Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.
Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!
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www.middaschronicles.com
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E siamo a... QUATTROMILA!
Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!
Grazie a tutti!
Sean, 18 giugno 2022
Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!
Grazie a tutti!
Sean, 18 giugno 2022
domenica 15 settembre 2013
2039
Avventura
042 - Nuovi mondi. Vecchi giochi
Non saprei proprio dire cosa fu peggio.
L’essere stata scaricata dalla fenice in una realtà per me aliena senza troppe spiegazioni a margine, tali da permettermi di evitare di pormi troppo banalmente nei guai. Oppure l’essere riuscita a inimicarmi il sistema giuridico locale a tempo di primato, anche nel confronto con i miei consueti canoni, ritrovandomi già condannata ad almeno un anno di lavori forzati. Oppure l’essere stata separata dalla mia spada e dal mio bracciale dorato, unico monile in grado di proteggermi dalle negative influenze del mio sposo, con implicazioni che risulteranno più chiare a brevissimo. Oppure l’essere stata separata dal mio compagno, amato e amante, nonché dal suo pericoloso inquilino psichico, nel merito del destino di entrambi i quali, allora, non avevo avuto ancora informazione alcuna. Oppure, e infine, l’essere abbastanza confidente con quanto mi stava circondando da riuscire a non sconvolgermi per la maggior parte delle questioni che avrebbero dovuto sconvolgermi e, ciò non di meno, ad apparire comunque incredibilmente ingenua nel confronto con la maggior parte di tutto il resto.
Quanto fu, allora, comunque e spiacevolmente certo, fu l’evidenza di quanto ognuno di tali punti, per responsabilità mia o meno, avrebbe comunque dovuto essere considerato un dato di fatto, tanto nella cattiva sorte, quanto in quella ancor peggiore. Così come, in termini ineluttabilmente sarcastici volle sottolineare il sopra citato marito risedente nel corpo del mio compagno, nello sfruttare il collegamento psichico fra noi in tal modo ripristinato dall’assenza dell’unico monile utile a proteggermi da ciò, per apparire proprio innanzi a me, all’interno della mia stretta cella, in quello che, comunque, non avrebbe potuto che essere considerato quale un assurdo paradosso, nel considerare la mole con la quale, allora, ebbe premura di manifestarsi, a memoria di quello che era stato il suo corpo mortale, le spoglie apparentemente invincibili entro le quali aveva vissuto per secoli, forse millenni, prima che il dio minore suo padre non era intervenuto a sancire una purtroppo non definitiva conclusione alla sua esistenza…
« Sai… mi hai appena fatto vincere una scommessa con il tuo amante. » commentò ironicamente, con quel suo tono arrogante e istrione che neppure l’essere praticamente defunto era stato in grado di alterare « Ero sicuro che tu non saresti stata in grado di scendere a patti con la popolazione autoctona, mia cara moglie. » insistette, a sottolineare quanto spiacevolmente ovvio « Del resto, non è un segreto come la diplomazia non sia mai fondamentalmente stata la tua qualità migliore… al contrario. »
Se è possibile, immaginatevi un colosso di oltre sette piedi di altezza, per non meno di trecentotrenta libbre di peso, all’interno di una stanza di non più di tre piedi per tre, all’interno della quale a stento ero in grado di restare scomodamente seduta io stessa, lì nel centro incatenata al suolo. Ne siete in grado?
Se sì, aggiungete a tale colosso una coppia di grosse corna bianche, due piccoli occhi gialli, una lunga fila di denti nuovamente bianchi, e un naso e un mento tanto prominenti da risultare prossimi all’immagine del becco di rapace, se visti di profilo. E, ancora, due possenti mani artigliate, due enormi zoccoli neri in luogo ai piedi, e, a rendere più vivace il quadro così tratteggiato, una pelle vermiglia, simile a cuoio verniciato. Ne siete ancora in grado?
Se sì, complimenti. Perché io, pur conoscendo bene quella creatura, nella sfortunata scelta che mi aveva veduta persino spingermi a sposarlo, seppur speranzosa, dopo simile evento, di raggiungere in tempi brevi un non tragico stato di vedovanza; non ero allora umanamente in grado di concepire come quell’apparizione, pur compresa qual un miraggio proiettato all’interno della mia stessa mente, potesse essere in grado di occupare l’infimo spazio a me antistante, senza, in ciò, risultare né scomodamente piegata in avanti, né, tantomeno, privata della corretta profondità delle proprie forme e della legittima estensione delle proprie proporzioni; quasi l’ambiente lì circostante, piuttosto che costringerlo, stesse adattandosi a concedergli un’adeguata, dignitosa e rispettosa possibilità di, per me fastidiosa, permanenza.
« Desmair… ho avuto dei funghi sotto ai piedi meno fastidiosi di te. » lo accolsi, con tutta l’amorevolezza propria di un’affezionata sposa, qual avevo sempre desiderato essere innanzi a lui « E prego Thyres affinché il mio bracciale non vada perduto, perché non credo che potrei tollerare a lungo la tua presenza nella mia quotidianità: riusciresti a essere una condanna ben peggiore rispetto a un anno di lavori forzati in una miniera di idrargirio... » soggiunsi, a non negargli simile, vezzeggiante complimento.
« Un anno ai lavori forzati?... » ripeté e osservò il mio interlocutore, scuotendo il capo ornato da quella coppia di gigantesche corna, il cui semplice peso avrebbe giustificato in maniera a dir poco ovvia e banale la possente sequenza di muscoli atti a definire il suo smisurato collo al di sopra delle ampie spalle « Come sei riuscita a ottenere tanto…?! Non sarai stata tanto impulsiva da aggredire l’accusatore, voglio sperare. »
« A-ehm… » tossicchiai, non riuscendo a evitare di chinare lo sguardo al suolo con fare sinceramente imbarazzato, nel rendermi tardivamente conto di quanto improprio avesse a doversi considerare il mio comportamento, soprattutto nel primo confronto con un ufficiale giudiziario di una civiltà a me del tutto sconosciuta « … aggredire è una parola grossa. » cercai di minimizzare, storcendo le labbra verso il basso.
La risata che seguì quel mio intervento, se possibile, risuonò alle mie orecchie ancor peggiore rispetto a quanto non era stata in grado di risultare la condanna già espressa a mio discapito da parte di Pitra Zafral. Anche perché, purtroppo, non avrei potuto ignorare la verità di quanto, per una volta, avessi fornito al mio sgradevole e sgradito sposo la possibilità di canzonarmi in maniera assolutamente giustificata, senza riservarmi, in ciò, alcuna possibilità di effettiva difesa, di possibile argomentazione a sostegno mio e delle mie azioni, laddove nulla di quanto avevo compiuto, purtroppo, avrebbe potuto essere così facilmente giustificato come avrei preferito illudermi fosse.
Così, in silenzio, nella volontà di conservare un infinitesimo d’orgoglio, accettai quella risata e attesi che scemasse in maniera naturale, in modo spontaneo; con la speranza che, per lo meno, ove non altrimenti istigato, il mio interlocutore perdesse interesse a insistere in tal senso. E dopo il più lungo intervallo di silenzio della mia esistenza… non che sia una chiacchierona, ben inteso, ma, davvero, quella pausa mi parve perdurare per qualche eternità; Desmair accettò di ritornare serio, o, per lo meno, serio quanto di solito era capace di essere, degnandosi di condividere con me le ragioni alla base della sua non particolarmente apprezzabile, né apprezzata, visita al mio attuale domicilio…
« Al fine di ovviare a fraintendimenti fra noi, comunque sia, desidero sottolineare come questa mia visita di cortesia non abbia a intendersi qual conseguenza di una mia iniziativa autonoma, quanto e piuttosto quale una richiesta esplicita da parte del mio anfitrione… il tuo amante. » riprese voce, piegando appena il capo di lato per studiare, con aria interessata, ogni mia eventuale reazione a simile annuncio.
« Ha anche un nome proprio e un nome di famiglia, sai…? » replicai a quell’ennesimo apostrofare, in direzione del mio amato, con quel termine lì declinato in toni necessariamente negativi, a evidenziare quanto, da parte mia, non vi fosse stato alcun particolare impegno a rispettare le nostre promesse nuziali, nell’aver accettato la compagnia di Be’Sihl, nel mio letto, solo pochi mesi dopo il nostro matrimonio.
« Ovviamente. » annuì Desmair, senza scomporsi nel confronto con quel mio puntualizzare « E quella di possedere un nome e un cognome non è la sua unica qualità, dal momento in cui, benché privo di qualunque confidenza con questo mondo e con le sue leggi, è riuscito a farsi scarcerare immediatamente, con il ritiro di ogni accusa a suo discapito. »
« Sta bene, quindi?! » domandai, offrendo tardiva voce alla prima domanda che avrei voluto porre, sebbene l’avessi sino a quel momento taciuta per non offrire alla mia controparte occasione utile a prendersi giuoco di me sfruttando simile risorsa « Non gli hanno fatto nulla di male, spero… »
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