11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

lunedì 22 ottobre 2018

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Riuscire a ricostruire la dinamica degli eventi presumibilmente occorsi non fu né semplice, né immediato per Midda Bontor. Non, soprattutto, nel dover prestare ben attenzione a ovviare all’eventualità di ritrovarsi a essere spiacevolmente sbugiardata, e sbugiardata, allora, nella necessaria messa in scena che ebbe a doversi riservare nel confronto con quella strizzacervelli, in tal senso animata dalla speranza di non concedere alcuna occasione a quella versione alternativa della propria amica di comprendere quanto, in lei, qualcosa non andasse e quanto, soprattutto, ella non avrebbe avuto a doversi minimamente fraintendere per una rediviva Madailéin Mont-d'Orb.
Alla fine di una lunghissima chiacchierata, tuttavia, Midda aveva avuto occasione di chiarirsi le idee sotto molteplici punti di vista, soprattutto a riguardo degli accadimenti spiacevolmente occorsi alla propria controparte locale…

Poco prima di compiere dieci anni, in quello che Jacqueline ebbe a definire qual l’anno 1985, Maddie e Rín, erano sopravvissute a un terrificante incidente automobilistico, qualsiasi cosa simile parola volesse significare, nel corso del quale, purtroppo, aveva altresì e tragicamente perduto la vita loro madre, in quel momento impegnata alla guida del loro veicolo. Un pesante autoarticolato, complice la stanchezza di un lungo viaggio da parte del suo tanto sventurato quanto colpevole conducente, non aveva rispettato una precedenza a un incrocio: così laddove, un istante prima, due bimbe stavano scherzando allegramente sul sedile posteriore dell’auto della madre, di ritorno da un quieto pomeriggio trascorso a nuotare in piscina, un istante dopo soltanto un groviglio di sangue e lamiere avrebbe avuto a dover essere lì riconosciuto presente. E se, purtroppo per tutti loro, per la loro genitrice non vi era stata occasione di scampo, uccisa sul colpo quando l’altro mezzo aveva quasi tagliato a metà la loro auto, tale la violenza dell’impatto subito, per le due bambine, pur sopravvissute almeno nell’immediato, l’esito della questione non aveva avuto occasione di delinearsi in termini particolarmente più favorevoli, propriamente più fortunati.
Esplosa dalla medesima carrozzeria dell’auto al momento dell’impatto, con impeto non dissimile da quello che ci si sarebbe potuti attendere dal proiettile di una pistola, una scheggia di metallo aveva violentemente attraversato il corpo della piccola Rín, trapassandole il morbido l’addome e fuoriuscendo, senza fatica alcuna, senza incontrare ostacolo alcuno, dalla sua schiena: in ciò la bambina si era improvvisamente ritrovata spinta a una distanza estremamente prossima a conseguire il triste fato della madre, e per quanto il tempestivo intervento dei soccorsi era stato in grado di concederle salva la vita, le conseguenze di quell’evento si erano dimostrate immediatamente evidenti all’attenzione dei medici che la operarono, definendo, per lei, non solo la perdita di qualche metro di intestino e di un rene, ma anche e ancor peggio uno stato di completa paralisi, coinvolgente la metà inferiore del suo corpo, per effetto del drammatico danno riportato dalla sua colonna vertebrale.
Più sfortunato, comunque, rispetto al già tragico epilogo della schiena della piccola Rín, era stato altresì il fato del braccio destro della propria gemella, della sventurata Maddie, il quale, ritrovatosi a essere praticamente ridotto a un ammasso informe di carne, ossa, metallo e vetri al momento dell’impatto, subendone in pieno tutta la violenza, tutta la forza, non aveva potuto essere in alcun modo salvato da parte dei chirurghi, dovendo essere da questi irrimediabilmente amputato nell’estremo tentativo di contenere l’altrimenti inarrestabile dissanguamento della bambina. Una scelta, la loro, che almeno nell’immediato aveva offerto evidenza di aver contenuto il rischio maggiore, ma che, per cause mai meglio definite, forse riconducibili all’incidente stesso, forse a una qualunque complicazione operatoria, non aveva condotto tuttavia la piccola Maddie a riprendersi, ritrovandola, altresì, in ciò condannata a un infausto stato di coma profondo: per più di trent’anni, trentatré per la precisione, ella era così stata mantenuta in vita soltanto dalle macchine, quelle macchine che l’avevano aiutata a respirare, l’avevano idratata, l’avevano nutrita, offrendo al suo corpo, pur estraniatosi al resto del mondo da lei circostante, occasione di sopravvivere tanto a lungo. Un’occasione, la sua, che in verità era stata realmente tale solo grazie all’amore dei suoi cari, di suo padre e di sua sorella, che mai, neppure per un fugace momento, si erano concessi occasione di dubitare delle sue possibilità di riprendersi, di risvegliarsi, neppure quando i giorni, sommandosi, erano divenuti settimane, e poi mesi, e poi stagioni, e poi anni, e addirittura lustri e decenni, vedendo il resto del mondo andare avanti, nel mentre in cui la piccola Maddie lì giaceva, da chiunque altro ormai data fondamentalmente per morta.

Trentatré anni: tanti erano passati da quando quell’incidente l’aveva vista precipitare in quell’isolamento dalla realtà, l’avevano vista cadere addormentata in un lungo sonno, e un sonno dal quale, alla fine, si era ripresa, si era risvegliata. E lei, bambina l’ultima volta che aveva potuto osservare il mondo, si era ritrovata improvvisamente donna, intrappolata all’interno di un corpo che non avrebbe potuto conoscere, senza più il proprio braccio destro, senza più la propria mamma, e con un padre invecchiato e una sorella a sua volta irriconoscibile, oltre che intrappolata su una sedia a rotelle.
Tante, troppe cose a confronto con le quali non aveva avuto occasione di dimostrarsi stupita, sorpresa, addirittura spaventata, così come sarebbe stato ovvio avvenisse. Tante, troppe cose a confronto con le quali se anche Jacqueline fosse stata la peggiore fra tutte le strizzacervelli di quel mondo, quasi obbligatorio sarebbe stato per lei cogliere quanto qualcosa non andasse. E, francamente, se anche Jacqueline Marchetti fosse valsa la decima parte della decima parte di Carsa Anloch, comunque non avrebbe potuto rivelarsi tanto sciocca da non cogliere quanto, qualcosa, in lei non andasse.

“Sono fregata…” non poté che concludere Midda, prendendo in tal maniera al vaglio anche l’eventualità di provare ad affrontare apertamente, con lei, la realtà dei fatti, e quella realtà atta a presentarla non qual la vera Madailéin Mont-d'Orb, quanto e piuttosto una versione alternativa della medesima, una versione alternativa proveniente da un altro mondo, da una altro universo, lì precipitata a seguito dell’invito offertole dal semidio proprio sposo di risvegliarsi “… e sarà così che mi chiuderanno in un manicomio per il resto della mia esistenza.” concluse in maniera autonomamente critica il proprio stesso flusso di coscienza, escludendo quell’eventualità, avendosi a riconoscere già in una situazione sin troppo complicata per potersi permettere di renderla ancora più complessa, ancora più ingarbugliata.
« … è tanto… da digerire… » si limitò quindi a commentare, cercando di dimostrarsi quanto più possibile confusa, benché tale confusione, simile disorientamento avrebbero avuto a doversi considerare spiacevolmente tardivi nel confronto con quanto, piuttosto, avrebbe dovuto già aver provato sin dal primo istante del proprio risveglio.
« Lo immagino. » annuì sempre accondiscendente la sua interlocutrice, osservandola con espressione serenamente impassibile, apparentemente ignara di tutte quelle tutt’altro che piccole incongruenze che avrebbero avuto a dover essere addebitate alla propria paziente « Ed è proprio per questa ragione che è importante che tu abbia a prenderti tutto il tempo necessario per… “digerire”… quanto è accaduto. »
Midda si limitò ad annuire, ipotizzando che meno allora avrebbe avuto a esprimere e meglio sarebbe stato per lei, e per la posizione che avrebbe desiderato difendere.
« Come ti ho già detto sin da subito, trovo il tuo caso estremamente affascinante, Maddie. » riprese Jacqueline, sciogliendo elegantemente l’intreccio delle proprie gambe solo per potersi rialzare dalla sedia sulla quale si era accomodata, sistemandosi delicatamente la gonna necessariamente sollevatasi un po’ tropo lungo le proprie splendide cosce « Avrai tempo di spiegarmi come hai vissuto questi ultimi trentatré anni della tua esistenza, ma da quello che traspare, per come ti sei comportata sino a ora, è già chiaro quanto, in questo momento, in te non sia una bambina di nove anni appena risvegliatasi da un lungo sonno, quanto e piuttosto una donna di esperienza… e una donna di esperienza così come soltanto potresti essere avendo vissuto un’intera vita. » osservò, in parole che avrebbero potuto essere intese quali trasparenti del fatto che ella avesse, in effetti, colto già tutto di lei e della propria situazione « E nei prossimi giorni, quanto spero mi concederai occasione di fare è proprio conoscere questa donna… » asserì, strizzando appena l’occhio sinistro, con fare di amichevole complicità verso di lei, in quanto avrebbe avuto allora a doversi riconoscere qual ben lontano da una possibile conclusione del loro dialogo.

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