Prima della propria avventura siderale, di quei cinque anni trascorsi fra le stelle del firmamento insieme a Be’Sihl all’inseguimento della regina Anmel Mal Toise, Midda Bontor aveva avuto una visione decisamente più radicale della vita.
Figlia del proprio mondo, e della sua cultura, per lei esistevano gli uomini, gli dei e i mostri. E se gli dei, generalmente, non avevano nulla a che fare con gli uomini, e, comunque, non potevano essere uccisi; i mostri, altresì, avrebbero potuto interagire con qualche sventurato, e, ove questi avesse dimostrato il giusto spirito eroico, avrebbero anche potuto essere uccisi. I mostri, del resto, erano parte del mito esattamente come gli dei. Ma a differenza degli dei, ogni mostro avrebbe potuto vantare almeno un eroe che, in una leggenda, aveva avuto occasione di sopravvivergli, e di sopravvivergli trovando il modo di ucciderlo.
Fin da bambina grande appassionata di canzoni e leggende, colei che a propria volta avrebbe finito con il divenire mito non si era mai lasciata sfuggire occasione, una volta cresciuta, di cercare di porsi alla prova seguendo proprio le orme di quegli eroi nell’ascolto delle gesta dei quali ella era cresciuta. E, nell’affrontare, per caso o per volontà, ogni qual genere di mostro, ella non aveva mai dimostrato la benché minima esitazione nell’ucciderlo, certa di quanto ciò fosse l’unico perseguibile scopo di tanto impegno. Solo con la fenice, in effetti, ella aveva avuto a frenare la propria mano, perché innanzi a quella magnifica creatura ella non aveva avuto alcuna possibilità di levare la propria spada contro di essa, per quanto, così facendo, le vite degli ancor bambini H’Anel e M’Eu avrebbero potuto essere poste in serio dubbio, nella minaccia loro imposta da un folle signorotto desideroso di assicurarsi l’immortalità attraverso la fenice stessa.
Quando, però, la Figlia di Marr’Mahew era giunta fra le stelle del firmamento, e lì si era ritrovata a confronto con una società non soltanto decisamente più progredita della propria, ma anche estremamente più variegata di quanto mai non avrebbe potuto immaginare possibile, ella non aveva mancato di appellarsi a tutto il proprio spirito di adattamento per scendere presto a patti con l’evidenza di quanto creature che avrebbe avuto a considerare semplici mostri potessero essere, a tutti gli effetti, esseri senzienti dotati di quegli stessi sentimenti che avrebbe potuto riconoscere a un essere umano, e, in ciò, avere necessariamente e radicalmente a mutare la propria posizione su di essi. Una posizione del tutto rinnovata, la sua, che avrebbe avuto a trovare la propria più evidente dimostrazione quella giovane donna rettile con la quale aveva stretto sin dai primissimi giorni una profonda amicizia, e un’amicizia presto evoluta in un sentimento di sorellanza, sì profondo e reciproco al punto tale da vedere la stessa Har-Lys’sha dimostrarsi pronta ad abbandonare tutta la propria vita per così come era stata sino a quel momento pur di seguirla, e di seguirla fino a quel mondo lontano.
Chiamare una giovane ofidiana “sorella” e, al contempo, avere a considerare “mostro” una creatura semplicemente contraddistinta da caratteristiche non umane, avrebbe quindi avuto a doversi intendere quantomeno assurdo da parte propria. Motivo per il quale, del resto, anche l’interazione con le desmairiane, tutto sommato, non avrebbe avuto a doversi ormai considerare così sconvolgente o innaturale dal proprio punto di vista. E ove, pertanto, eventuali creature non umane, anche autoctone del proprio mondo natio, non avrebbero avuto a doversi giudicare troppo frettolosamente quali “mostri”, ineluttabile sarebbe stato avere a riservarsi un certo scrupolo sulla necessità di ucciderle, concedendosi, altresì, l’occasione utile a tentare di porre le basi per un qualche genere di comunicazione, e un qualche genere di comunicazione che, se non nell’immediato, un giorno avrebbe potuto anche permettere a quei “mostri” di interagire quietamente con la specie umana, per così come, del resto, già facevano Lys’sh, le stesse desmairiane, e tutti i non umani ritornati giunti da mondi lontani.
Purtroppo, per quanto, quindi, l’intento dell’Ucciditrice di Dei avesse a doversi considerare più che positivo, e propositivo, nei confronti di quella situazione; quando le metaforiche carte in giuoco ebbero a essere voltate, e la natura dei loro antagonisti ebbe a essere palesata, ogni qualsivoglia ipotesi di dialogo con gli stessi non poté che avere a vedersi obbligatoriamente negato, nella sola necessità di ucciderli... e ucciderli tutti quanto più velocemente possibile, senza concedersi alcuna esitazione ove, in caso contrario, il prezzo sarebbe stato quello della propria stessa esistenza.
« Chiunque li veda per prima, mi avvisi... » sottolineò, continuando a rivolgersi alle desmairiane attorno a lei, sparse a cerchio lungo un diametro di non più di nove piedi « ... dobbiamo comprendere con qual genere di creatura abbiamo a che fare. »
Il silenzio, tuttavia, continuò a imperare fra di loro, anche nel mentre in cui sporadici suoni di passi leggeri e affrettati ebbero a proporsi, talvolta a destra, talvolta a sinistra, nell’evidenza di quanto, probabilmente, anche i loro avversari stessero così prendendo le necessarie misure nei loro confronti, forse e dopotutto consapevoli a propria volta di quanto tutte loro fossero sveglie e più che pronte alla lotta.
E quando quel silenzio iniziò a diventare persino opprimente, Midda non mancò di avere a cercare conferma di quanto, comunque, ancora nessuno avesse avuto a vedere qualcosa.
« Pemir...? » apostrofò quindi e per prima la figlia della cinquecentotrentesima moglie, che avrebbe avuto a intendersi rivolta verso settentrione.
Nessuna replica, però, fu scandita dalla desmairiana in questione. Anche se, di lì a breve, la voce di una delle sue sorellastre, e, per la precisione, quella di Corel, figlia della seicentottantasettesima, ebbe a esprimere una sonora imprecazione, per porre in allarme l’intero gruppo.
« Per le nere sabbie di Yridha! » esclamò Corel, voltatasi verso Pemir per constatare le ragioni del suo silenzio, e, in questo, ritrovatasi costretta a strabuzzare gli occhi fin quasi a vederli cascare fuori dalle orbite « Pemir è diventata di pietra! » gridò, con buona pace di ogni prudenza in tal senso, affinché tutte fossero informate di quanto fosse appena accaduto.
« Dannazione... » ringhiò Nissa, ben consapevole di quanto tutto quello avrebbe dovuto necessariamente significare.
« ... gorgoni! » completò Midda, non maggiormente entusiasta rispetto alla propria gemella a confronto con quella notizia.
Nessun commento:
Posta un commento