Da quando tutte le torri della città erano state abbattute in conseguenza a quel terribile attacco dinamitardo, le mura dodecagonali di Kriarya avevano ufficialmente ridefinito il proprio primato di altezza nella capitale. Un primato imponente, nel confronto con gli edifici inclusi all’interno di quel geometrico abbraccio, e di quegli edifici che, difficilmente, avrebbero avuto a raggiungere un terzo dell’altezza di quelle mura, raramente sospingendosi fino a due piani di elevazione al di sopra del livello del suolo e, anzi, per lo più appiattendosi sul singolo livello o, al più, su un ulteriore piano di altezza; e, ciò non di meno, un primato quantomeno banale a confronto con lo sguardo di chi, al pari di Duva Nebiria, avrebbe avuto a potersi considerare abituata a smisurate torri di vetro e metallo, con decine e decine di piani all’interno dei quali, probabilmente, avere a poter ospitare, in buona sostanza, l’intera popolazione di quella stessa città, forse e persino avanzando dello spazio libero.
Non per questa ragione, tuttavia, Duva avrebbe avuto di che sentirsi autorizzata a elevare critica nei riguardi della medesima Kriarya o delle sue mura, nel ben comprendere, senza particolare impegno, quanto improponibile avesse a doversi riconoscere il confronto fra quell’urbe e una qualunque metropoli di uno qualsiasi dei pianeti civilizzati da lei frequentati nel corso della propria vita.
Porre a confronto quelle due realtà sarebbe equivalso a porre a confronto un carro trainato da cavalli e una nave di classe trochilide, dotata di motori alimentati all’idrargirio: entrambi, in buona sostanza, avrebbero potuto essere considerati qual destinati a un medesimo scopo, ossia quello del trasporto, benché, inevitabilmente, a confronto con scale di misura decisamente diverse. E non che, in verità, la nave stellare avesse a doversi necessariamente considerare qual puntualmente migliore, a prescindere dal proprio scopo. Se l’esigenza fosse stata quella di spostarsi fra due diversi sistemi solari, o fra due pianeti di un medesimo sistema solare, certamente l’impiego di una nave avrebbe avuto a potersi considerare la scelta più appropriata: ma ove, al contrario, l’esigenza si fosse rivelata soltanto quella di muoversi per qualche miglio al livello del suolo, indubbiamente la scelta del carro trainato da cavalli si sarebbe dimostrata la più opportuna, con buona pace dei motori all’idrargirio e dei sistemi di sfasamento quantistico. Non a caso, dopotutto, anche a bordo della più progredita nave stellare, nessuno si sarebbe mai azzardato a impiegare un’arma da fuoco in luogo a una più rudimentale arma bianca, fosse questa anche una rozza daga. L’impiego di un’arma laser o, peggio ancora, al plasma, all’interno di una nave stellare, dopotutto, avrebbe potuto troppo facilmente provocare uno squarcio nelle pareti, e uno squarcio che, ove avesse raggiunto una parete più esterna, avrebbe potuto tranquillamente compromettere l’integrità strutturare dell’intero veicolo: molto meglio, quindi, impiegare più semplici, e sicure, lame, o altre armi egualmente “primitive” che, pur nulla negando a un’indubbia efficacia, all’occorrenza, ad assolvere il proprio compito, non avrebbero mancato di garantire un maggiore controllo sui propri effetti, minimizzando il rischio di danni collaterali... e di devastanti danni collaterali.
Al pari di simili esemplificazioni, pertanto, ostinarsi a porre una città qualsiasi di quel pianeta in confronto con una città qualsiasi di un altro pianeta più tecnologicamente progredito, come Loicare per esempio, avrebbe avuto a doversi considerare quantomeno inopportuno. Entrambi centri urbani, entrambi destinati a ospitare una società fondata su un insieme di valori e di regole, avrebbero potuto riservarsi i propri pregi e i propri difetti a prescindere dalle proprie dimensioni, tanto in orizzontale, quanto in verticale. E, francamente, Duva non era sicura che si sarebbe considerata più felice di essere in una città qualunque di Loicare rispetto a lì, dove era in quello stesso momento.
Certo... quella era Kriarya, la città del peccato, con una popolazione per lo più costituita da ladri e prostitute, mercenari e assassini. E, ciò non di meno, benché vivesse lì da relativamente poco tempo, ella non avrebbe potuto negare di aver assistito a momenti di straordinaria umanità, di mirabile solidarietà entro quelle mura anche e in misura maggiore rispetto a quanto non le fosse mai stato concesso di ritrovare altrove. Ciò senza neppur avere a prendere in considerazione un altro aspetto, e un aspetto che a lei stava da sempre particolarmente a cuore: la posizione della donna all’interno della società. Perché se in quel di Kofreya, certamente, la società avrebbe avuto a doversi intendere pesantemente improntata al patriarcato, a volte in termini a dir poco imbarazzanti; l’alta presenza di pericoli in quel di Kriarya, e la facilità a ritrovarsi morto ammazzato per mano tanto di un uomo, quanto ed egualmente di una donna, aveva contribuito, sicuramente anche con l’aiuto della mirabile riprova pratica offerta nel corso dei lustri dalla stessa Figlia di Marr’Mahew, a creare un clima di sostanziale parificazione di generi. Una parificazione di generi in aggiunta alla quale, inoltre, avrebbe avuto a dover essere intesa una quieta libertà di costumi, in termini tali per cui, in buona sostanza, a nessuno sarebbe sostanzialmente interessato se qualcuno avesse mantenuto una relazione con un uomo o con una donna, con un singolo o con un gruppo, a breve o a lungo termine: in quel di Kriarya, fondamentalmente, ognuno sarebbe stato libero di vivere la propria vita in assoluta indipendenza da ogni vincolo morale, in una straordinaria utopia la gestione della quale non avrebbe avuto a potersi intendere assolutamente semplice e, ciò non di meno, mirabilmente inebriante nel proprio risultato finale.
« Sai... non sono certa di voler vedere questo posto mutare... » si confidò quindi con Midda, quand’ella ebbe a raggiungerla sull’alto della cinta muraria della capitale, per meglio osservare il sito dal quale avrebbero avuto inizio i lavori di scavo « Mi prenderai forse per pazza... ma, francamente, a me piace Kriarya così com’è. »
« Ti capisco... » annuì la donna guerriero dagli occhi color del ghiaccio e dai capelli color del fuoco, innanzi al giudizio così espresso dall’amica sororale « Non a caso, fra tutti i posti del mondo e, anzi, dell’universo intero, ho scelto di vivere proprio in questa città... malgrado i suoi innumerevoli difetti e l’alto tasso di mortalità. »
« Un alto tasso di mortalità che, immagino, tu non abbia mancato a contribuire a rendere tanto elevato... » ironizzò quindi l’altra, scuotendo appena il capo.
« Sicuramente ho le mie responsabilità... ma, credimi, ho mietuto molte più vittime fuori da queste mura che al loro interno. » non negò, e neppure confermò, l’altra « Qui sono state più le scazzottate rispetto agli omicidi. Non che, comunque, abbiano a mancare almeno un centinaio di ritornati un tempo residenti di questa zona... »
« Uhm... » esitò allora Duva, aggrottando appena la fronte « Devo essere sincera... non avevo minimamente preso in considerazione questo aspetto della questione. » riconobbe, impensierendosi appena innanzi a tutto ciò « E fino a oggi nessuno si è fatto avanti per recriminare quanto accaduto...? »
« Considerando la vicinanza con la palude di Grykoo, e l’assuefazione che la gente di questa città ha nel confronto con i non morti... dubito che un qualunque ritornato un tempo residente da queste parti abbia avuto prendere in considerazione l’idea di rientrare in città. Troppo rischioso... » banalizzò l’Ucciditrice di Dei, stringendosi fra le spalle « Nulla toglie al fatto che, presto o tardi, inizieranno sicuramente a occorrere simili occasioni e, forse, anche per meglio arrivare a gestire a tempo debito tutto ciò, può essere importante, ora, riuscire a iniziare tutti insieme questo cammino di rinnovamento. »
« Non ti pare di star esagerando un po’...?! » contestò allora la donna che si era valsa il titolo di Furia Nera durante la battaglia per Lysiath, in un appellativo probabilmente non particolarmente politicamente corretto in riferimento al colore della propria pelle e, ciò non di meno, assolutamente piacevole per lei nel significato che, a tutto ciò, era stato attribuito « Con me non c’è bisogno che tiri in ballo spiegazioni tanto elevate sotto un profilo morale: limitati a dire che ti manca l’idea di usare un gabinetto e di farti una doccia... e lascia perdere ogni altra spiegazione più profonda. » ridacchiò, non mancando di canzonare un po’ l’amica a margine di tutto l’impegno che ella stava ponendo in tale iniziativa.
« Ovvio che mi manca! » non negò l’altra, annuendo vigorosamente « Perché...? Vuoi dirmi che tu sei felice di rischiare di ricevere una secchiata di urina in testa ogni volta che giri per le vie della città...?! » la provocò, in un rischio che avrebbe avuto a doversi considerare tutt’altro che remoto.
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