« Cosa diamine...?! » ringhiò Brote, agendo d’istinto e spingendo il figlio dietro di sé con un gesto della mancina, mentre con la destra cercava la propria spada al fianco, spada che, tuttavia, lì non era, essendosi egli privato della medesima praticamente un momento dopo il suo arrivo in quella torre « ... » imprecò mentalmente, correndo con lo sguardo all’ambiente circostante a ricercare l’arma perduta.
Per quanto avrebbe potuto valere, anche Meri e Nami, cogliendo il tentativo di Brote e lasciandosi ispirare dal medesimo, si dimostrarono pronte a estrarre le proprie corte spade dai rispettivi foderi, e quei foderi celati sotto ai propri mantelli. Ma per così come loro insegnato, esse ovviarono a sfoderare le proprie lame, posticipando la conclusione di quel gesto soltanto nel momento in cui, effettivamente, si fosse dimostrato necessario attuarlo: inutile e potenzialmente dannoso, del resto, sapevano sarebbe stato avere a mostrare la propria potenzialità offensiva là dove, ancora, non vi sarebbe stata evidenza di tale necessità.
Anche Na’Heer, non fosse stato sospinto dietro al padre in quel gesto di amorevole premura, si sarebbe probabilmente impegnato in maniera equivalente, nel porre mano alla propria lama e nel dimostrarsi, ora, pronto a combattere contro quella minaccia dalla quale, pur, pocanzi erano scappati. Ma se pocanzi erano scappati soprattutto perché disorientati da quanto loro circostante, e, soprattutto, animati dalla necessità di condurre a compimento la propria missione ancor prima che temporeggiare vanamente in futili scontri; ora, ritrovandosi accanto a suo padre, egli non avrebbe avuto la benché minima esitazione a compiere quanto necessario per difendersi e per difendere chiunque a lui caro, a incominciare dal suo stesso padre pur lì animato da egual interesse nei suoi stessi riguardi.
Tagae e Liagu, a margine di tutto ciò, non avrebbero potuto altresì proporsi in alcuna maniera fisicamente pronti allo scontro, là dove, a differenza dell’amico, e delle cuginette, non avrebbero potuto vantare alcuna arma al proprio fianco. Del resto, essi non avevano mai avuto occasione d’essere addestrati all’arte della guerra dalla loro genitrice. E non per una mancanza della medesima, eventualmente dimentica di prepararli alla battaglia in quanto distratta da altre priorità, quanto e piuttosto nell’esplicita speranza che ciò non avesse mai a dover loro servire: ben consapevole di quanto, infatti, la vita di quei due fosse già stata sufficientemente segnata dalle armi, e dal desiderio di trasformarli in armi, ella non avrebbe mai potuto avere desiderio di imporre loro altro in tal senso. E così, in quel frangente, essi nulla poterono fare se non trarre a sé la piccola Eli, pronti a proteggerla, ove necessario, a costo delle proprie vite.
« E’ inutile che vi prepariate allo scontro... » intervenne tuttavia Nass’Hya, ora con un tono di voce decisamente dimentico della serafica quiete precedente, induritosi prontamente in conseguenza a un’evidente crescendo di tensione in lei « ... neppure la stessa Midda Bontor potrebbe vincere contro di lui. »
E per quanto quella frase avrebbe potuto suonare ingenerosa, soprattutto a riguardo del suo sposo, Brote non ebbe in alcun modo a dimostrarsi offeso da simile avvertimento, quanto e piuttosto preoccupato dal medesimo, in conseguenza a un’obbiettiva consapevolezza di quanto, in fondo, Midda Bontor avesse a doversi riconoscere qual la misura normalizzata dell’umana possibilità. Là dove, del resto, quella donna si era dimostrata sempre in grado di tradurre l’impossibile in possibile, arrivando a sconfiggere creature invincibili e a uccidere mostri immortali, finanche un dio; il fatto che potesse esistere qualcosa giudicabile superiore persino alle possibilità della medesima avrebbe necessariamente vanificato qualunque loro possibile sforzo.
« Che cosa è?! » domandò allora egli, voltandosi appena a osservare con la coda dell’occhio l’amata, necessariamente turbato da quella prospettiva tutt’altro che a loro favore.
« Li definiscono alfieri. » rispose ella, avanzando verso lo sposo e il figlio, con incedere irrequieto, mostrandosi profondamente turbata per tutto ciò « Sono i guardiani di questa realtà crepuscolare. »
« I guardiani...? » insistette Brote, invocando maggiore dettaglio per comprendere meglio la situazione.
« Come vi ho già spiegato, questa zona di confine esiste soltanto come area di transizione, per concedere alle anime dei morti di trovare la pace sufficiente a proseguire oltre... » replicò N’Hya, storcendo le labbra verso il basso nel mentre in cui ebbe a superarli, per sporgersi verso le scale a tentare di verificare la situazione nel mentre in cui si sforzava di comprendere come avere a confrontarsi con essa in maniera non necessariamente tragica « E’ capitato, talvolta, che potenti negromanti abbiano cercato di sfruttare questa possibilità per il proprio tornaconto, cercando di prolungare in maniera indefinita la propria condizione di permanenza, e, soprattutto, di aumentare il proprio potere, sfruttando alcune caratteristiche intrinseche di questo luogo. » spiegò, cercando di mediare fra la necessità di risultare chiara e quella di non dilungarsi eccessivamente in tal senso « Per questo, gli dei hanno stabilito delle regole molto severe. E per assicurarsi il rispetto di tali regole, hanno posto gli alfieri a custodia di queste lande. »
« Sta cercando te, madre...?! » questionò allora Na’Heer, ritrovandosi a pregare che non fosse così, ma, al tempo stesso, a sperare che fosse esattamente in tal maniera, laddove l’alternativa non sarebbe stata più piacevole... anzi.
« Quando ho condotto qui tuo padre ho violato le regole, sì. » confermò ella, in una risposta che avrebbe potuto rasserenare il figlio, se soltanto si fosse conclusa lì « Ma sino a questo momento non si era mai palesato alcun alfiere. » soggiunse, in una spiacevolissima nota che avrebbe necessariamente mutato la responsabilità sulla questione in maniera radicale « Temo che, ora, stia arrivando per voi... » concluse, voltandosi verso di loro, nell’invitarli a retrocedere, per quanto, in fondo, gli spazi non fossero particolarmente a loro favore in quel momento.
« Ma noi siamo esseri viventi. » protestò Liagu, cercando di arringare in loro favore « Non apparteniamo a questa realtà... e alle sue regole. »
« Se l’alfiere dovesse raggiungervi, non apparterrete più ad alcuna realtà... » gemette Nass’Hya, smarrendo anche l’ultima ombra di contegno dietro la quale sino a quel momento era riuscita a mascherarsi, nel non voler cedere al panico e, soprattutto, nel non voler imporre ragione di panico a loro discapito « E’ sufficiente il semplice contatto per distruggere un’anima. Sia che essa sia quella di un defunto, sia che sia quella di un vivente... »
Nessuno osò replicare a quelle ultime parole, e a quelle ultime parole che non avrebbero potuto essere declinate in alcuna maniera che apparisse meno che tragica. Parole a confronto con le quali la visione di Na’Heer, alfine, ebbe a trovare un senso compiuto... e un senso compiuto a confronto con il quale non avrebbero desiderato avere occasione di porsi.
« Dovete tornare immediatamente nella vostra Kriarya. » sancì allora la negromante, definendo quella qual la sola, e razionale, occasione di salvezza per tutti loro « Là non potranno seguirvi! »
« E come possiamo fare...?! » domandò Mera Ronae, approvando ovviamente l’idea, nel non desiderare ritrovarsi a morire in una maniera tanto assurda in quella situazione ancor più assurda.
« Na’Heer... » apostrofò l’altra, all’indirizzo di quel figlio che, ancora, non aveva avuto occasione di abbracciare, neppure di sfiorare, e che, purtroppo, non avrebbe potuto più rivedere dopo quell’infausto giorno « Posso comprendere quanto sconvolgente sia per te esserti appena scoperto un negromante... ma... è necessario che tu ora abbia a prendere il controllo del tuo potere per salvare te e tutti i tuoi compagni da questa folle situazione. »
« Io non so se ne sono in grado... » esitò egli, storcendo le labbra verso il basso « Non puoi farlo tu...?! »
« Non posso. » escluse ella, sforzandosi di offrirgli un sorriso tirato, affinché quella potesse essere l’ultima immagine che di lei egli avrebbe avuto a conservare nella sua memoria « L’alfiere è troppo vicino, ormai... » sospirò, con gli occhi colmi di lacrime, prima di sollevare lo sguardo verso il suo amato sposo, quell’uomo per il quale aveva vissuto e sarebbe morta mille volte se necessario... e per il quale, dopo essere già morta una volta, ora non avrebbe avuto esitazione a ripetersi « ... io vi amo! » sussurrò, straziata.
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