11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

mercoledì 24 ottobre 2018

In memoria di mia nonna

NOTA INTRODUTTIVA: Questa mattina, intorno all'una, il telefono di casa ha squillato per comunicarmi la tragica notizia della dipartita di mia nonna Gaetana "Nella" Visicaro, nata il 17 maggio 1924 da Francesco Visicaro e Maria Concetta Parisi, e madre di mio padre. Mia nonna si è spenta nel sonno, così come da sempre aveva sperato di poter fare e, in questo, non posso che essere felice per lei, per quanto il vuoto che lascerà nelle vite di coloro che l'hanno amata sarà incommensurabile.
Dopo la fine della telefonata, la prima cosa che ho fatto è stata quella di prendere il mio Breviario, un suo dono, e di recitare una parte dell'Ufficio dei Defunti. Poi, mi sono seduto alla scrivania e ho scritto di getto il breve racconto che segue, una digressione fra Midda e i propri bambini sulle proprie radici e, in particolare, sulla nonna che, per lei, è stata sicuramente un riferimento importante, e della quale ho già narrato in molteplici, altre, occasioni, una fra tutte ne "La canzone di Midda". Ora sono le quattro del mattino, e, dopo aver concluso questa narrazione, credo che potrò concedermi anche io l'occasione di piangere.
Arrivederci nonna... grazie per ogni cosa e scusami se, forse, non sono riuscito a essere il nipote che avresti voluto fossi.


« Mamma…? » la apostrofò il piccolo Tagae, sollevando lo sguardo dall’esecuzione dei calcoli matematici sui quale ella stava allora impegnando lui e sua sorella, come ogni mattina, in accordo a quello che, ormai da più di un anno, sin da quel lungo momento di prigionia a bordo della nave della Loor’Nos-Kahn, aveva definito essere il loro piano di studi.
« … non vale farsi aiutare… » lo rimproverò con diligente severità Liagu, aggrottando la fronte senza neppure spostare il volto dal foglio sul quale avrebbe avuto a doversi riconoscere china in quel momento, e, ciò non di meno, non risparmiando un’impietosa occhiataccia al fratello, osservandolo di sbieco.

A sua volta impegnata, nel contempo degli attenti calcoli dei propri figli, nello studio e, per la precisione, nello studio della lingua franca parlata fra le stelle, di quel compromesso che i primi viaggiatori fra le stelle si erano riservati per riuscire a comunicare reciprocamente senza, in ciò, veder prevaricata la cultura dell’uno piuttosto che quella dell’altro, nel preferire una lingua a un’altra; Midda Namile Bontor non poté ovviare a trattenere un sorriso nel confronto con la reazione di Liagu, in molti comportamenti della quale, sovente, non avrebbe potuto ovviare a ritrovare, malgrado l’assenza di qualunque relazione di sangue, quella propria della sua compianta sorella Nissa, quando ancora avrebbero avuto a dover essere ricordate bambine.
Come Nissa prima di lei, anche Liagu, infatti, non avrebbe mancato di offrire un carattere per lo più docile, quasi sommesso nei confronti di quello più vivace e impetuoso del fratello, salvo, nella propria apparente mitezza, non risparmiare i propri rimproveri, anche e soprattutto a discapito dello stesso Tagae, nel momento in cui le colpe del medesimo avrebbero avuto a doversi dimostrare evidenti, ed evidenti innanzi al proprio personalissimo metro di giudizio, allo stesso modo in cui, anche a lei non erano mai state risparmiate, a suo tempo, e in effetti per tutto il resto della propria esistenza, dalla sua gemella. Un parallelismo quasi dolce, quello che non avrebbe potuto ovviare a identificare esistente fra lei e Nissa e fra Tagae e Liagu, che pur, a confronto con il tragico dramma della propria esperienza personale, non avrebbe potuto quasi avere a che temere, nell’eventualità che, a loro volta, anche i propri figli seguissero le stolide orme della loro genitrice e della zia mai conosciuta.
Scuotendo allora la testa, quasi a scacciare fisicamente quei cattivi pensieri dalla propria mente, Midda non poté comunque ovviare a rispondere all’appello del figlioletto, con buona pace dei timori espressi dalla bimba sull’eventuale aiuto che egli avrebbe potuto richiederle…

« Dimmi, Tagae. » lo invitò a esprimersi, inserendo un segnalibro all’interno del testo di grammatica che stava leggendo, per poter così rivolgere tutta la propria attenzione verso il pargolo.
« Perché tu hai due nomi e papà ne ha uno solo…? » domandò questi, in un interrogativo assolutamente estraneo ai calcoli che avrebbe dovuto star eseguendo, a dimostrare quanto, in effetti, la sua mente non fosse poi così concentrata sugli stessi.
« In che senso…? » questionò ella, colta in sincero contropiede da tale domanda, e, per questo, per un fugace istante persino impossibilitata a ricordare il proprio stesso nome, allor oggetto di legittima curiosità da parte del bambino.
« Tu ti chiami Midda Namile Bontor… mentre papà si chiama solo Be’Sihl Ahvn-Qa. » osservò Liagu, intervenendo nella questione e dimostrando tutta la propria attenta preparazione anche sotto quel frangente « Due nomi… Midda e Namile. No…? »  cercò conferma, ora interrompendo a propria volta i calcoli in corso per potersi dedicare, con curiosità, all’argomentazione sollevata dal fratello.
« Beh… sì. » sorrise divertita la donna, dovendosi sforzare nell’ovviare a scoppiare a ridere nel vedersi ricordato il proprio stesso nome dai figlioli, allor attratti da quella disparità con l’ingenuità propria dei bambini, nelle più innocenti domande dei quali non avrebbe potuto che essere colta la continua ricerca di piccole e grandi verità, sulla vita, sull’universo, e su tutto il resto.
« E perché…? » insistette Tagae, incrociando le braccia sul tavolo, e così appoggiandosi per far leva e sollevarsi un po’ di più verso la genitrice adottiva, non avendo ancora ricevuto da questa una risposta al proprio interrogativo.
« E’ una tradizione della gente dell’isola dove sono nata… » sorrise la donna, offrendo lumi attorno a simile arcano, in quella che, probabilmente, non avrebbe avuto a dover essere considerata poi una grande rivelazione, e che pur altro non avrebbe avuto a dover essere riconosciuta che la verità dei fatti « A Licsia, a rendere onore alle proprie radici, alla propria Storia, a tutti i nuovi nati, accanto a un primo nome proprio, viene sempre posto un secondo nome, ereditato dai nonni per i bambini, e dalle nonne per le bambine. » argomentò quietamente, passando con lo sguardo da Tagae a Liagu e viceversa « Namile era la mamma di mia mamma, mentre Ronae era la mamma di mio papà: così a mia sorella venne dato il nome Nissa Ronae, e a me, invece, Midda Namile, a ricordarci sempre di essere parte di una storia più grande di noi, che è esistita prima di noi e che continuerà a esistere anche dopo che noi non saremo più. »
« E nonna Namile vive ancora a Licsia…? » domandò il pargolo, evidentemente desideroso di conoscere maggior dettagli nel merito di quella figura così intimamente connessa alla sua mamma, in un quesito forse ingenuo e, ciò non di meno, corretto nella propria formulazione.
« No, piccolo mio. » scosse il capo ella, con un sorriso ora necessariamente malinconico, nel porsi ben consapevole di aver perduto molte, troppe occasioni di addio in quel lontano giorno del proprio passato nel quale aveva deciso di allontanarsi da casa propria per esplorare il mondo, per vivere tutte quelle meravigliose avventure la narrazione delle quali da sempre l’aveva attratta « Nonna Namile è salita al cospetto degli dei molti anni or sono. »
« Della dea Thyres…? » questionò Liagu, fondamentalmente ignorante nel merito del culto del quale, pur, la madre avrebbe avuto a dover essere considerata fedele professante, e, ciò non di meno, avendole sentito invocare, o imprecare, quel nome così tante volte da averlo ormai quietamente acquisito come dato di fatto.
« Della dea Thyres, e di tutti gli altri dei del nostro pantheon. » confermò Midda, sospirando appena « E’ innanzi al loro giudizio che anche io, un giorno, avrò a ritrovarmi, dovendo rendere conto di tutte le azioni che ho compiuto in vita mia, di coloro che ho amato, di coloro che ho odiato; di coloro a cui ho graziato la vita e di coloro a cui, invece, l’ho negata; di quando sono stata coraggiosa e, anche, di quando invece ho agito vigliaccamente, sottraendomi alle mie responsabilità, sottraendomi ai miei doveri. » spiegò, in quello che, almeno dal proprio punto di vista, avrebbe avuto a doversi considerare il senso stesso della vita, un senso che, ella, aveva quietamente accettato molti anni prima « Comunque è interessante che mi stiate chiedendo di nonna Namile, sapete…? »
In silenzio i due bambini la osservarono, attendendo che la retorica alla base di quella domanda potesse concretizzarsi in una qualche spiegazione nel merito di quanto, ovviamente, essi non avrebbero potuto vantare alcuna conoscenza pregressa.
« Nonna Namile non è stata soltanto una nonna, per me e Nissa: è stata, in effetti, la nostra tutrice, il nostro mentore. » spiegò, rievocando giorni di un lontano passato, e di quel lontano passato in assenza del quale, tuttavia, quel loro stesso presente non sarebbe mai stato « E’ stata lei a insegnarci a leggere, a scrivere e a far di calcolo… che, nel mio mondo, è molto più di quanto la maggior parte delle persone possono vantare di essere in grado di compiere. » puntualizzò, non qual ragione di demerito per la scarsa cultura del proprio pianeta d’origine, quanto e piuttosto qual ragione di merito per la sua mai abbastanza compianta nonna Namile « E quante gliene abbiamo combinate… gliene ho combinate! » soggiunse poi, sorridendo divertita a quel ricordo « Vedete, non è che io fossi proprio un’allieva modello… »

Una rivelazione, quella che ella ebbe così a condividere con i due bambini, che non poté mancare che esaltare il piccolo Tagae, a sua volta poco entusiasta di aver a che fare tutti i giorni con lo studio e i compiti, e che, parimenti, non poté mancare di suscitare un sospiro di malcelato rimprovero da parte di Liagu, la quale, al contrario, sembrò quasi voler criticare la scelta della madre di condividere loro quel dettaglio, offrendo al fratello ragioni utili per dimostrare ancor meno entusiasmo rispetto a quanto già non fosse solito riservarsi nel confronto con lo studio.

« E nonna Namile come reagiva alle tue marachelle…? » domandò quindi la bambina, sperando in una risposta che potesse imporsi utile monito innanzi alle eventuali velleità di ribellione del fratello.
« Oh… sempre con tanta pazienza. Tanta pazienza e tanto amore. Ma, anche, tanta severità. » puntualizzò Midda, sorridendo a quel ricordo « E, probabilmente, se la notte in cui io sono scappata di casa l’avessi incontrata, mi avrebbe fatto passare la voglia di imbarcarmi con una bella pedata sul fondoschiena, rispedendomi a letto con la promessa di darmi il resto la mattina successiva! » ridacchiò, ritrovandosi, quasi senza volerlo, gli occhi lucidi di lacrime, nel confronto con una simile immagine mentale, con una tale idea, quanto mai realistica di ciò che sarebbe potuto avvenire « Per fortuna, o purtroppo, non l’ho incontrata… e, in effetti, non ho neppure mai avuto occasione di salutarla o di dirle addio. Così come non ho avuto neppure occasione di dire addio a mia madre… e a tante altre persone a cui ho voluto bene e che mi hanno voluto bene. » continuò a parlare, in un discorso sempre più dolceamaro, necessariamente carico di rimpianti e di sensi di colpa al confronto con l’idea delle proprie colpe, e di quelle stesse colpe delle quali, un giorno, avrebbe dovuto rendere conto agli dei tutti, ma che, per intanto, non avrebbero potuto ovviarle incommensurabile tristezza all’idea di quanto dolore, purtroppo, ella dovesse aver imposto in quella fatidica notte a tutte le persone colpevoli, soltanto, di averla amata.

E se, senza rendersene conto, ella ebbe a ritrovarsi il volto rigato da calde lacrime, fu questione di un attimo che, ancora una volta senza maturarne reale coscienza, ella ebbe anche a ritrovarsi stretta nell’abbraccio dei due bambini, i quali, levatisi dalle proprie sedie, erano così corsi uno alla sua sinistra, l’altra alla sua destra, per stringersi a lei, e per dimostrarle tutto il proprio affetto, tutta la propria vicinanza, in quell’intimo confronto con emozioni, evidentemente, troppo grandi per poter essere quietamente gestite anche dalla leggendaria Figlia di Marr’Mahew, dall’Ucciditrice di Dei, dalla Campionessa di Kriarya, dalla donna da dieci miliardi di crediti.

« Scusate… non so cosa mi sia preso. » sussurrò Midda, scuotendo appena il capo nell’angoscia che, in quel momento, le stava serrando la gola.
« Mamma… non essere triste. » la invitò il piccolo Tagae, tentando di consolarla laddove, in caso contrario, anch’egli non avrebbe potuto ovviare a sentirsi in colpa, e a sentirsi in colpa per aver fatto stupidamente piangere loro madre con una domanda del tutto inconsulta.
« Mamma… » la richiamò anche Liagu, stringendosi a lei già a sua volta con le lacrime agli occhi, non potendo ovviare a provare empatia per il dolore così provato dalla genitrice « Io sono certa che nonna Namile ti voglia ancora tanto bene, e che ti osservi ogni giorno, vegliando su di te insieme agli dei tutti, e raccontando loro con orgoglio come ti abbia cresciuta bene, come ti abbia insegnato tante cose, e ti abbia permesso di essere la mamma straordinaria che sei ora con noi. »

Parole cariche di infantile ingenuità, e, al contempo, di ferma convinzione, quelle proprie della piccola Liagu, che non poterono concedere altra possibilità alla donna se non quella di una completa esplosione di lacrime, e di calde lacrime che, dal suo volto, discesero allora sino al mento, e da lì a bagnarle la gola e il petto, nel mentre in cui ella ebbe a stringere con dolcezza, e con delicata forza, i due bambini a sé. Lacrime, le sue, or non più soltanto di dolore, ma anche di gioia, e di gioia per l’amore che, probabilmente immeritato, le stava venendo tributato da quei due pargoli, e quei due pargoli a confronto con i quali, più sovente di quanto mai avrebbe potuto credere, ella non avrebbe potuto ovviare a scoprirsi allieva ancor prima che maestra, imparando da loro decisamente più di quanto mai avrebbe potuto loro insegnare.
E lungo, incredibilmente lungo, fu quell’abbraccio, e quell’abbraccio dal quale i due bambini non si sottrassero, anzi stringendosi a lei, e a lei stringendosi nell’intento di trasmetterle, con la forza dei propri abbracci, tutto il proprio affetto, tutta la dimostrazione della propria presenza. E solo quando, alfine, ella ebbe a ritrovare il proprio perduto equilibrio emotivo, essi accettarono di lasciarla, per ritornare a sedersi ai propri posti, attorno a quel tavolo nella sala mensa della Kasta Hamina eletto a propria scuola, con il proposito di riprendere i calcoli interrotti, avendo decisamente saziato la propria voglia di conoscenza nel merito di quel particolare inconsueto proprio del suo nome.
Ma, a interrompersi in tale ripresa, allora, fu proprio la piccola Liagu, colei che pocanzi tanto severamente aveva giudicato il fratello per la distrazione riservatasi rispetto ai loro compiti, riprendendo voce verso la madre e promuovendo qualcosa di assolutamente inedito per loro, ma anche per lei…

« Anche Tagae e io meritiamo un secondo nome. » sancì con ferma convinzione, in quella che, in effetti, non avrebbe avuto a dover essere intesa qual una proposta, quanto e piuttosto, una risoluzione, una decisione già presa e che, in tutto ciò, stava semplicemente venendo comunicata.
« … come…? » esitò Midda, temendo di non aver compreso.
« L’hai detto tu. » intervenne Tagae, nell’aver ben colto l’iniziativa della sorella « Bisogna rendere onore alle proprie radici, alla propria Storia… »
« Anche noi vogliamo essere parte della storia tua e di papà. » incalzò Liagu, annuendo con ferma convinzione « Siamo vostri figli. E nonna Namile deve poter essere fiera anche di noi, davanti agli dei! »

Un nuovo nodo in gola non poté che attentare, ancora una volta, alla respirazione della donna guerriero, la quale, così incalzata dai propri figli, non avrebbe potuto desiderare altro che concedersi nuovamente occasione di pianto, e di commosso pianto per quel dono meraviglioso da essi rappresentato, un dono che mai avrebbe realmente meritato e che pur, in quel momento, in quel frangente, avrebbero avuto a doversi considerare parte della propria vita.
Ma, sforzandosi di mantenere un certo contegno, un certo decoro, ella si impedì, allora, di cedere ancora una volta tanto facilmente alle lacrime, e si sforzò di deglutire, e di inspirare a fondo dal naso, a imporre al proprio cuore di affrontare con quanta più quiete possibile quella situazione…

« Come si chiama la mamma di papà…? » insistette la bambina, evidentemente desiderosa di quell’informazione, di quel dettaglio, per conoscere quello che avrebbe assunto, per propria esplicita volontà, qual proprio nuovo nome.
« Ras’Meen… » rispose, riportando per un istante il pensiero all’immagine di quella donna straordinaria, in compagnia della quale si era trattenuta troppo poco tempo, ma che non avrebbe potuto ovviare a ricordare con sincero affetto e incommensurabile gratitudine, e gratitudine per aver messo al mondo il proprio amato Be’Sihl « Si chiama Ras’Meen. » ripeté, augurandosi che ella potesse godere ancora di ottima salute, benché fossero ormai passati diversi anni dal loro incontro.
« E allora d’ora in poi io mi chiamerò Liagu Ras’Meen! » sancì la prima, fiera di poter accogliere quel nome, e legare maggiormente il proprio presente al passato della propria famiglia, di una famiglia consapevolmente adottiva, ma di una famiglia che non avrebbe potuto amare più di quanto non amasse, e che, ne era certa, non l’avrebbe potuta amare di più di quanto non l’amasse.
« E tuo papà…? » domandò Tagae, avendo compreso il ragionamento della sorella e desiderando, a sua volta, ricevere il proprio secondo nome.
« Nivre… » replicò ella, costretta a stringere le labbra per contenere l’emozione propria nello scandire il nome di suo padre, e di quel padre che, sperava, ancora stesse attendendo il suo ritorno dall’altra parte dell’universo, nel loro pianeta natale.
« Quindi tu sarai Tagae Nivre. » definì Liagu, ribattezzando in tal maniera anche proprio fratello « Ora dobbiamo solo imparare a scrivere i nostri nuovi nomi! » soggiunse poi, osservando la carta innanzi a sé, con i calcoli incompiuti, e ritrovandosi, tuttavia, desiderosa di lasciar perdere quell’esercizio per dedicarsi a quel nuovo compito e a quel nuovo compito che non avrebbe potuto ovviare a entusiasmarli.

E per quanto, in cuor suo, la donna guerriero non avrebbe potuto essere effettivamente certa dell’eventualità che nonna Namile, o che sua madre Mera, insieme agli dei, stessero allor volgendo a lei uno sguardo d’orgoglio, tante, troppe avrebbero avuto a doversi considerare le sue mancanze e le sue colpe, l’ultima fra tutte le quali l’uccisione della propria stessa gemella Nissa; a confronto con tutto quello, innanzi alla fierezza dimostrata dai propri figli adottivi nel confronto con quei nomi, e con quei nomi allor pretesi quali propri, e pretesi quali propri per reclamare, quale propria, anche la Storia della propria famiglia, e di quella famiglia nella quale non si erano semplicemente ritrovati a nascere, ma avevano volontariamente deciso di essere parte, e di essere parte con tutto il proprio impegno, con tutto il proprio affetto, Midda Namile Bontor non avrebbe potuto ovviare a essere meno che assolutamente certa di quanto, insieme agli dei, nonna Namile, sua madre Mera, e tutti gli antenati suoi e di Be’Sihl, stessero allor volgendo proprio in direzione di quei due pargoli mai conosciuti in vita uno sguardo d’orgoglio, reclamando innanzi agli dei tutti la propria parentela con loro, con quella coppia di bambini che non avrebbero potuto non voler amare, e non voler amare con tutto l’affetto proprio di una famiglia.
Così, che ella potesse volerlo o meno, una nuova coppia di lacrime ebbero a farsi strada dalle sue gote sino al suo mento, nella certezza di quanto, al momento in cui anch’ella avrebbe avuto a doversi presentare al cospetto degli dei, accanto a tutte le proprie colpe, a tutte le proprie mancanze, certamente una cosa buona avrebbe potuto addurla: essere stata destinataria dell’amore di quei due bambini.

« Liagu Ras’Meen… » apostrofò la piccola, nel mentre in cui ebbe così ad alzarsi dalla propria sedia per potersi spostare verso quella della bambina, genuflettendosi accanto a lei per stringerla in un dolce abbraccio e schioccarle un bacio sulla guancia, rialzandosi, poi, e spostandosi verso suo fratello, al quale destinò il medesimo trattamento « Tagae Nivre… » lo chiamò, risollevandosi per osservarli con incommensurabile amore e orgoglio « Nonna Namile non ha avuto, purtroppo, l’occasione di conoscervi… ma se c’è qualcosa di cui oggi sono certa è quanto, al cospetto degli dei, ella stia ora elargendo le proprie benedizioni su di voi, bambini miei. » dichiarò, a parafrasare quanto prima suggeritole dalla stessa bambina « Siete certamente il suo orgoglio, bambini… credetemi. »

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