11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

lunedì 21 gennaio 2008

011


M
idda era donna.
Nessuno, incontrandola, avrebbe mai avuto dubbi a tal proposito. Il suo corpo appariva estremamente femminile: le sue curve non risultano assolutamente mortificate dalla presenza di una muscolatura atletica e temprata; il suo viso non veniva in alcun modo umiliato dalla cicatrice presente sull’occhio mancino di lei, mostrandosi attraente e conturbante come quello di una principessa d’oriente negli occhi penetranti e nelle labbra carnose; la sua pelle traspirava sensualità da ogni fibra del suo essere.
Nulla in lei poneva incertezze sul suo essere donna.
Era donna e proprio quel suo essere donna vedeva il ruolo di guerriero come una conquista maggiore di quanto non sarebbe stato per un uomo: non tanto per un discorso di sessismo, non tanto per un’impronta ovviamente maschilista nella società in cui viveva, che in molte terre vedeva le donne essere proprietà dei propri padri o mariti, quanto per un mero discorso di sopravvivenza. Per poter essere la donna guerriero che era diventata, ella aveva dovuto affrontare i migliori soldati di ogni esercito, aveva dovuto vincere i più forti combattenti di ogni terra, imponendosi su essi in duelli spesso privi di ogni regola al di fuori di quella che imponeva di uccidere per non essere uccisa. Ed il fatto che ella era sempre sopravvissuta non si poteva addurre a mera fortuna, così come non si poteva di certo imputare ad una forza fisica superiore: se fosse stato solo il vigore a decretare la vita o la morte di lei, un qualsiasi schiavo nero, un qualsiasi selvaggio delle isole o barbaro del nord l’avrebbe vinta. Per poter essere la donna guerriero che era diventata, le doti su cui aveva da sempre dovuto far affidamento non erano la fortuna o la forza: erano l’abilità, l’esperienza e la strategia. Molti, in un combattimento corpo a corpo, vedevano futile una riflessione strategica, consideravano una debolezza ed una perdita di tempo l’utilizzo della mente oltre ai muscoli. Ma i veri grandi guerrieri, i migliori combattenti del mondo noto, da sempre comprendevano l’importanza della strategia, tanto nelle grandi battaglie quanto nei piccoli scontri: la tattica, l’elaborazione di un piano, era tutto ciò che divideva un banale picchiatore da un guerriero degno di tale titolo. Anche solo una rissa in un locale, con l’applicazione di una semplice strategia, poteva considerarsi conclusa ancor prima del suo inizio. E lei, donna guerriero, lo sapeva bene.

Pochi istanti dopo aver assunto la posizione di guardia, impugnando la lama a due mani, nella mente di Midda erano già state prese in considerazione quattro diverse possibilità, tutte scartate in favore di una quinta: la più azzardata, sicuramente, ma l’unica che l’avrebbe condotta, se fosse sopravvissuta, esattamente nel punto dove desiderava giungere. Aveva attraversato la palude di Grykoo per arrivare fino al santuario, compiendo un’impresa che nessuno prima di lei aveva mai considerato possibile compiere: era lì per uno scopo, era lì per una missione, e non sarebbe mai tornata indietro senza averla portata a termine. Non era solo una questione di denaro, che comunque avrebbe preteso in una misura di almeno tre volte tanto rispetto a quanto pattuito inizialmente: era diventata una sfida personale, l’ennesima prova per dimostrare di essere la migliore, per dimostrare di poter realizzare ciò che chiunque avrebbe considerato follia.
La strategia da lei scelta si fondava su un assunto, che costituiva uno dei rischi maggiori di quel piano tattico: le falene giganti, al di là dell’orrore che potevano suscitare e al di là delle loro dimensioni innaturali, non dovevano essere abituate ad affrontare una creatura ancora in vita e, soprattutto, dotata di aggressività. Per la loro natura necrofaga, infatti, quei mostri dovevano essere soliti nutrirsi di vittime già morte o, eventualmente, moribonde, senza contribuire a tale condizione, senza offrire violenza superflua verso il proprio pasto: ma lei non era né morta né moribonda e confidava che un attacco diretto ed improvviso avrebbe spiazzato i suoi possibili carnefici, offrendole conseguentemente un indubbio vantaggio. Certamente, per quanto sorpresi e, forse, spaventati, quegli enormi lepidotteri sarebbero ugualmente stati temibili: un impatto con il loro corpo, o anche solo con una loro ala, avrebbe potuto ucciderla sul colpo. Ma era un rischio che avrebbe dovuto accettare, soprattutto per il fine che si era imposta.
Lasciando così sciamare per qualche istante le falene attorno a lei, Midda restò il più possibile immobile e silenziosa attendendo il momento migliore, attendendo che, in quel movimento vorticoso e continuo da parte dei mostri volanti, le loro posizioni potessero risultare come lei desiderava. Fu impossibile quantificare il tempo che servì a tale scopo, in un frastuono assordante ed in un turbinio di corpi ciclopici attorno a lei, attentamente e rapidamente osservati uno ad uno, ma alla fine il momento chiave giunse e lei lo colse prontamente.

Svuotando i polmoni in un urlo barbaro che rompesse il frastuono monotono delle falene, ad informarle della propria presenza fra loro, la donna guerriera estese di colpo le gambe contratte, in un balzo che vide la spada caricarsi con le braccia fin dietro il capo per poi, immediatamente, saettare contro una delle creature, posta poco innanzi a lei. La lama squarciò di netto l’occhio composto del mostro, aprendone il capo e lasciandone sprizzare fuori una linfa fluorescente non diversa da quella delle loro larve: in quello stesso balzo, Midda appoggiò rapidamente i piedi sopra il corpo morente della creatura, usandola come gradino per saltare sopra un’altra, più in alto ed in movimento di passaggio proprio in quell’istante. La morte della prima falena e l’aggressione alla seconda colsero il gruppo del tutto impreparato: i mostri iniziarono a volare in maniera ancora più confusa, evidentemente sorpresi e spaventati da quello che stava accadendo. La falena sopra cui la donna guerriero era saltata iniziò ad agitarsi come impazzita, cercando di liberarsi da quel non gradito ospite, probabilmente temendo la morte ancora più di quanto non la temesse lei: la giovane, afferrando con forza nella mano destra metallica il lungo ed ispido pelo del corpo della sua improvvisata cavalcatura, lo tirò con prepotenza, cercando di domarla, di guidarla, forte della propria posizione di temporanea superiorità, la dove lei voleva. Ella sapeva bene che il terrore nelle creature non sarebbe durato in eterno: presto, come per qualsiasi essere vivente, quell’iniziale paura derivante dall’orrore di una morte si sarebbe trasformata in ira, in rabbia violenta che avrebbe preteso vendetta contro la responsabile di tale crimine. Ma tale assassina, quasi senza respirare nella concentrazione assoluta di quel momento, cercava di raggiungere la propria salvezza, la salvezza rappresentata da quella fessura sul soffitto: una pozzo abbastanza largo in termini assoluti, ma che in quel momento appariva fin troppo stretto nell’idea di gettarsi al volo in esso sperando di trovare qualche appiglio ed evitare una conseguente e mortale ricaduta a terra.
La falena, cavalcata a suo discapito, cercò di trovare scampo dalla presenza orrida di quel parassita: quello che avrebbe dovuto essere un loro usuale banchetto li aveva lasciati sbigottiti, aggredendoli con una furia che non potevano neanche supporre esistesse. Muovendosi freneticamente, si rigirò più volte nell’aria, cercando di sbalzare lontano da sé l’assassina: ma ella restava saldamente aggrappata al suo pelo, facendola gridare per il dolore di quella presa. In un tentativo disperato cercò di trovare libertà gettandosi verso la volta superiore della grotta: l’impatto con la roccia calcarea non avrebbe permesso al cavaliere di mantenere la presa.

Midda, già senza fiato per la difficoltà della presa nei movimenti rotatori, non poté evitare di gemere nel vedere la sua cavalcatura alzarsi con violenza verso il soffitto: non sarebbe sopravvissuta ad un simile impatto.

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