Conclusa quella lunga, e tutt’altro che semplice, colazione, trasformatasi di fatto in una sorta di concilio fra tutti i membri del suo variegato clan, Midda Bontor, signora di Kriarya, ebbe a dover iniziare ad affrontare la propria ancor più lunga, e ancor meno semplice, giornata. E nella varietà di impegni, il primo a confronto con il quale scelse di porsi fu quello con la comunità delle desmairiane o, per meglio dire, con quelle duecento e quarantotto figliastre che fino al giorno prima neppure era consapevole di avere, ma che, comunque, verso di lei provavano straordinaria stima e incontrovertibile fiducia, al punto tale da aver accettato, in buona sostanza, di asservirsi ai suoi voleri ancor prima di avere occasione di conoscerla.
E se, nel giorno antecedente, ella non aveva avuto alcuna possibilità di dedicare loro la giusta e necessaria attenzione, avendo giustappunto occasione di maturare coscienza della loro esistenza e del fatto che non avessero a doversi fraintendere qual una minaccia; in quel nuovo giorno, il primo del suo effettivo rientro in città dopo gli eventi che l’avevano tenuta lontano da lì per qualche tempo, ella non avrebbe potuto ovviare a dedicare loro la giusta attenzione. Ragione per la quale, accompagnata da Siggia, nonché da Be’Wahr e M’Eu in quel sostanziale ruolo di ambasciatori che avevano reso involontariamente proprio nel corso della loro avventura della realtà per esse natia, ella non mancò di dirigersi immediatamente verso il perimetro esterno della città, al di fuori della cinta muraria, là dove, almeno per il momento, esse avevano deciso di stabilirsi, non avendo a soffrire di ciò là dove, dopotutto, abituate da secoli, se non millenni, di vita nomade in un territorio decisamente ostile per così come quello assolutamente non era, né avrebbe mai potuto egualmente essere.
Come già il giorno prima, anche allora la sua sola apparizione fra le schiere delle desmairiane non poté mancare di suscitare vivace interesse da parte di tutte loro, quasi avesse a dover essere considerata una sorta di celebrità. E proprio qual una sorta di celebrità, se non, in effetti, la loro unica celebrità, ella avrebbe avuto a dover essere riconosciuta, là dove, senza alcuna reale intenzione da parte sua a tal riguardo, il suo ruolo di Ultima Moglie, e il suo approccio di sfida nei riguardi di Desmair, in misura addirittura utile a soverchiare per sempre ogni precedente ordine costituito, ella non aveva potuto che assurgere a una vera e propria gloria immortale innanzi al loro giudizio, proponendosi quanto di più prossimo non tanto a una divinità, in termini che non avrebbero avuto a interessare quelle donne che, comunque, avevano in se sangue divino e sangue divino derivante dal padre di loro padre, dal dio Kah, quanto e piuttosto a un’ispirazione, e a quell’ispirazione che mai, prima di lei, era stata loro realmente concessa. Con il proprio esempio, infatti, ella aveva avuto a dimostrare quanto in maniera concreta ogni loro passata convinzione, ogni loro trascorso impegno volto a tentare di difendere la propria identità da ogni corruzione propria del mondo in cui erano nate e cresciute non avrebbe avuto a dover essere giudicato vano, là dove, a dispetto di ogni apparenza, nulla avrebbe avuto a dover essere considerato immutabile... neppure il dominio imposto da loro padre. Un’ispirazione che, in misura ancor più marcata, aveva avuto occasione di confermarsi innanzi ai loro sguardi a confronto con quella nuova vita che, per merito suo, stava venendo loro concessa: un merito del quale, in effetti, Midda Bontor avrebbe avuto qualche problema di ordine morale ad attribuirsi, nell’essere giunta nella questione soltanto a giuochi fatti, e che, ciò non di meno, le stava venendo comunque riconosciuto in quanto, dopotutto, Be’Wahr e M’Eu erano giunti a loro come suo alleati, come suoi amici, lì intenti a ricercare proprio lei e, in tale ricerca, dimostratisi capaci di segnare un nuovo cammino per tutte loro... e un cammino verso una nuova vita, e un’insperata libertà.
Così, che Midda Bontor potesse volerlo o meno, le desmairiane, quelle sue duecento e quarantotto semidivine e immortali figliastre, non avrebbero potuto ovviare a guardare a lei con occhi sgranati, carichi di stupore e di ammirazione, benché, in mezzo a loro, ella non avrebbe potuto che risultare simile a uno scricciolo, e a uno scricciolo verso il quale non aver razionalmente a poter rivolgere la benché minima attenzione...
« Ultima Moglie... benvenuta fra noi! »
A rivolgersi in quei termini verso di lei, accogliendola al centro del loro accampamento, fu Ghora, figlia della nona moglie e, in effetti, la terza figlia di Desmair, benché non vi fosse fra loro tradizione di appellarsi in tali termini.
La più anziana fra tutte le desmairiane lì presenti, fra tutti i Rossi, per così come un tempo si sarebbero appellate, anziana in termini anagrafici, certo, ma non in termini biologici, là dove, come per tutte le altre, il loro processo di invecchiamento sembrava essersi arrestato con il raggiungimento della piena maturità fisica; per ovvie ragioni Ghora non avrebbe potuto che ricoprire un ruolo di sostanziale comando all’interno di quella loro comunità, un ruolo più che meritato in conseguenza all’impegno da lei profuso in quegli ultimi secoli, se non millenni, per tentare di preservare la loro salute, tracciando per prima quelle linee di condotta indispensabili a impedire loro la corruzione dei Bianchi, e la medesima corruzione che, in verità, non aveva mancato anche di coinvolgere le prime due figlie, sue sorellastre maggiori. E proprio in virtù di tale ruolo di comando, ella non avrebbe potuto che farsi portavoce, anche in quel momento, di tutte loro, a confronto con l’Ultima Moglie.
« Tu devi essere... Ghora. » ipotizzò la Figlia di Marr’Mahew, cercando di ricordare e di scandire correttamente il nome per così come anticipatole da Siggia, in quieta preparazione a quell’incontro « Figlia della nona moglie. E’ un piacere conoscerti. » dichiarò, accennando un lieve inchino contraddistinto da sincero rispetto verso di lei, per così come ben pochi avrebbero potuto vantare di essersi veduti tributare da parte sua.
« Il piacere è nostro, Ultima Moglie. Te lo assicuro. » dichiarò per tutta risposta l’altra, posta quasi in imbarazzo da quel gesto, e da quel gesto che, certamente, non si attendeva.
Benché Midda Bontor non fosse solita riservarsi imbarazzi di sorta nel porsi a confronto con uomini, mostri o dei, e benché, in effetti, non avesse avuto a riservarsi imbarazzo di sorta neppure nell’uccidere il loro nonno paterno, il dio Kah, episodio che le era valso l’appellativo di Ucciditrice di Dei, all’inizio di quella nuova era, di quel nuovo e diverso approccio nei riguardi del mondo a se circostante, ella non desiderava trascurare di riconoscere il necessario rispetto a quelle interlocutrici, e a quelle interlocutrici al cui cospetto, in fondo, ella null’altro avrebbe avuto a poter essere intesa se non una semplice, ed effimera, mortale. Non per timore nei loro confronti, là dove mai si era lasciata dominare da timore né nei riguardi di Desmair loro padre, né, per l’appunto, nei riguardi di Kah loro nonno; quanto e piuttosto animata, per l’appunto, dal desiderio di concedere loro quel giusto rispetto, e quel rispetto che, dopotutto, non avrebbe potuto essere loro negato se non anche e soltanto a confronto con il reciproco, e smisurato rispetto da loro stesse già dimostrato, e tributato, nei suoi confronti, ancora prima di avere occasione di conoscerla.
« Ti prego, Ghora... e prego tutte voi, di cui, vi prometto, cercherò di imparare i nomi: chiamatemi soltanto Midda. » sancì, rivolgendosi non soltanto alla propria diretta interlocutrice, ma anche alla silenziosa folla circostante, in attento ascolto di quel dialogo « Ho avuto modo di comprendere quanto questo particolare appellativo, Ultima Moglie, sia accompagnato da un’aura quasi leggendaria a confronto con la quale non mi sento obiettivamente degna. Preferisco, quindi, che abbiate a relazionarvi tutte con me come con una qualunque mortale... lasciando che, all’occorrenza, siano i miei meriti futuri a concedermi occasione di rendermi degna del vostro rispetto e della vostra ammirazione. » esplicitò, a meglio argomentare il senso del proprio invito, della propria richiesta.
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