Così era anche per Y’Shalf. E, per Y’Shalf, il luogo divino per eccellenza avrebbe avuto allor a dover essere riconosciuto qual il Baratro di Luce.
Collocato circa al centro del territorio del regno, appena spostato verso oriente allorché occidente, il Baratro di Luce altro non avrebbe avuto a dover essere riconosciuto, più prosaicamente ma non per questo meno incredibilmente, qual una smisurata fenditura atta a spaccare letteralmente in due l’intero regno, con un’ampiezza variabile fra un miglio e un quasi due, e un’estensione di più di venti leghe, separata dal mare, a meridione del Paese, soltanto da un piccolo itsmo di terra, unica reale opportunità di attraversamento a sud, là dove, altrimenti, si avrebbe avuto necessariamente a ricercare la conclusione settentrionale della fenditura, nell’assenza di qualunque possibilità di ponte a congiungere quelle due estremità. Non che, nel corso della Storia, o forse del Mito, non fosse stato cercato un qualche genere di ricongiungimento fra quelle due metà: semplicemente ogni tentativo di edificare un ponte si era visto prematuramente interrotto da un qualche evento catastrofico, che avesse a essere un terremoto o, addirittura, una vera e propria esplosione di fuoco, direttamente dal cuore del mondo. Non a caso, era proprio il Mito a testimoniare quanto il Baratro di Luce altro non fosse che una ferita aperta nel cuore stesso del pianeta, e una ferita conseguente alla violenza imposta dal dio Gau’Rol, signore del fuoco, in contrasto alla propria prima antagonista, Teh’Maeth, la dea dei pascoli, nel tentativo dello stesso di avere ad affermare la propria superiorità sulla seconda.
Uno sfregio, insomma, e uno sfregio divino non poi così lontano da quello che Nissa, parecchi decenni prima, aveva imposto sul volto della propria gemella Midda, all’epoca da lei riconosciuta qual un’antagonista, e uno sfregio che lì era rimasto a imperitura memoria dell’accaduto… un po’ come, parimenti, il Baratro di Luce era rimasto a ricordo di quella brutale aggressione fra dei. Il perché, poi, con una tale storia alle spalle esso avesse a essere nominato qual “di Luce”, anziché “di Fuoco” avrebbe avuto a dover essere presto detto: perché il fuoco, pur lì non mancante, non di poneva visibile, perduto sul fondo di uno spacco apparentemente senza fondo; mentre, di notte, decisamente visibile era la luce che, proprio da quell’imperscrutabile fondo, aveva a sollevarsi verso il cielo, a tratti persino pulsante, quasi, effettivamente, lì avrebbe avuto a dover essere inteso presente il cuore stesso del loro mondo.
Cosa accomunava, allora, il Baratro di Luce e lo specchio di Degimirl?
Secondo quanto ricostruito da Sha’Maech, l’ultimo, tragico atto della vita della regina Id-Shemiril aveva avuto a veder qual teatro proprio il Baratro di Luce, contesto perfetto sia per l’eventuale scontro finale fra la sovrana e il proprio erede, sia per celebrare le esequie di una sì importante sovrana, ove altresì nessun effettivo conflitto fosse realmente occorso fra le parti.
Benché il Baratro di Luce non avesse a essere propriamente un luogo sorvegliato, infatti, la sacralità a esso legata non avrebbe avuto a concedere ad alcuno di riarrangiare quella peculiare conformazione geografica a qualche uso banale o quotidiano, per così come facile avrebbe potuto essere ipotizzato da parte di sguardi estranei qual quelli di Maddie e del suo gruppetto. Non un’altra valle del Gorleheim, quindi, in un’altresì facile analogia a quella spelonca adibita a inceneritore nelle vicinanze di Kriarya, nel quale avere a liberarsi di tutto ciò che non avrebbe avuto a poter trovare un altro semplice luogo di smaltimento, quanto e piuttosto un sito protetto dagli dei, nel quale blasfemo sarebbe stato avere a tradurre in una sorta di discarica o, anche e soltanto, di enorme fossa comune, o, ancor meno, un ibrido fra le due, per così come, appunto, in quel di Kriarya era la valle del Gorleheim. Tuttavia, e paradossalmente, forse involontaria ispirazione per l’origine della stessa valle del Gorleheim, o, quantomeno, per la sua dedicazione al dio Gorl, declinazione kofreyota dell’y’shalfico Gau’Rol. Lontano da usi e abusi da parte del popolo, quindi, il Baratro di Luce era comunque sede di numerosi riti, tanto da parte dei numerosi fedeli del dio Gau’Rol, quanto da parte, altresì, di coloro che professavano il proprio amore in direzione della dea Teh’Maeth; riti nel corso dei quali, a titolo di offerta votiva, erano riversarti all’interno del Baratro, non i rifiuti, quanto e piuttosto i tesori di quel regno. O, all’occorrenza, i propri più importanti sovrani.
Ecco quindi il collegamento con la regina Id-Shemiril, colei che successivamente era stata ricordata come Degimirl in una versione semplificata e banalizzata della propria storia. Ed ecco, ancora, il possibile luogo ove, per tanti secoli, era rimasto custodito il suo specchio, probabilmente tumulato insieme a lei nel fondo di quell’abisso.
« D’accordo… per essere arrivati, siamo arrivati. » sancì Howe, osservando lo spettacolo offerto dal Baratro di Luce, a metà fra l’apprezzamento e il dissenso « E, non so voi, ma io non me lo ero immaginato effettivamente… così grande! » ammise subito dopo, levando la mano a indicare quello squarcio smisurato, e uno squarcio misurato del quale a stento era in grado di poter contemplare l’altra sponda… figurarsi, quindi, l’intera estensione.
« Anche ammesso di giungere sani e salvi fino al fondo di questo abisso, per riuscire a trovare lo specchio di Degimirl qui sotto, probabilmente ci avrebbe a servire un altro specchio di Degimirl. » puntualizzò H’Anel, non potendo fare a meno di condividere lo scoramento espresso da Howe « Altrimenti potremmo trascorrere anni interi a perlustrarlo tutto quanto… »
« E’ una fortuna, allora, che qualcuno qui sia stato attento mentre il vecchio parlava. » replicò tuttavia M’Eu, a contraddire l’opinione dell’amico e della propria sorella maggiore, i quali, forse in conseguenza ai lunghi giorni di viaggio, sembravano essersi estemporaneamente scordati di un dettaglio importante nel merito di quanto loro presentato da Sha’Maech.
« Siamo in due… » confermò divertita Maddie, nel mentre in cui, a confronto con la loro meta finale, ebbe finalmente a potersi togliere di dosso l’impedimento impostole dal burqa « Ma non dimentichiamoci che era molto tardi ed eravamo tutti molto stanchi quando Sha’Maech ha parlato… quindi… »
H’Anel, ancora coperta dal burqa, e Howe ebbero allora a scambiarsi uno sguardo interrogativo, colti sinceramente in contropiede da quel dettaglio che non sembravano proprio in grado di rammentare, con buona pace di ogni personale senso d’orgoglio.
E, nel cogliere lo smarrimento del proprio fratello d’armi e di vita, Be’Wahr non poté che scoppiare a ridere sinceramente divertito, con un certo senso di rivalsa là dove, generalmente, quello additato come distratto, se non direttamente stupido, era proprio lui.
« Che ti ridi tu…? » protestò tuttavia lo shar’tiagho, indispettito dal fatto che il biondo stesse ridendo in quella maniera del loro momento di smarrimento « Dai… dicci tu quello che dobbiamo fare, visto che sei tanto bravo! » lo sfidò, certo del fatto che anch’egli non avrebbe avuto a rammentare nulla a tal riguardo.
Ma, non senza un sincero moto di soddisfazione da parte di Maddie in favore del proprio amato e amante, Be’Wahr non si lasciò cogliere impreparato e, allorché soddisfare la malignità del proprio fratello, egli ebbe lì a rispondere in maniera più che corretta a quella provocazione, offrendo esattamente l’informazione in tal provocazione invocata…
« Dobbiamo attraversare il passaggio meridionale e, dopo di che, dobbiamo risalire verso nord per circa tredici miglia. » scandì quindi Be’Wahr, volgendo il proprio sguardo, a tratti, verso Maddie, quasi a dirle, silenziosamente “Guarda come sono bravo! Non ti devi vergognare di me!”, benché, al di là di facili insicurezze, la donna dai capelli color del fuoco e dagli occhi color del ghiaccio non si sarebbe mai vergognata di lui, anche nel caso in cui non fosse stato capace di rispondere, o di rispondere correttamente, così come, tuttavia, stava lì facendo « A quell’altezza dovremmo trovare le rovine abbandonate di un antico templio, che, secondo Sha’Maech, anticamente doveva fungere da accesso per un livello inferiore del Baratro di Luce. Lo stesso accesso che ritiene sia stato utilizzato per la cerimonia funebre di Id-Shemiril, a non profanare in suo corpo gettandolo semplicemente nella fossa come pur è avvenuto in tempi successivi ad altri sovrani! »
« … » esitò Howe ammutolendosi, nel voler trovare qualcosa a cui aggrapparsi per canzonare il proprio fratello e, in ciò, recuperare il loro consueto equilibrio, e, ciò non di meno, non avendo obiettivamente a potersi appellare a nulla, là dove, in quell’occasione, Be’Wahr si era presentato in maniera a dir poco ineccepibile « Accidenti a te e a Sha’Maech! » imprecò alla fine, con aria sconfitta « Certo che anche lui si è messo a spiegare i dettagli dopo averci raccontato della rava e della fava per ore…! »
A quel punto non fu soltanto Be’Wahr a scoppiare a ridere, ma tutto il gruppo, inclusa la stessa H’Anel, ora a sua volta liberatasi del burqa, la quale, pur a sua volta dimentica di quel tutt’altro che trascurabile dettaglio, non poté che reagire con sincero divertimento a tutto ciò, e allo sfogo frustrato di Howe, una volta tanto messo alle strette dal proprio compare allorché l’incontrario.
« Ah ah… bravi tutti. Ridete voi altri! » protestò Howe, tutt’altro che offeso per quell’ilarità collettiva e, ciò non di meno, desideroso di mantenere un certo, sostenuto contegno, a non dimostrare di star accusando quel colpo, e, parimenti, di alimentare comunque quella risata, e una risata collettiva che, comunque, male non avrebbe loro fatto prima dell’inizio della seconda parte del loro viaggio…
… una seconda parte che, loro malgrado, ora avrebbe iniziato a riservare loro pericoli e minacce letali, ponendo in serio dubbio la possibilità di tornare nuovamente a ridere e scherzare tutti insieme come in quel momento.
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