Fu necessario un certo intervallo di tempo prima che Na’Heer potesse essere in grado di parlare. E quel certo intervallo di tempo non poté essere che impiegato, dal gruppetto, per la duplice e contrapposta necessità di rimproverare e di lodare Eli per la propria pericolosa intraprendenza. Un’intraprendenza in assenza della quale, forse, Na’Heer sarebbe stato ancora prigioniero dell’Occhio se non, addirittura, morto.
A margine di tutto ciò, ovviamente, l’Occhio di Thonwa giaceva a terra lì dove era ricaduto, ricoperto, più in termini scaramantici che per una qualche, reale motivazione pratica, dal mantello di Meri. La figlia di Nissa, infatti, non desiderava offrire ancora alcun margine di fiducia nei riguardi di quella reliquia e, in questo, meno fosse stata visibile, meglio sarebbero stati.
« Come ti senti...?! » domandò Liagu in direzione dell’amico, nel momento in cui questi decise di tornare a muoversi, scuotendosi dalla posizione in cui era rimasto in quegli ultimi, lunghi minuti.
« Frastornato... e invecchiato. » rispose egli, con un sorriso tirato, forse desiderando dimostrarsi ironico e scherzoso nel merito di quanto era accaduto e, ciò non di meno, risultando decisamente più serio del voluto.
« Che cosa diamine è successo...? Sei diventato pallido come un cencio. E sudavi. E tremavi. » prese voce Nami verso di lui.
« Ti ho salvato io! » esclamò allora Eli, non priva di un certo, legittimo orgoglio in tal senso.
« Buona tu... » la rimproverò Tagae, aggrottando appena la fronte « Hai avuto più fortuna che abilità... e non oso immaginare cosa sarebbe potuto succedere se così non fosse stato! »
« Zia Midda non avrebbe agito diversamente! » protestò la bimba, nel tirare allora in ballo direttamente la Figlia di Marr’Mahew, come punto di riferimento a confronto con il quale, idealmente, ogni discussione avrebbe dovuto venir meno.
« ... non che abbia tutti i torti... » ridacchiò allora Meri, stringendosi appena fra le spalle nel riconoscere quanto, in fondo, la loro celebre parente non fosse diventata tanto famosa per il suo discernimento, quanto e piuttosto per la sua audacia, e per quell’audacia sovente ben oltre ogni comune senso del pericolo.
« Ti ringrazio per avermi salvato... Midda Elisee. » scandì allora Na’Heer, marcando con la voce il riferimento all’allor citata Midda, e quel riferimento che, a quella bimba, era stato legato sin nella definizione stessa del suo nome « Purtroppo è innegabile che l’Occhio stesse avendo la meglio su di me... »
« Ma cosa è successo...? » si ripeté Namile, ancora insoddisfatta nella propria richiesta « Hai... “visto” qualcosa?! » domandò, incerta nel merito del corretto utilizzo di quel termine, anche ove solo metaforico.
Benché, in verità, Na’Heer avesse allora visto ben più di qualcosa, difficile sarebbe stato riuscire a formulare una risposta a quell’interrogativo, là dove non avrebbe obiettivamente saputo come definire l’esperienza con la quale si era venuto a confrontare dopo il contatto con l’Occhio.
« Sì... credo di sì. » annuì alla fine, deglutendo a vuoto, a confronto con l’arsura che sinceramente provava all’interno della propria bocca « Visto. Udito. Toccato, forse. E’ stata un’esperienza molto particolare... spaventosa sotto alcuni punti di vista. Inebriante sotto altri... »
« Con buona pace di Grahamal il Folle... » commentò Liagu, storcendo appena le labbra verso il basso.
« Ma almeno è servito a qualcosa...? » non mollò la presa la figlia di Nissa, nel voler restare focalizzata sul loro obiettivo primario, e su quell’obiettivo primario per il quale stavano già tanto rischiando le loro vite, ancor all’inizio di quella strana avventura « Sai qualcosa di più in merito a tuo padre...?! »
Per un momento, Na’Heer non seppe cosa rispondere a quel quesito. Perché nella sua mente ancora rimbalzavano confusamente memorie non soltanto di una vita, ma di molte vite, e di molte vite che, nel contatto con quella sfera mistica, si era ritrovato a vivere.
Perché, forse la propria inesperienza nel confronto con arcani poteri mistici, forse il funzionamento proprio di quell’Occhio, o forse chissà cos’altro, nel contatto con quella sfera egli non aveva avuto soltanto occasione di confrontarsi con il presente, ma, anche e peggio, con il futuro. E, in verità, con dozzine, centinaia, migliaia addirittura, di futuri possibili. Egli aveva vissuto la propria vita più e più volte, per così come a nessuno avrebbe dovuto essere concessa occasione di fare, e nella propria mente, ora, tutte quelle informazioni stavano pressando la sua testa dall’interno verso l’esterno, facendolo sentire come se da un momento all’altro dovesse essere pronto a esplodere.
« Io... » esitò, prendendo voce, salvo poi subito bloccarsi.
Cercare di fare ordine fra tutti quei ricordi, e di discernere quanto avrebbe avuto a doversi intendere qual vero e quanto no, non avrebbe avuto a doversi fraintendere né semplice, né immediato. Anzi.
« ... non ne sono certo. » ammise quindi, chiudendo per un istante gli occhi e prendendosi la testa fra le mani, quasi, in ciò, a tentare di tenerne i pezzi uniti, là dove, da un momento all’altro avrebbe potuto andare in frantumi.
Nami comprese di aver forse insistito troppo nei suoi riguardi, ragione per la quale, benché ancora priva di una qualche risposta degna di nota, ella ebbe a zittirsi, nel timore di essere più di danno che di aiuto nei suoi riguardi. E, con lei, tutti ebbero a stare in silenzio, per concedere all’amico occasione di riprendersi, non potendo obiettivamente immaginare cosa egli potesse aver vissuto nel contatto con quell’oggetto maledetto.
E solo quando, dopo un nuovo, necessario intervallo di tempo, egli ebbe a riaprire gli occhi, osservandosi attorno con aria quasi confusa, Meri decise di tentare un diverso approccio nei suoi riguardi...
« Puoi provare a dirci cosa è successo...? » domandò pertanto, con tono quieto « Non importa se anche pensi che possa essere qualcosa di confuso o di folle. Siamo qui per te. Per esserti vicini. E continueremo a esserlo, a prescindere da tutto. »
« Io... » esitò ancora una volta, corrugando la fronte « ... inizialmente ho provato una sensazione di gelo. Alla quale è seguita un sensazione di caldo. E un caldo intenso come quello del sole. Come se stessi toccando il sole, senza però bruciarmi. E quando quel calore è arrivato alla mia mente, una gran luce mi ha accecato, prima che un’infinità di immagini, suoni, odori avesse a sommergermi. »
« Che immagini erano...? » tentò di supportarlo Mera Ronae, invitandolo ad approfondire l’argomento « Che cosa hai visto di preciso...? Tuo padre...? »
« Ho visto... ho vissuto... molte vite. Mie vite. Miei futuri. » argomentò allora egli, umettandosi appena le labbra « Alcuni non erano molto lunghi. Altri, invece, mi hanno condotto sino agli anni della vecchiaia. In alcune vite non sopravvivevo a questa notte. In altre potevo vedere nascere i figli dei miei nipoti. »
Nessuno, a confronto con ciò, ebbe il coraggio di esprimere il benché minimo commento. Perché, obiettivamente, nessuno avrebbe saputo in che maniera avere a esprimersi a confronto con ciò, e con quanto, al tempo stesso, avrebbe avuto a dover essere immaginata come un’esperienza entusiasmante e terrorizzante, offrendo così ragione a quanto, pocanzi, egli aveva asserito.
« E’ difficile per me discernere ora cosa potrebbe essere vero e cosa no... cosa potrà accadere e cosa no. » scosse il capo, con un certo senso di rammarico « Per questo non sono certo di poter aiutare mio padre, malgrado tutto questo... »
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