11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

martedì 26 giugno 2018

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Tornata al campo allestito con Duva conducendo seco la selvaggina catturata, Midda trovò la compagna addormentata e, in questo, non ebbe a dispiacersi per lei. A differenza di quanto, nel suo mondo, avrebbe potuto allor avvenire, nell’eventualità di lasciarsi raggiungere in simili condizioni, lì, in quello scenario quietamente addomesticato per quanto apparentemente primitivo, nessun pericolo avrebbe potuto realmente cogliere Duva nel sonno, in grazia al perimetro di sensori accuratamente sparsi attorno a loro, i quali avrebbero vivacemente segnalato qualunque intrusione ove questa fosse occorsa.
Cercando di riservarsi la minima possibilità di rumore possibile, quindi, al fine di non disturbare il riposo del primo ufficiale della Kasta Hamina, la Figlia di Marr’Mahew si riservò l’occasione di accendere un piccolo fuoco a una certa distanza da lei, e, con simile aiuto, con tale supporto, di cuocere le carni delle prede catturate, non senza prima averle preparate a dovere. E se l’assenza di particolari supporti, fosse anche di un corto coltello, avrebbe potuto rendere tale impresa complicata, la presenza di quei corni sulle fronti di quelle strane lepri non ebbe a essere sprecata, concedendole la possibilità di sfruttare adeguatamente gli stessi secondo i propri scopi.
Preparare la selvaggina, e porla ad arrostire alla fiamma, richiese alla donna quasi un’ulteriore ora di tempo, ora che avrebbe avuto ad aggiungersi al già eccessivamente abbondante conteggio della giornata, ma che non ebbe a pesarle, non, soprattutto, nel momento in cui il poco grasso di quelle creature ebbe a iniziare a sfrigolare sulla fiamma, producendo un profumo indubbiamente interessante. Certo: la sua preparazione avrebbe avuto a doversi considerare indubbiamente rozza, nel confronto con quanto non avrebbe mancato di prodigarsi a compiere il suo amato Be’Sihl, se lì fosse stato presente, cercando anche qualche erba per insaporire ulteriormente quelle carni e trasformare quella cena di fortuna in una fortuna di cena. Ma, di necessità virtù, ella non ebbe assolutamente a rimproverarsi per il risultato conseguito. E, anzi, ciò che il soffocato rumore di tutta quella lunga presentazione non era stato in grado di compiere, nel risvegliare la bella addormentata nel bosco, ebbe allora possibilità di compiere il profumo di quelle carni poste ad arrostire, che, evidentemente, ne stuzzicarono l’appetito al di là delle barrette alimentari con le quali, in precedenza, si era già riservata occasione di cenare…

« Ohi! » commentò, intontita dal sonno e dal sonno in tal maniera interrotto, scuotendosi appena e muovendosi ad appoggiarsi su un fianco, per poter osservare, a distanza, la scena così propostale « … che stai cucinando di buono?! »
« Dormi. E non ti importare. » la invitò la Figlia di Marr’Mahew, scuotendo appena il capo « Dopotutto avevi definito qual malsana la mia idea di pormi a caccia… » ricordò, ironicamente, con un sorriso di indubbia soddisfazione per il risultato già conseguito in quel risveglio, e in quel risveglio per evidenti ragioni, così come sottolineato dall’immediata domanda da lei posta.
« Beh… non è che da queste parti si sia soliti andare a caccia per mangiare. » puntualizzò Duva, cercando una qualche argomentazione in propria difesa, a proprio sostegno, benché, in effetti, complice il sonno così interrotto, non ebbe a dimostrarsi particolarmente arguta come osservazione, soprattutto a sostegno dell’ottenimento di un metaforico posto a tavola « Non so come dirtelo per non apparire troppo insensibile, ma… ci siamo evoluti da un po’, grazie alla straordinaria invenzione dei supermercati e dei centri commerciali. » tentò di provocarla, ponendosi a sedere per cercare di meglio osservare la carne intenta ad arrostirsi alla viva fiamma del fuoco acceso dalla compagna.
« A maggior ragione, questo cibo barbaro non potrà certamente offrire alcun interesse al tuo palato raffinato, da gran dama evoluta qual tu sei... » replicò l’altra, osservandola sorniona solo con la coda dell’occhio, nel mentre in cui continuò a dedicare tutta la propria attenzione a quell’opera culinaria, per evitare di far seccare eccessivamente quelle carni e, al contempo, per assicurarsi che avessero a cuocere e cuocere adeguatamente, su ogni proprio fronte « Torna a dormire, mia cara. Davvero… »
« E lasciarti sola a mangiare tutto quel cibo?! » protestò, quasi con scandalo il primo ufficiale della Kasta Hamina « Non potrei dirmi tua amica se ti facessi compiere una simile idiozia senza tentare di salvarti da te stessa: è chiaramente troppa carne per una bocca sola… e non vorrei mai che domani tu stessi male soltanto perché io, nel momento del bisogno, ti ho lasciata sola. » evidenziò, appropinquandosi a lei con incedere lento, a carponi sul terreno.
« Il bisogno a cui ti riferisci… sarebbe mio o tuo?! » domandò incerta Midda, non potendo iniziare a provare una certa difficoltà a trattenere l’ilarità nel confronto con quel dialogo e, soprattutto, con la situazione di imbarazzo in cui era riuscita a porre l’amica, chiaramente combattuta fra il cercare di mantenere un qualche barlume d’orgoglio personale e il soddisfare il proprio appetito, laddove, per quanto quelle barrette sicuramente avrebbero adempiuto a sufficienza al loro fabbisogno nutrizionale, del buon cibo, e, in particolare, della buona selvaggina arrosto, non avrebbe trovato la benché minima possibilità di sfida, risvegliando ogni senso e ogni bramosia.
« Ohh… ma levati! » esclamò, in un’evidente resa psicologica, la povera Duva, precipitandosi al suo fianco, innanzi a quel fuoco, per poter assaporare meglio, con il proprio olfatto e la propria vista, quelle carni, e pregustarne il sapore nel momento in cui, alfine, sarebbero state cotte « E’ veramente puerile da parte tua continuare a insistere crudelmente nei miei confronti ben sapendo di aver ragione! » soggiunse, con tono scherzosamente piccato.

E, a confronto con quell’ultima osservazione, impossibile fu allora per la donna dagli occhi color ghiaccio e dai capelli color del fuoco trattenere ancora quelle stesse risate che già da troppo stava impegnandosi a soffocare nel fondo della propria gola, gettando il capo all’indietro e lasciandosi esplodere in una prorompente ilarità. Ilarità utile, in quel momento, non soltanto a concludere degnamente quella breve parentesi ma, anche, a offrire una nota di letizia al termine di quella giornata troppo lunga, troppo faticosa e, purtroppo, contraddistinta da una certa, indubbia amarezza, conseguente allo scisma avvenuto, per poter concedere loro, in caso contrario un qualche lieto riposo: e se, nel merito del riposo, forse sarebbe stato ancor prematuro avere di che disquisire, certamente nell’immediato di quella tanto attesa, e faticata, cena, alcuna nota stonata avrebbe avuto più a dover loro inquinare l’appetito, concedendo a entrambe la prospettiva propria di poter consumare quel pasto in sincera allegria. Un’allegria, certamente, che sarebbe stata più marcata, quasi assoluta, se soltanto fossero allora state tutte e quattro insieme attorno a quel fuoco, e che, ciò non di meno, non ebbe che a poter essere tale.
Così, quando alfine Midda ritenne cotta la carne delle due lepri-unicorno, levandole dal fuoco e lì lasciando soltanto quella del procione, necessitante, per dimensioni maggiori, anche un maggior tempo di cottura, le due amiche ebbero a pasteggiare in termini forse primitivi, ma, sicuramente, gradevoli e graditi, nell’oscurità di quella notte, in quella foresta del pianeta della guerra, ben consapevoli di essere soltanto all’inizio del loro cammino e, ciò non di meno, motivatamente soddisfatte per quanto sino a quel momento loro concesso. E, fra un boccone e l’altro, fra un morso e l’altro, fu proprio Duva a volgere il pensiero alla lunga strada che il giorno dopo, e quello successivo, le avrebbe ancor attese, prima che, finalmente, quel territorio boschivo potesse essere superato, per permettere loro di giungere al primo grande insediamento civilizzato…

« … ma questo pianeta non era disabitato?! » domandò Midda, incuriosita da tale prospettiva, non informata nel dettaglio, non tanto quanto l’amica per lo meno, nel merito delle caratteristiche proprie di quel mondo e, ciò non di meno, sufficientemente certa nel ricordo di quel particolare, e di quel particolare utile a renderlo idoneo per ospitare quell’assurda attrattiva.
« Certamente! Lo è! » confermò l’altra, annuendo appena e concedendosi un altro gran morso alle carni arrosto del coniglio prima di proseguire, costringendo l’altra ad attendere qualche istante prima che terminasse di masticare e deglutisse per essere libera di continuare il discorso « Infatti quelle che troveremo saranno soltanto rovine sono di una qualche antica civiltà dimenticata dalla Storia… » puntualizzò, subito tornando ad addentare la cena.

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