11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

mercoledì 14 novembre 2018

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Bip… Bip… Bip…
« … »
Bi-Bip… Bi-Bip… Bi-Bip…
« … Thyres… »
Bi-BIIP… Bi-BIIP… Bi-BIIP…
« … ho capito! Accidenti!... » esclamò, colpendo con violenza la sveglia e catapultandola, per l’ennesima volta, a terra, senza dimostrare alcuna pietà nei confronti della medesima « … uccidetemi ora… » sospirò, affondando il volto nel cuscino, a rifiutare l’idea che fosse già ora di alzarsi.

Se per Midda svegliarsi prima del sorgere del sole non aveva mai rappresentato un problema, anche solo dopo un paio di ore di sonno leggero, per Maddie essere riportata a contatto con la realtà alle 6.40 da quell’insistente suono avrebbe avuto a dover essere obiettivamente riconosciuto quanto di più prossimo a un supplizio. E un supplizio che, pur, avrebbe dovuto necessariamente autoinfliggersi per avere qualche possibilità di riuscire a sbrigare, per tempo, tutte le faccende necessarie, prima di uscire di casa.
I primi cinque-dieci minuti, dal momento del suono della sveglia, sarebbero stati quindi necessari a permetterle di maturare consapevolezza di essere viva, di essere nel proprio letto e di avere necessità di rialzarsi da esso, per non fare tardi al lavoro. Difficile, in verità, avrebbe avuto a dover essere considerato tale primo passo, laddove, con crudele puntualità, l’odiata sveglia avrebbe dimostrato un inquietante sincronismo con la propria fase onirica, intervenendo sempre nel momento meno opportuno, nel crescendo più intenso dell’impresa che stava così vivendo e, in ciò, riportandola alla realtà, e a una realtà decisamente meno avventurosa rispetto a quanto, magari, sino a quel momento sognato. E altro non avrebbe potuto restarle che il dubbio sull’esito delle proprie gesta notturne, della riconquista di qualche antico manufatto, della salvezza di Tagae e Liagu o di quale sorpresa Be’Sihl potesse aver preparato per lei.
Abbandonati i propri sogni, nella triste consapevolezza di non aversi a dover riconoscere la donna che pur, ogni notte, si illudeva di poter essere, ella avrebbe speso i successivi dieci-quindici minuti in bagno a espletare i propri basilari bisogni corporali, per poi fare ritorno alla propria camera e lì sforzarsi di compiere quel minimo di esercizio fisico che Lorenzo le aveva prescritto, al fine di continuare a sollecitare quel sottoinsieme della propria muscolatura a cui, altrimenti, non avrebbe prestato la necessaria attenzione, in una leggerezza che, dopo trentatré anni di immobilità, non avrebbe potuto permettersi: nulla di vagamente paragonabile a quanto la Figlia di Marr’Mahew avrebbe avuto a doversi considerare solita riservarsi occasione di compiere ogni mattina e ogni sera, sia chiaro, e pur già più di quanto ella non avrebbe preferito avere possibilità di obbligarsi a compiere, laddove, dovendo scegliere fra quello e impigrirsi nuovamente fra le lenzuola oziando su Netflix, certamente non avrebbe avuto a considerarsi particolarmente indubbia sulla scelta da compiere, sull’alternativa da preferire.
Mezz’ora di esercizio più tardi, ella si sarebbe quindi concessa un passaggio sotto la doccia, per poi rivestirsi e indossare il proprio braccio destro, il quale, a differenza delle proprie passate protesi, non avrebbe avuto a doversi considerare stabilmente solidale con il resto del suo corpo. Al contrario: in assenza di qualche straordinaria possibilità di accumulo dell’energia, come quella propria del compianto idrargirio proprio dei suoi viaggi fra gli infiniti spazi siderali, e tale da garantirle un’autonomia potenzialmente illimitata; in quel mondo, in quella realtà, ogni sera ella avrebbe avuto a doversi ben ricordare di porre in carica il proprio arto o, in caso contrario, il giorno seguente non avrebbe avuto possibilità di utilizzarlo. Poco male, comunque: offrendo il giusto riconoscimento a quella che avrebbe avuto a dover essere considerata la Lamborghini delle protesi, la comodità di rimozione e di reimpianto non avrebbe reso assolutamente complicata simile operazione e, fatta eccezione per i primi giorni, ella avrebbe ormai potuto vantare assoluta naturalezza in tutto ciò, con la stessa banalità con la quale avrebbe potuto indossare un paio di stivaletti.
Vestitasi entro le 7.50, le sarebbero quindi rimasti non più di dieci minuti per consumare una rapida colazione, scambiando due fugaci chiacchiere con suo padre, prima di correre fuori di casa, per acchiappare al volo il primo di due autobus e dirigersi verso la periferia della città, là dove, in un importante centro commerciale adiacente allo stadio sportivo, aveva trovato una possibilità di impiego, in un ruolo sicuramente non paragonabile alla propria famosa gemella, e, ciò non di meno, in un ruolo che era riuscita a ritrovare con le sole proprie energie. Un ruolo, quindi, che pur non vedendole riconosciuto un grande salario, le avrebbe comunque permesso di iniziare a contribuire in positivo alle spese di casa, in attesa della possibilità di qualcosa di meglio… e le avrebbe permesso di compiere tutto ciò senza alcun genere di aiuto o favore esterno, in quello che sarebbe stato soltanto l’ennesimo, amorevole, debito morale nei confronti di tutti coloro a lei circostanti.
Con un pizzico d’orgoglio, infatti, ella aveva rifiutato qualunque possibilità di raccomandazione da parte della propria sorella, con l’aiuto della quale avrebbe potuto facilmente inserirsi direttamente all’interno della sua stessa azienda e, parimenti, ella aveva anche rifiutato l’ipotesi di poter sfruttare la propria condizione fisica come scusante per ottenere dei privilegi nella ricerca dell’impiego, come pur le leggi lì vigenti avrebbero potuto concederle: tutt’altro che abituata a considerarsi diversamente abile, ella non avrebbe mai potuto accettare simile definizione per ottenere una qualche occasione di sostegno, magari a discapito di altre persone. In tutto ciò, quando, non senza essersi vista prima sbattere molte porte in faccia, ella era stata in grado di ottenere un posto da addetta all’approvvigionamento degli scaffali, o garzona, come preferiva più semplicemente considerarsi, all’interno di quel centro commerciale, tale occasione non avrebbe, e non aveva, potuto trovarla meno che entusiasta, nella possibilità così riconosciutale di poter iniziare a considerarsi un membro attivo della società.
Certo: pensare che, dietro a quella esile donna, dalle linee asciutte e quasi diafane, perché tale era rimasto il suo fisico dopo oltre tre decenni di immobilità e di alimentazione artificiale, lì impegnata a ordinare cibo in scatola sugli scaffali, fra bambini urlanti, anziane signore perennemente confuse e, talvolta, qualche figura decisamente priva di qualunque barlume di educazione, avrebbe potuto celarsi l’identità di una pericolosa guerriera, una leggendaria ex-mercenaria che, in un altro mondo, in un’altra epoca, aveva portato a termine missioni straordinarie, addirittura leggendarie, sconfiggendo mostri mitologici, negromanti, stregoni e persino dei, sarebbe necessariamente risultato ridicolo. E, proprio malgrado, di ciò non avrebbe potuto che iniziare a convincersi anche ella stessa, nell’assuefarsi, giorno dopo giorno, sempre più a quella nuova vita, a quella nuova realtà, e a quella realtà sicuramente più semplice, più banale rispetto a qualunque altra mai vissuta, forse e persino meno affascinante, e, ciò non di meno, a modo suo appagante, nella quieta abitudinarietà della sua esistenza e nell’affetto dei suoi cari.
Indossato il proprio grembiule e timbrato quindi il cartellino alle 8.30, Madailéin Mont-d'Orb avrebbe quindi affrontato quella nuova giornata di lavoro con quanta più serenità possibile, scambiando battute con i propri colleghi, talvolta concedendosi occasione di lamentarsi dei clienti più irrispettosi, e affrontando, minuto dopo minuto, ora dopo ora, le otto ore della propria giornata lavorativa, più eventuali straordinari, prima di uscire di lì e fare ritorno a casa, la dove avrebbe potuto impegnarsi a ricambiare il favore del mattino impegnandosi a preparare la cena per il padre, in maniera tale che, quand’egli sarebbe a sua volta rientrato, avrebbero potuto porsi, ora con maggiore quiete, a tavola, raccontandosi gli aneddoti delle rispettive giornate lavorative, prima di prendere qualche decisione nel merito della serata e delle ore che così sarebbero loro rimaste prima dell’ineluttabile appuntamento con il letto.
E benché, più di una volta, suo padre non aveva mancato di invitarla a uscire di casa, a non fermarsi in compagnia di un vecchio come lui e a cercare di recuperare gli anni della vita che non aveva potuto vivere, trovandosi una qualche compagnia e godendosi quanto così concessole, per Maddie, in verità, il piacere più grande avrebbe avuto a doversi considerare proprio potersi godere la compagnia di Jules, così come, suo malgrado, Midda non aveva mai avuto occasione di compiere.

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