, così come, più in generale, tutti coloro con i quali ella aveva avuto a che fare sino a quel momento, avevano sempre dimostrato di possedere un simile congegno, obbligati a riconoscerne l’irrinunciabile essenzialità.

Conclusi, pertanto, sia i preparativi tattici, sia la rapida conversazione con il capitano, alla Figlia di Marr’Mahew non restò altro da fare se non avviarsi, e avviarsi di gran carriera, ad attraversare l’intera estensione orizzontale della nave, per passare dalla sezione di testa, ove era collocata l’armeria di sua competenza, al corpo, e dal corpo alla sezione di coda, entrando, in tal modo all’interno del primo container.
Già accordatasi con Lange, ella non si riservò la benché minima occasione utile a riflettere sulla necessità di chiudere, personalmente, il passaggio fra la coda e il corpo, giacché qualcun altro, di lì a breve, sarebbe sicuramente accorso per agire in tal senso. Sua unica priorità, allora, avrebbe avuto a dover essere considerata soltanto, ed esclusivamente, il raggiungimento delle proprie compagne entro i limiti temporali concordati… e laddove un intervallo di tempo, spiacevolmente eccessivo, era stato da lei già speso nella propria pur fugace visita all’armeria, tappa preventiva e obiettivamente irrinunciabile, tutto ciò che avrebbe potuto riservarsi possibilità di compiere, sarebbe allor stato impegnarsi al fine di compensare, con un’andatura più rapida, quanto perduto.
Psicologicamente rilassata e paradossalmente concentrata, in quel contesto, in quella particolare situazione, avrebbe avuto a dover essere analizzata la mente della donna guerriero, già proiettata in direzione dell’eventuale battaglia che l’avrebbe potuta attendere, in tal senso negandosi, come di consueto, qualunque genere di emozione, fatta eccezione per una lieve, lievissima, e comunque inappropriata, eccitazione di base. Veterana sopravvissuta a un numero incomprensibilmente alto di guerre, di battaglie e di scontri, Midda Bontor aveva appreso da tempo quanto un qualunque genere di coinvolgimento passionale in un contesto bellico avrebbe rischiato, soltanto, di concedere fianco scoperto ai propri avversari e, in verità, benché inoppugnabilmente chiaro avrebbe avuto a dover essere riconosciuto tal concetto, ancor con eccessiva facilità ella si era concessa, nel proprio recente passato, occasione di cedere alle proprie emozioni, in particolar luogo quando, qual avversaria, si era trovata a risolvere una questione da lungo in sospeso con la propria gemella Nissa. Ma ove quello, comunque, avrebbe avuto a dover essere palesemente riconosciuto qual un contesto necessariamente delicato, soprattutto nel confronto con una storia di trascorsi lunga al pari delle loro intere esistenze; in altri scenari, in altre situazioni, l’Ucciditrice di Dei non avrebbe potuto essere accusata in maniera banale o superficiale di cedere alle proprie emozioni, ai propri sentimenti, avendo, anzi, da lungo tempo appreso come rendere il proprio animo non meno glaciale rispetto al proprio sguardo: in caso contrario, se così non fosse stato, del resto, difficilmente ella avrebbe potuto sopravvivere allo stile di vita reso proprio.
Nella specificità propria di quanto lì stava avvenendo, ancora e oltretutto, la donna guerriero avrebbe potuto vantare una così superficiale consapevolezza nel merito dei fatti, a riguardo di quanto avrebbe potuto attenderla, da rendere assolutamente vana qualunque preventiva eccitazione o preoccupazione per essa, a eccezion fatta, forse sintomatico, al di là di tutto, della sua natura umana, di quell’immancabile, lieve, bramosia di lotta, di sfida, in lei trasparente di un’ormai patologica dipendenza dall’adrenalina, per poter godere dei piacevoli effetti della quale non avrebbe esitato a catapultarsi in sempre nuove imprese, per quanto, tutto ciò, avrebbe potuto essere, non del tutto impropriamente, giudicato un comportamento potenzialmente autolesionista. Tale, tuttavia, ella era… e presumere di poter intervenire a cambiarla, a spingerla in direzione di un diverso approccio, sarebbe equivalso a tentare di sovvertire l’ordine naturale delle cose. Motivo per il quale mai, neppure il suo amato e adorante Be’Sihl, si era riservato di prendere in esame una simile eventualità, di lei innamorato, dopotutto, anche per quel pericoloso aspetto della sua vita, sebbene mai lo avrebbe ammesso apertamente, preferendo, anzi, non negarsi l’opportunità, di tanto in tanto, di lamentarsi, ormai giocosamente ancor prima che concretamente, innanzi alla prospettiva che tutto quello, quella sua continua ricerca di nuove avventure, non avesse a terminare in tempi accettabili.
Correndo attraverso il corridoio centrale del primo container, e poi del secondo, e ancora del terzo, Midda Bontor avanzò, quindi, con moto costante, con passo perfettamente cadenzato e incredibilmente costante, mai accelerando più del dovuto, mai rallentando senza giustificazione, con movimenti tanto controllati, e addirittura ipnotici nell’ipotesi di essere osservati nella loro continuità, da lasciar apparire le sue gambe, e il suo corpo tutto, non più naturale di quanto non avrebbe avuto a dover essere giudicato il suo cromato arto destro, quasi, al di sotto della sua candida pelle, non sarebbero potuti essere individuati muscoli e ossa, quanto altri servomotori non diversi da quelli presenti all’interno di quella protesi tecnologica. Tuttavia, e al di là di qualunque possibilità di fraintendimento, soltanto carne era quella che la contraddistingueva, soltanto carne era quella che la animava, carne che, non per questo, avrebbe avuto a dover essere fraintesa qual meno che straordinaria nella propria perfezione e nella perfezione di quell’incedere, affascinante e coinvolgente qual solo avrebbe potuto essere considerata la corsa di un maestoso, e potente, grande predatore felino.

(episodio precedentemente pubblicato il 28 gennaio 2015 alle ore 7:20)

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