11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

lunedì 12 novembre 2018

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« E’ complicato. »

Tale fu la sua non semplice ammissione a confronto con Jacqueline, quando, dopo un prolungato periodo di rifiuto di qualunque possibilità di confronto con lei, decise alfine di tornare a rivolgerle la parola.
Una decisione, quella che ella maturò, che giunse soltanto a distanza di diverse settimane da quell’imprevisto confronto con lei, animato dalle fotografie di Tenebra e dei suoi nipoti. E una decisione che giunse nel mentre in cui il suo corpo avrebbe ormai potuto vantare di aver riconquistato una certa autosufficienza, tale per cui, insieme a Lorenzo, le era persino stata concessa l’opportunità di iniziare a prendere in esame la possibilità di affrontare il discorso protesi. Un discorso a lungo rimandato, quello del suo perduto arto destro, non perché prima ella non desiderasse sopperire al medesimo, quanto e piuttosto perché, in maniera quietamente giustificabile, avrebbe avuto a dover essere riconosciuto interesse del suo fisioterapista quello di permetterle innanzitutto di riguadagnare controllo sul corpo ancora in suo possesso, prima ancora di potersi distrarre nel tentare di concentrarsi sulla possibilità di guadagnare occasione di controllo su quanto, piuttosto, le era stato così tragicamente sottratto.
Interessante nota a margine di tutto ciò, proprio nell’iniziare a prendere in considerazione l’idea della protesi le era stata quindi concessa inattesa occasione di incontrare la versione locale del fratello d’arme di Be’Wahr, Howe, il quale, in quel mondo, in quella realtà, avrebbe avuto a impersonare un esperto nel campo dei dispositivi prostetici, il dottor Munahid Versini. Una figura estremamente attenta e professionale, quella così introdottasi a lei, la quale non avrebbe avuto a doversi considerare confidente con il suo settore d’interesse lavorativo soltanto per semplice, e pur rispettabilissima, preparazione accademica, quanto e piuttosto per concreta sperimentazione pratica, laddove, anch’egli, proprio malgrado, avrebbe avuto a dover essere riconosciuto più che interessato personalmente nella questione in termini poi non dissimili da quelli propri di Maddie, nel presentare, in luogo al proprio braccio mancino, un esemplificazione molto interessante delle potenzialità della tecnologia locale. Una tecnologia, quella che il supporto economico di Rín non avrebbe mancato di renderle disponibile, che, certamente, non le avrebbe potuto offrire il medesimo genere di applicazioni, magiche o tecnologiche, a cui avrebbe avuto a doversi considerare abituata, e che pur, con un po’ di impegno, le avrebbe comunque potuto garantire un certo, non banale, livello di recupero.
Nel corso di quelle settimane, non potendo comunque ovviare agli appuntamenti giornalieri con Jacqueline, ella si era quindi dimostrata semplicemente intenta a offrirle scena muta. Scena muta, la sua, che avrebbe avuto a dover essere considerata non soltanto conseguenza di una ancor in digerita avversione in conseguenza al senso di tradimento provato, e provato nel momento in cui la strizzacervelli aveva tentato di rigirare in sua opposizione una parte delle informazioni con lei onestamente condivise; ma anche, e forse, per la necessità, da parte sua, di elaborare qualcosa, e di elaborare qualcosa prima a livello inconscio, poi a livello subconscio, sino ad arrivare, a quel punto, al livello superiore, quello conscio, e, in ciò, ritrovarsi quasi costretta a riprendere voce, per cercare supporto in tutto ciò.

In silenzio, a confronto con quell’ammissione, Jacqueline evitò un qualunque genere di percettibile reazione emotiva, negandosi non soltanto un eventuale senso di sorpresa, qual pur non avrebbe potuto effettivamente ammettere di provare, ma, anche, di compiacimento, qual pur avrebbe avuto a esserle proprio nell’evidenza di quanto, forse, finalmente la situazione avrebbe iniziato a sbloccarsi.
Per la dottoressa, dopo gli azzardi compiuti con quella paziente, sia nell’offrirle inizialmente corda, sia, poi, nel cercare di scendere a patti con la sua parte più razionale, assolutamente non scontato avrebbe avuto, in verità, a dover essere giudicato un qualunque esito per quella questione: obiettivamente rappresentando una delle pazienti più complicate della propria carriera, per Jacqueline il proprio rapporto con Maddie rappresentava una sfida, una sfida affascinante, una sfida complicata, ma, soprattutto, una sfida motivata, e motivata dalla volontà di restituire a quella donna la vita che, tanto ingiustamente, le era stata sottratta trentatré anni prima. E per quanto spiacevole avrebbe avuto a doversi considerare distruggere, per lei, le illusioni di quell’altra esistenza che credeva di aver vissuto, di quell’altra realtà alla quale ella credeva di appartenere, tutto ciò avrebbe avuto a doversi considerare, invero, qual necessario, e necessario non per imporle un torto, quanto e piuttosto per renderle giustizia, anche laddove per lei non avrebbe avuto a doversi, immediatamente, riconoscere evidente.
Certo avrebbe avuto a dover essere considerato quanto quelle settimane di ostinato silenzio non avessero avuto a contribuire in positivo alla fiducia della psicologa nella propria strategia… anzi.
Ma quell’ultima affermazione, quella quieta asserzione, quella sofferta ammissione, avrebbe avuto a dover essere riconosciuta qual gratificante premessa di un positivo sblocco, e di quello sblocco razionale sul quale ella aveva voluto scommettere, e che, forse, l’avrebbe finalmente condotta a un risultato.

« Io sono perfettamente cosciente di quanto la mia vita come Midda Bontor non sia stata un’illusione. Io sono perfettamente consapevole di quanto Be’Sihl, Tagae, Liagu, Duva, Lys’sh, Rula e tutte le altre persone della mia quotidianità esistano, e di quanto io tenga a loro e di quanto loro tengano a me. Io sono assolutamente certa di non essere impazzita… » premesse, a sostegno di tutto quello che aveva sempre sostenuto e che non avrebbe potuto ovviare a continuare a sostenere, non volendo rinnegare nulla del proprio passato « … ma… » accennò, ritrovandosi tuttavia poi costretta ad ammutolire, e ad ammutolire nella consapevolezza di quanto quella semplice congiunzione avrebbe avuto a doversi considerare terribilmente ricca di significati, e di significati volti, in maniera non dissimile a un colpo di spugna, a cancellare tutto quanto appena affermato, tutto quanto così dichiarato, voltando pagina e ricominciando il discorso da capo, a dispetto di quanto allora appena asserito « … qualcosa non va. »
« Qualcosa…? » domandò con tono quieto, non forzatamente accomodante, e, ciò non di meno, atto a invitarla a proseguire, a non arrestare in tal modo quell’analisi, e quell’analisi che, ora, ella stessa stava desiderando compiere, e stava desiderando compiere senza alcun genere di forzatura da parte sua, testimonianza dell’assenza della quale avrebbe avuto a dover essere considerata la sua pazienza nell’attendere la spontaneità propria di tutto ciò.
« Il mio rapporto con Rín… e con papà… è qualcosa di strano a descriversi. E’ qualcosa di bello. » dichiarò, non potendo ovviare ad ammettere, in fede, di non riuscire più a riconoscere quelle due persone quali degli estranei, o delle semplici versioni alternative della propria famiglia, quanto e piuttosto la propria famiglia, e quella famiglia nella quale potersi, finalmente, sentire felice, nella quale potersi finalmente riservare un ruolo, così come, sino a quel momento, non era stata in grado di fare in precedenza, pur avendolo sempre desiderato nel profondo del proprio cuore « E per quanto mi voglia sforzare di definire questo mondo qual non mio… qualcosa, nel profondo del mio cuore, mi impedisce di farlo. Mi impedisce di rinnegare l’amore di mia sorella, di mio padre… mi impedisce di rifiutare loro il conforto del sapermi nuovamente fra loro... » cercò di spiegare, più a se stessa che alla propria interlocutrice, la quale, pur, ebbe a dimostrarsi seriamente attenta a ogni sua parola « … eppure… » accennò nuovamente, in un’altra congiunzione volta a cancellare ancora una volta tutto quanto così dichiarato, svoltando nuovamente pagina, per ricominciare da capo o, forse, per ritornare alla pagina precedente, a dimostrazione della propria più intima confusione, della propria sincera incapacità a comprendere in che direzione aver a poter volgere il proprio sguardo « … non voglio far finta di non aver vissuto la mia vita come Midda Bontor. Non voglio far finta di non aver amato, di non aver sofferto, di non aver compiuto nulla di quanto pur ho compiuto nel corso della mia vita. Non voglio credere che sia stato tutto soltanto un sogno, e soltanto il sogno di una bambina ritrovatasi bloccata all’interno del proprio stesso corpo per oltre tre decenni. » sancì, esprimendo la propria avversione a quell’eventualità e, ciò non di meno, in tutto quello, anche non escludendo simile possibilità, per quanto, in tal paradosso, ella non potesse ovviare a sentirsi bloccata.

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