11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

martedì 9 luglio 2019

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Orientarci all’interno dell’insediamento, se così avrebbe potuto essere definito, dei gula, non fu semplice: né per le modalità richiesteci a muoverci, prestando attenzione al più semplice rumore e a non avere mai a poter essere visti, né, tantomeno, per la struttura stessa di quella caverna, e di quella caverna che, al di là della superficialità propria di un primo sguardo, non avrebbe potuto essere fraintesa sì banale, nel presentarsi, al contrario, organizzata come un vero e proprio villaggio. Un villaggio la piazza del quale avrebbe avuto a dover essere rappresentato da quella vasta area centrale, nella quale, immediatamente, avevamo adocchiato i nostri possibili avversari, e gli edifici del quale, altresì, avrebbero avuto a dover essere riconosciuti lungo l’intera estensione delle pareti a noi circostanti, pareti tutt’altro che compatte lungo le quali, al contrario, molte cavità erano state scavate dietro a piccoli fori di accesso, cavità allor costituenti, appunto, le dimore proprie di quei mostri, vere e proprie case entro le quali, probabilmente durante il giorno, tutti loro si spargevano, divisi nelle varie famiglie, per riposare placidamente in attesa di un nuovo tramonto. In un tale contesto, in un simile scenario, praticamente infinite avrebbero avuto a poter essere li possibili nascondigli per l’Occhio di Gorl, sempre ammesso che, ovviamente, fosse stato nascosto, fosse stato conservato e non, piuttosto, fosse stato semplicemente scartato, come un inutile pezzo di pietra colorata, qual, obiettivamente, avrebbe avuto a dover essere considerata dal punto di vista proprio di quelle creature, e qual, probabilmente, avrebbe fatto meglio a essere considerato anche dal punto di vista proprio di chiunque, noi inclusi, noi cinque che, allora, stavamo ponendo a rischio la nostra sopravvivenza per recuperare quella finta reliquia totalmente priva di qualsivoglia potere, al di fuori di quello che le menzogne del governo kofreyota voleva attribuirle.
E, in effetti, proprio seguendo l’ipotesi che la pietra fosse stata allor scartata, e smaltita insieme ad altri rifiuti, avemmo a muoverci, e a muoverci nell’ispezionare quel luogo, quel tutt’altro che piccolo insediamento, nella speranza di poter comprendere qual punto di quella caverna essi potessero aver eletto a propria discarica, per lì, quindi, andare a ricercare l’oggetto proprio delle nostre brame. Quanto, in tale discorso, avrebbe avuto a rappresentare un chiaro ostacolo, non avrebbe potuto ovviare a essere la loro stessa, molto particolare, dieta. E quella dieta necrofaga nel confronto con la quale, quindi, ben poco scarto avrebbe avuto a dover essere ipotizzato da parte loro: vestiti, probabilmente, armi, sicuramente, e qualche osso, per lo più, ma, certamente, molto meno rispetto a quanto non ci si sarebbe potuti attendere in un qualunque villaggio e, soprattutto, decisamente uno scarto molto più asciutto rispetto a quanto, altresì, non avrebbe potuto essere, non vedendo in buona sostanza da loro ridotto al minimo il concetto stesso di spreco. Ciò non di meno, tutti noi speravamo, a un certo punto, di trovare un angolo della caverna entro il quale stessero venendo accumulati gli scarti, quei sicuramente pochi scarti, e, ciò non di meno, tutto ciò che, per l’appunto, avrebbe avuto a dover essere riconosciuto qual inutile dal loro punto di vista. E se non un angolo in quella stessa caverna, quantomeno l’imbocco di un qualche budello entro il quale, in maniera eventualmente più ordinata, si sarebbero potuti impegnare a far scomparire tutto quanto considerato inutile.
Ci impiegammo almeno un’ora, forse due, difficile a dirsi in una simile alienazione da ogni sistema di riferimento temporale, per compiere l’intero perimetro della caverna, e quando, alla fine, ci ritrovammo nuovamente al punto di partenza, non potemmo che constatare, silenziosamente, quanto ci stessimo lì ponendo con ancora un bel nulla di fatto. E un bel nulla di fatto che, dal nostro punto di vista, non avrebbe potuto sottintendere nulla di buono…

“Dannazione!”

Giunti a quel punto i casi avrebbero avuto a poter essere elencati nel numero di tre, uno peggio dell’altro: o le informazioni che ci erano state fornite avrebbero avuto a dover essere considerate errate, in termini tali per cui tutto il nostro impegno, sino a quel momento, avrebbe avuto a doversi riconoscere qual vano; o l’Occhio di Gorl era stato nascosto in qualcuno di quegli infiniti loculi perimetrali, l’esplorazione dei quali ci avrebbe richiesto molto più tempo di quanto non avremmo potuto giudicare essere lì ancora a nostra disposizione, esponendoci, per lo più, a una serie di rischi quantomeno spiacevoli; o, peggio che mai, l’Occhio di Gorl avrebbe avuto a dover essere stato intenso qual un gradevole balocco per i più piccoli, ragione per la quale, in quel frangente, avrebbe avuto a doversi riconoscere proprio nell’unica direzione entro la quale mai avremmo voluto muovere i nostri passi… quella lì occupata, attualmente, da tutta quella porzione della popolazione gula non impegnata nella caccia, nel mondo esterno.
Non so se tutti i miei compagni di squadra avessero allor elaborato quel mio eguale pensiero, quella mia stessa analisi, in quegli stessi termini: forse sì, forse no, forse e soltanto parzialmente. Di certo, negli sguardi che ci stavamo lì scambiando, l’interrogativo avrebbe avuto a dover essere considerato il fattore comune, e il fattore comune che avrebbe ineluttabilmente reso più complicato il proseguo del nostro percorso, in qualunque direzione avremmo deciso di spingerci. Una decisione, la nostra, resa ancor più complicata da quel costretto silenzio, e quel costretto silenzio il quale, per quanto ormai assuefatti allo stesso, stava iniziando ad assumere tutti i connotati propri di una tortura, e di una tortura psicologica, e forse anche fisica, nell’impossibilità, allora, anche e soltanto a esprimere tutta la nostra frustrazione, e la frustrazione propria di una situazione nella quale ci eravamo cacciati, come di consueto, con poche e scarse informazioni, e fuoriuscire dalla quale, purtroppo, sarebbe stato decisamente meno gradevole rispetto a quanto mai avremmo potuto prevedere.

« Guaaaah!!! »
« Guaah!!! Guaahh!!! »

Fu tuttavia allora che, qualcosa, ebbe a occorrere. Ed ebbe a occorrere in termini sì imprevisti, e sì imprevedibili, da coglierci tutti di sorpresa. E quando dico “tutti”, intendo dire proprio “tutti”: non soltanto Howe, Be’Wahr, i figli di Ebano e la sottoscritta, ma anche tutti i gula lì presenti, giovani e vecchi, i quali non poterono allor ovviare a reagire con lo stesso stupore, con lo stesso disorientamento che non avrebbe potuto ovviare a essere anche nostro e, in effetti, a reagire in tal senso ancor prima di noi, giacché, allora, proprio essi furono i primi a rendersi conto di quanto stesse accadendo e a rispondere, in tal senso, con alte grida di terrore che, ovviamente, finirono anche per attrarre il nostro interesse, la nostra attenzione.

“Ma che…?!”

Attratti da quelle grida di terrore, non potemmo ovviare a fare capolino dal nostro nascondiglio per gettare un occhio a quanto potesse star accadendo, animati in tal senso anche dal legittimo timore che quelle non avessero a dover essere intese quali grida di terrore, quanto e piuttosto di rabbia, e di rabbia a sottolineare quanto la nostra presenza fosse stata alfine colta dai presenti e, in tal senso, una possibile carica di gula inferociti, forse non al pieno delle proprie potenzialità, e pur sempre temibili, stesse allor per abbattersi su di noi. Ma, lì arrivando a constatare quanto stesse accadendo non mancammo di maturare subito coscienza di due verità, ossia che quelle non avrebbero avuto a doversi intendere quali grida di rabbia, ma, per l’appunto, grida di terrore, e che, soprattutto, non avremmo potuto vantare la benché minima possibilità di comprensione su quanto allor stesse accadendo, e stesse accadendo, per la precisione, proprio al centro della grotta, nel punto più affollato dai gula e nel punto che, ovviamente, era stato rapidamente sgomberato da tutti, intenti allora in una fuga generale da quanto, dal loro punto di vista, allora non avrebbe potuto ovviare di essere inteso qual un pericolo: un’alta colonna di fiamme apparsa dal nulla, e lì, allora, risplendente di una luce quasi accecante anche per i nostri occhi, e per i nostri occhi ormai abituatisi alla lieve luminosità prodotta dai muschi fluorescenti.

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