11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

mercoledì 17 marzo 2021

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Con buona pace di ogni precedente proposito volto a separare il loro gruppo al fine di ovviare a porsi nelle medesime condizioni della visione avuta da Na’Heer per mezzo dell’Occhio, innanzi a quel terrificante verso l’unica reazione sensata sarebbe necessariamente stata quella della fuga coesa, e della fuga coesa, purtroppo e paradossalmente, in direzione del più vicino nascondiglio entro il quale avere a poter cercare riparo, il quale, tuttavia, avrebbe avuto anche a doversi intendere qual potenzialmente il solo luogo dal quale avrebbero avuto a doversi premurare di restare ben lontani: la torre di lord Brote.
In fondo, per Na’Heer, innanzitutto, ma anche per Tagae e Liagu, quello avrebbe avuto a doversi riconoscere qual un luogo associato istintivamente a un senso di protezione, di rifugio, di riparo, in termini tali per cui, dovendo scegliere rapidamente un possibile nascondiglio entro il quale avere a barricarsi, nessun luogo meglio di quello avrebbe potuto essere loro presentato. E nel momento in cui tanto Na’Heer, quanto Tagae e Liagu, ebbero a scattare in direzione della torre di lord Brote, ineluttabile fu per Eli, prima, ma anche per Meri e Nami, poi, avere a seguirli, più quale gesto istintivo che, in qualche misura, effettivamente pensato.
Ma se istintiva ebbe a essere quella reazione, non appena ebbero a essere tutti all’interno della torre, sprangando letteralmente la porta alle proprie spalle per assicurarsi che qualunque creatura potesse esservi là fuori non avesse la possibilità di raggiungerli lì dentro; una volta lì nascostisi non poterono fare a meno di riconnettere il cervello per rendersi conto, in tal maniera, di quanto probabilmente avessero appena agito nella maniera peggiore entro la quale avrebbero potuto permettersi di agire.

« Dannazione... » gemette Liagu, maturando coscienza di ciò che avevano compiuto ancora con le manine premute contro la porta, quasi come se la sua esile forza avrebbe potuto in qualunque misura assicurare loro salvezza da quel non meglio definito antagonista.
« Già... » confermò Mera Ronae, ben comprendendo il senso dell’intervento della cugina, nell’arrivare a propria volta alla medesima consapevolezza.
« Che succede...?! » domandò Eli, cogliendo la contrarietà delle due amiche ma non comprendendone il significato.
« Ci siamo andati a rinchiudere tutti quanti all’interno della torre... per scappare da una creatura che supponiamo essere proprio quella dalla quale stavamo fuggendo nella visione di Na’Heer... » esplicitò Namile, intervenendo ad argomentare in maniera più completa i brevi interventi precedenti, interventi il significato dei quali non le era parimenti sfuggito.
« ... » si ammutolì Tagae, prima di sospirare e roteare gli occhi con aria decisamente stanca « ... accidenti! »
« Comunque questo non deve essere considerato necessariamente un male. » intervenne allora Na’Heer, il quale, più di chiunque altro, avrebbe dovuto avere a intendere quello qual un male, e un male che, apparentemente, sembrava destinato a guidarlo alla propria morte « Cioè... non dimentichiamoci perché stiamo facendo tutto questo. » sottolineò allora, a titolo di promemoria comune « Se non avessimo voluto correre rischi, avremmo potuto restarcene tranquilli tranquilli alla locanda. Ma se stiamo facendo tutto questo, lo stiamo facendo nella speranza di ritrovare mio padre. »

Per quanto assurdo potesse essere per un ragazzino della sua età avere a formulare un simile pensiero, dal punto di vista proprio di Na’Heer Al-Sehliot non vi sarebbe stata ragione alcuna per vivere un solo, ulteriore istante della propria vita senza fare il possibile, o l’impossibile, per salvare suo padre, soprattutto avendone evidentemente l’occasione. E se, quindi, nel compiere tutto ciò, egli avrebbe avuto a rischiare di perdere la propria vita... beh: per quanto lo avrebbe potuto concernere il giuoco avrebbe assolutamente valso la proverbiale candela.

« E comunque non dimenticatevi che l’Occhio mi ha mostrato decine, centinaia, migliaia di futuri possibili. » puntualizzò, scuotendo il capo a minimizzare ogni possibile timore per il loro immediato avvenire « E non è assolutamente detto che questo abbia a essere necessariamente quello nel quale io morirò per mano di quel mostro... qualunque cosa esso sia. »

Un discorso apparentemente sensato, il suo, che avrebbe potuto anche convincere i suoi interlocutori se soltanto, sino a lì, essi non si fossero spinti animati dalla sola volontà di tradurre in realtà la visione di quel particolare futuro, e di quel particolare futuro che avrebbe loro permesso di ricongiungersi al perduto genitore. Insomma: sebbene egli non avesse necessariamente torto, ciò non avrebbe neppure comportato un’obbligata ragionevolezza da parte sua. Anzi.
Tuttavia, e benché perfettamente consapevoli di ciò, essi preferirono soprassedere sulla questione, a confronto con un’altra, ovvia e palese evidenza: ormai erano lì, e che quella avesse a doversi considerare la migliore realtà possibile o meno, essa avrebbe avuto comunque a dover essere intesa qual la loro attuale realtà. Inutile, quindi, sarebbe stato avere a torturarsi psicologicamente su quali alternative migliori avrebbero potuto abbracciare rispetto a quella. Meglio, piuttosto, avere a restare concentrati sulla situazione, con la speranza di riuscire, volgendo la propria attenzione al presente attuale anziché a tutti i possibili presenti alternativi, a ovviare a far diventare quella loro prima, grande avventura insieme anche e sciaguratamente l’ultima.

« E sia. » sancì Namile, arrogandosi l’opportunità di rispondere per tutti i presenti « A questo punto restiamo uniti e speriamo che Thyres e tutti gli dei ce la mandino buona. » definì, a chiudere quella dispersiva e ormai inutile parentesi « Detto questo: che facciamo ora...?! »
« Direi che abbiamo una sola direzione entro la quale poterci muovere... » osservò Tagae, aggrottando la fronte e volgendo lo sguardo verso l’alto, a offrire riferimento all’intera estensione della torre sopra le loro teste « ... o sbaglio?! »

Non sbagliava. E così, ancor inconsapevoli di dove fossero finiti, del perché fossero lì, di cosa potesse produrre quel verso raccapricciante e, ancora, di come sarebbero mai riusciti ad andare via da lì, i sei iniziarono ad affrontare la prima rampa di scale, armati di tutto il proprio coraggio e, probabilmente, di tutta la propria incoscienza. Una combinazione estremamente utile, al momento, quanto pericolosa. E una combinazione che, in effetti, Midda Bontor, in primo luogo, ma anche Nissa, Brote e Seem, in misura inferiore e pur non meno marcata, avevano avuto a rendere propria nelle proprie esistenze per raggiungere scopi di chiunque altro ritenuti altrimenti impossibili. Una combinazione, quindi, che quei ragazzini stavano allor rendendo propria in inconsapevole accettazione del retaggio dei propri genitori, e di quei genitori che, pur, avevano condotto esistenze eccezionali in assenza delle quali, probabilmente, nessuno di loro sarebbe stato lì presente in quel momento, a compiere tutto ciò.
Per quanto, quindi, potesse apparire assurdo fare affidamento alla propria incoscienza, tale sarebbe stata per loro probabilmente l’unica possibilità per riuscire ad andare avanti, e ad andare avanti sopravvivendo a tutto quello.

« Voi che conoscete questo luogo meglio di noi... » apostrofò Mera, in direzione degli abituali frequentatori di quella torre quando giunsero al secondo piano della stessa « ... ciò che ci circonda vi risulta famigliare? E’ così che era solita apparire anche... prima? » questionò, non avendo ancora dimenticato quanto, in fondo, sussistesse un enorme interrogativo nel merito della loro attuale collocazione spazio-temporale.

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