« Papà...? » esitò Na’Heer, non sapendo non soltanto cosa poter rispondere a quella serie di interrogativi ma, neppure, in quali termini avere a confrontarsi con il genitore, non avendo ancora compreso se doverlo considerare già morto o cos’altro e, del resto, non avendo neppur ben compreso come dover giudicare se stesso in tutto ciò « Sei davvero tu...?! »
« E chi diamine dovrei essere, figliolo...? » replicò l’altro, avanzando con passi decisi verso il proprio erede, per avere poi a chinarsi su di lui e ad abbracciarlo fortemente, con palese emotività « Cielo... stai bene?! » si ripeté, evidentemente non meno confuso rispetto al figlio e a tutti gli altri astanti.
A imporre chiarezza sulla situazione, allora, ebbe a riservarsi occasione di subentrare una voce semplicemente soave, vellutata e carezzevole, che si impose sopra le menti di tutti loro con la delicatezza del primo, tenue raggio di sole di un nuovo giorno, all’aurora.
Una voce melodiosa che né Tagae né Liagu, né Mera Ronae né Namile, né, tantomeno, la piccola Eli avrebbero mai potuto avere occasione di aver udito in vita propria, e una voce che, seppur non ricordata, Na’Heer ebbe a scoprir allora di non aver neppure mai dimenticato, evidentemente impressa nel profondo della sua mente, e del suo cuore, sin dai giorni della propria più innocente infanzia, quei giorni di cui pur non conservava alcuna memoria cosciente.
La voce di Nass’Hya Al-Sehliot...
« Sono vivi. Sono tutti vivi e sono in perfetta salute. » dichiarò, intervenendo quieta nella questione all’indirizzo del proprio amato sposo e, ancor, non avanzando verso di loro, quasi con un certo timoroso rispetto nei loro riguardo « E anche Brote è vivo, se ve lo state domandando. » precisò, ampliando il discorso or in direzione dei ragazzini presenti.
« Io l’ho detto! » esclamò trionfante Midda Elisee, più che felice di riconoscere per vere quelle parole, seppur offerte da una donna che, in verità, avrebbe avuto a dover essere riconosciuta qual morta.
« Sì... tu lo hai detto. » sorrise Nass’Hya con dolcezza, annuendo in direzione di quella simpatica frugoletta, l’identità della quale ignorava, ma l’energico animo della quale, pur, non avrebbe potuto ovviare a ricordarle la propria amica Midda Bontor.
« ... ma... mamma...? » domandò allora Na’Heer, rivolgendosi per la prima volta direttamente all’indirizzo della genitrice, e non riuscendo francamente a capacitarsi di come tutto ciò potesse essere possibile « Io... io credevo che... » cercò di scandire, non riuscendo però a dar corpo alla frase, per le forti emozioni che, in quel frangente, stavano tempestando nel profondo del suo cuore.
« E’ così. » confermò ella, sforzandosi ancora di sorridere per quanto, improvvisamente, quell’espressione non poté che apparire tremendamente tesa « Purtroppo è così, piccolo mio. Da molti anni, ormai. »
Se la situazione in senso generale avrebbe avuto a doversi considerare confusa già prima di quell’ultima evoluzione degli eventi, a confronto con tutto ciò nessuno fra i sei nuovi guerrieri avrebbe saputo in che maniera potersi porre innanzi.
A partire dalla follia dell’attacco dinamitardo a discapito dell’intera Kriarya, sino ad arrivare all’apparizione degli algul e al loro trasferimento in quel luogo, ovunque esso fosse, tutte le vicende proprie di quegli ultimi giorni avrebbero avuto a doversi intendere così folli e surreali da non poter essere neppure credibili nell’ottica di un complicato incubo. E, qual proverbiale ciliegina sulla torta, la ricomparsa di Nass’Hya Al-Sehliot davanti a loro non avrebbe potuto che essere il giusto completamento di tutto ciò.
Un completamento a confronto con il quale, in particolare, Mera Ronae e Namile, figlie di Nissa Bontor, assassina di quella donna appena autoproclamatasi morta, non avrebbero potuto mancare di provare giustificabile ansia, nel timore di quanto, allora, avrebbe potuto loro accadere, nel caso in cui ella si fosse dimostrata, comprensibilmente, meno incline al perdono nei loro riguardi rispetto al suo sposo, o, per meglio dire, vedovo, e al suo orfano.
« Vogliate perdonarmi. » prese voce Tagae, non senza una certa inquietudine al pensiero di star parlando con una persona morta, benché, in effetti, tutto ciò avrebbe dovuto avere a riconoscersi semplicemente normale per loro, anche e soltanto prendendo come riferimento Korl Jenn’gs e Lora Gron’d, dei quali tutto si sarebbe potuto dire ma non che fossero vivi « Come è possibile tutto questo...? Dove siamo finiti...? »
« Tagae! » lo richiamò all’ordine Liagu, in verità condividendo ovviamente la curiosità a confronto con quegli interrogativi e, ciò non di meno, non potendo mancare di pensare quanto, in quel particolare frangente, avesse a doversi intendere quantomeno scortese avere a rivolgersi in quella maniera a... qualunque cosa l’antica amica di loro madre fosse ormai diventata.
« Lascia stare... » sorrise tuttavia Nass’Hya, scuotendo appena il capo e sollevando appena la destra, a minimizzare ogni possibile giudizio negativo attorno alla questione « Immagino che voi due siate i famosi figli della mia amica Midda, di cui Brote mi ha parlato in questi ultimi giorni... » soggiunse poi, a cercare di riportare quella situazione paradossale su un piano di normalità, per quanto nulla di normale potesse esservi in tutto quello « Tagae e Liagu... giusto?! »
« Sì... mia signora. » chinò appena il capetto la ragazzina, non sapendo se avere a poter considerare positivo o meno il fatto che quella donna avesse coscienza della loro identità « Il mio nome è Liagu Ras’Meen Bontor Ahvn-Qa. E questi è mio fratello Tagae Nivre Bontor Ahvn-Qa. E sono certa che, se mia madre ora fosse qui con noi, scoppierebbe in lacrime per la gioia di rivederti... »
« Oh... » esitò allora Nass’Hya, colta in contropiede da quelle parole e da quelle parole che, evidentemente, non mancarono di colpirla profondamente, nel rievocare l’immagine della sua perduta amica.
« Mamma...? » trovò la forza per ripetersi, allora, il figlio della stessa e di Brote, forse riuscendo a iniziare ad accettare l’idea di essere realmente a confronto con la propria defunta madre, per quanto assurdo tutto ciò avesse a doversi intendere.
« Vai da lei, figlio mio... » lo invitò allora lord Brote, spostandosi appena di lato per cedergli il passo in direzione della propria amata sposa « Donale la possibilità di stringerti ancora una volta fra le braccia e di apprezzare l’uomo che stai diventando... »
Per Na’Heer, tuttavia, la madre avrebbe avuto a doversi intendere più qual una sorta di figura mistica ancor prima che la genitrice che, allora, avrebbe sinceramente voluto sentire fosse nel proprio cuore. E se pur la gioia derivante dall’aver potuto riabbracciare il padre avrebbe dovuto riconoscersi priva di ogni possibilità di definizione, incommensurabile al punto tale da far perdere al suo cuore almeno uno o due battiti dopo tutto il terrore vissuto al pensiero di averlo perduto; l’essere posto innanzi a sua madre non avrebbe mancato che confonderlo, in termini tali per cui, ancora e malgrado l’invito paterno, egli non se la sentì di avanzare verso di lei.
« Non forzarlo, mio caro. » commentò quindi ella, non priva di una certa addolorata rassegnazione nel comprendere quanto, in effetti, avesse a doversi riconoscere pressoché qual un’estranea a confronto con il proprio stesso bambino « In fondo sono soltanto l’ombra della madre che non ha mai avuto occasione di conoscere... »
« A me sembra normale... » osservò con innocente e genuina sincerità la piccola Midda Elisee, scuotendo appena il capo « E se quella è la tua mamma, dovresti andare ad abbracciarla, sai?! » asserì, quasi a titolo di rimprovero, in direzione dello stesso Na’Heer « E’ bello abbracciare la mamma... » concluse, ad argomentare le proprie posizioni, e posizioni probabilmente conseguenti a un certo personalissimo desiderio in tal senso, non tanto in direzione di Nass’Hya, ovviamente, quanto e piuttosto della sua di mamma, Arasha, dalla quale non era mai stata separata tanto a lungo dal giorno della propria nascita.
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