11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

giovedì 12 settembre 2013

2036


Una doverosa, seppur ormai tardiva, premessa.
Sono nata circa quarant’anni fa, in una piccola isola dei mari del sud di un pianeta lontano. Un’isola contraddistinta da una vita semplice, in un pianeta nel quale, se queste mie parole dovessero essere lette o ascoltate, risuonerebbero certamente qual riprova incontestabile di quanto, ormai, il mio equilibrio mentale abbia a doversi considerare del tutto, e irrimediabilmente, compromesso. Ciò non di meno, proprio nella volontà di conservare una qualche parvenza di salute psicologica, e forse, addirittura, psichiatrica, ritengo quantomeno opportuno cercare di mantenere un qualche intimo ordine mnemonico nelle vicende che stanno caratterizzando l’inizio di questo quinto decennio della mia esistenza mortale, riportando io stessa cronaca delle vicende nelle quali, per sorte o per un’innata predilezione al pormi nei guai, sono stata coinvolta, entro i modesti limiti della mia abissale ignoranza nel merito dei meccanismi alla base della maggior parte della tecnologia di cui offrirò in questo modo testimonianza, prima fra tutte quella del medesimo traduttore automatico già citato.
Perché, benché nel mio pianeta natale, in quel mondo lontano e inconsapevole dell’esistenza di questa molto più amplia e complessa realtà, siano proprie della consueta quotidianità, delle forze, delle energie mistiche che, con molta semplicità, siamo soliti denominare negromanzie o stregonerie; e benché, ancora, sempre nei confini di tale pianeta, tutt’altro che indiretto abbia a doversi riconoscere il rapporto con il sovrannaturale, con gli spiriti dei defunti, così come con semidei e dei, al punto tale da avermi permesso, non per mio entusiastico sollazzo, di ritrovarmi addirittura unita in matrimonio al figlio di un dio minore, quest’ultimo successivamente da me ucciso; nulla di quanto, oggi e in queste ultime settimane, sta contraddistinguendo il mio nuovo concetto di normalità, potrebbe mai lì essere effettivamente riconosciuto qual tale. Al contrario. Io stessa, pur formatami a non considerare alcuna eventualità qual impossibile; e abituatami, nel confronto con le molteplici avventure da me vissute, a mantenere una mente quanto più possibile aperta nei confronti della realtà e delle sue infinite sfaccettature; sono stata costretta a rivedere profondamente il mio medesimo concetto di estraneità, nel pormi a inatteso confronto con quanto di più alieno a me, al mio retaggio e alla mia cultura, avrei mai potuto supporre di immaginare esistesse.

Definito ciò, questa storia ha inizio, con la scena di cui sopra, fra me e l’inquisitore, un mese fa. Giorno più, giorno meno.
In verità, volendo cercare l’effettiva genesi dell’intera questione, si potrebbe risalire persino a una trentina d’anni or sono, quando, ancora bambina, commisi l’imperdonabile errore di tradire la fiducia e l’affetto della mia sorella gemella, Nissa. Ma a risalire così indietro nel tempo, oggettivamente, non mi sarebbe sufficiente una vita intera per raccontare quanto accaduto prima ancora di arrivare a quest’ultima vicenda. Ragione per la quale, spero potrò essere perdonata, lascio ai bardi e ai cantori del mio mondo, della mia terra d’origine, l’onere di raccontare la loro versione dei primi quarant’anni della mia esistenza mortale; preferendo concentrare i miei sforzi, e il mio tempo, nel descrivere quanto alcuno di loro, pur dotato, potrebbe mai essere in grado di definire, né a parole, né, tantomeno, in versi, nell’assenza di quelle nozioni di base con le quali io stessa sono continuamente e faticosamente costretta a scendere a patti.
Cercando di rinunciare a percorrere vie eccessivamente traverse, per rendervi edotti dell’intera faccenda, credo quindi che sia sufficiente specificare come, un paio di ore prima di quell’interrogatorio, io e Be’Sihl Ahvn-Qa, il mio amato, nonché attuale corpo ospite della coscienza del succitato semidio mio sposo, e qui, vi prego, fidatevi sulla parola che la questione è decisamente complicata, abbiamo sfruttato il passaggio offerto da una mia potente alleata, la fenice, per superare i confini del mondo in cui siamo entrambi nati e cresciuti e spingerci fra l’immensità delle stelle all’inseguimento di una mia antica avversaria, che proprio fra le stelle aveva cercato occasione di fuga e di rifugio. Ma se il viaggio è stato percepito qual indubbiamente confortevole e pressoché istantaneo, al di là delle enormi distanze percorse; meno confortevole è stato ritrovarsi a essere pressoché nudi in un buio vicolo dietro a quello che, successivamente, abbiamo scoperto essere un locale sufficientemente mal frequentato della zona portuale del nuovo mondo da noi raggiunto.
E se, nel merito del fatto di essere stati privati di ogni veste o ornamento, a eccezion fatta per eventuali monili e armi metalliche, avrebbe potuto essere intesa una qualche logica, nel riconoscere delle dinamiche equivalenti a quelle di altri viaggi da me compiuti, in passato, per mezzo della stessa fenice; la scelta da parte della medesima di quella particolare locazione avrebbe dovuto essere considerata quantomeno discutibile, se non, addirittura, inappropriata. A meno che, da parte della nostra, ipotetica, alleata, non vi fosse altro desiderio se non quello di riservarci un pessimo esordio in quella nuova e inesplorata realtà.
Nudi, in ciò, Be’Sihl e io ci ritrovammo a confronto con una dozzina di marinai ubriachi. E nuda, io, mi ritrovai a malmenare quella dozzina di marinai ubriachi nel momento in cui, dopo ripetuti, e purtroppo incompresi e inascoltati avvisi, non riuscii a convincerli a non allungare le proprie sudici mani a palpeggiare il mio corpo, probabilmente scambiandomi per nulla di più rispetto a una prostituta un po’ troppo audace colta in fragrante con il proprio cliente.
Purtroppo, se dalle mie parti, un simile scambio di opinioni, qual soltanto avrebbe dovuto essere considerato nell’assenza di qualche cadavere, sarebbe passato del tutto inosservato, nel disinteresse dell’intera collettività tanto per la sorte del mio compagno o mia, così come dei nostri aggressori; in quel nuovo mondo ciò non sarebbe potuto passare altrettanto in sordina, in una misura della quale maturammo immediata coscienza Be’Sihl e io, soprattutto nel momento in cui, ancora lontani dall’aver effettivamente compreso dove ci stessimo trovando e cosa, di preciso, fosse appena occorso, ci trovammo circondati da un gruppo di quelle che avremmo definito delle guardie, in assenza di un termine migliore per indicarle. Guardie cittadine che, armate come meglio sarebbe risultato per il loro ruolo, ci invitarono con i gesti, ancor prima che con incomprensibili parole, alla resa a meno di non voler essere abbattuti.
In tal modo, pertanto, mi ritrovai seduta e incatenata in quella piccola stanza bianca di nove piedi per nove, a confronto con un giovane ben vestito che, proprio malgrado, non stava allora riuscendo a concepire l’idea da me appena suggeritagli, nel merito di un mondo privo di nome.

« Credo sia corretto informarla che abbiamo già precettato un campione del suo codice genetico e che, in questo momento, stiamo provvedendo a cercare riscontri all’interno dell’archivio. » puntualizzò l’inquisitore, con tono non altero e, ciò non di meno, neppure rilassato, neppure accomodante, non volendo evidentemente cedere all’istinto di fraternizzare con me, con buona pace per il mio amor proprio che, malgrado l’età e le mie allora attuali condizioni fisiche, sperava di poter essere ancora in grado di irretire un interlocutore maschile senza eccessivo impegno, senza particolare sforzo, come più volte occorso in passato « Le informazioni che le sto richiedendo, in ciò, hanno a doversi considerare quale un mezzo per verificare le sue affermazioni, tanto nel merito dei fatti occorsi quanto, e più in generale, nel merito della sua presenza clandestina su Loicare, non risultando correttamente registrata presso i nostri uffici doganali. »
« Mi sento sufficientemente confidente con l’impossibilità, per voi, di individuare il mio codice genetico nei vostri archivi, a prescindere da quanti campioni possiate aver precettato… ehm… prelevato. » commentai, ricorrendo involontariamente all’utilizzo del termine errato, nel ripetere, in parte, le parole a me appena rivolte « Ovunque si trovi, il mio mondo è al di là di tutto questo vostro… sistema. E non è mai stato compiuto alcun censimento né da parte vostra, né da parte di vostri colleghi, tale da giustificare per voi una qualunque speranza di successo in tal senso. »
« Vuole farmi credere di appartenere a una civiltà primitiva, benché in questo momento lei si trovi su Loicare e stia dialogando con me con apparente serenità, per nulla spaventata da quanto sta accadendo e da come ciò sta accadendo?! » rielaborò il mio intervistatore, con una smorfia simile a un teso sorriso di imbarazzo per quello che, da parte sua, avrebbe avuto a considerasi probabilmente un triste tentativo di estrema difesa da parte mia « E che, magari, lei e il suo compagno siate qui arrivati… per magia! » ironizzò apertamente, scuotendo il capo, benché, in effetti, avesse appena azzeccato in pieno la dinamica propria dei fatti occorsi, per così come allora avvenuti.


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