11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

giovedì 24 gennaio 2019

2800


« Per la dea!… »

Che la situazione le fosse sfuggita di mano, Lys’sh lo aveva avuto a comprendere già quattro mesi prima, quando, lasciata da poco la Kasta Hamina e raggiunto il primo, possibile, informatore utile a raccogliere indicazioni nel merito dell’organizzazione che Desmair stava ponendo in piedi, Be’Sihl aveva voluto convincerlo a parlare applicando alla lettera le crudeli indicazioni di un certo Morlo, signore dell’antica città di Lomnia, proprio del di lui pianeta d’origine.
Non avesse deciso di parlare già il terzo giorno, il disgraziato finito fra le grinfie dello shar’tiagho, e da lui candidato allora alla sventurata opportunità di provare sulla propria pelle simile storico trattamento, avrebbe potuto perseverare nella propria agonia per almeno tre mesi, limitandosi, in tal senso, soltanto alla progressiva perdita delle falangi di mani e piedi, nell’alternanza dell’amputazione di una falange, del trattamento a base di sale della ferita, e della successiva attesa di due giorni in quieto isolamento prima del riproporsi della domanda e, in assenza di una replica, della mutilazione successiva. Ma se pur, per quanto alla giovane ofidiana fosse dato di conoscere, nel pianeta d’origine di Midda e Be’Sihl un simile trattamento avrebbe potuto incontrare una certa ostinata resistenza, nella barbara fierezza, a suo avviso, là imperante; nella loro moderna realtà, nella loro più elegante civilizzazione, era stato sufficiente, per il loro reticente informatore, maturare autonoma consapevolezza di qual genere di orrendo manifesto programmatico il suo carceriere avrebbe voluto portare avanti, senza imporgli troppe minacce, senza aggredirlo con un inutile eccesso di parole o di violenza, ma, semplicemente, continuando a insistere in quell’interrogatorio in quella maniera, così come palesato, dopo l’amputazione della prima falange del mignolo sinistro e della prima falange dell’anulare della medesima mano, per decidere di non voler procrastinare ulteriormente quell’agonia, per quanto, in un modo o nell’altro, ciò avrebbe potuto rappresentare per lui la morte.
Per amore di cronaca, il disgraziato eletto a esemplificazione pratica del metodo di interrogatorio di Morlo di Lomnia non era stato alfine ucciso da Be’Sihl, anche se, nel merito del suo destino, difficile sarebbe stato potersi esprimere, giacché, comunque, proprio da lui aveva poi avuto inizio la lenta, ma inesorabile, ascesa che Lys’sh e Be’Sihl avevano intrapreso, un cadavere alla volta, lungo la complessa gerarchia creata da Desmair e dai suoi luogotenenti, e, in questo, a meno che egli non avesse avuto a dimostrarsi realmente bravo a fuggire e a nascondersi, probabilmente, non molto tempo dopo, avrebbe avuto a dover comunque incontrare la violenta e prematura conclusione della propria sventurata, ma non innocente, esistenza, per mano di coloro che, alla fine, non avrebbero potuto ovviare a comprendere da quale anello debole l’intera catena avesse così iniziato a infrangersi, un pezzo alla volta. Ma tale avrebbe avuto a dover essere sicuramente considerata un’altra storia, nel merito della quale, proprio malgrado, Lys’sh non avrebbe potuto riservarsi alcun reale interesse, distratta qual altresì avrebbe avuto a doversi giudicare da più interessanti dinamiche proprie del tempo presente.
Se, infatti, la comprensione di quanto quella situazione le fosse sfuggita di mano, la giovane ofidiana aveva avuto a maturarla già quattro mesi prima, l’evidenza definitiva di simile verità, e di simile verità assoluta, non avrebbe potuto negarla a distanza di quattro mesi e una settimana dal loro abbandono della Kasta Hamina. Un’evidenza definitiva che ebbe quindi a raggiungerla nel momento in cui, con una coppia di sgradevoli ferite di laser che le avevano trapassato la spalla destra e il basso addome sul fianco sinistro, e che avrebbero allor necessitato, quanto prima, di qualche cura per ovviare al lento, doloroso e letale processo di necrosi che l’avrebbe avvelenata e condotta a morte sicura, ella si ritrovò a contemplare l’osceno quadro che il suo compagno aveva lì dipinto nel sangue, e nel sangue di oltre due dozzine di uomini e donne, di diversa specie, umani e non: un’opera, quella allor portata avanti dallo shar’tiagho, non scevra di un’involontaria donazione anche del proprio sangue, non tanto in conseguenza a una ferita di laser anche per lui presente all’appello, e sita all’altezza della sua spalla sinistra, dalla quale non avrebbe mai potuto essere riversato alcun liquido biologico nell’immediata cicatrizzazione offerta dal laser stesso, quanto e piuttosto in oltre una dozzina di ferite di armi bianche accumulate praticamente in ogni angolo del proprio corpo, e che pur, malgrado tutto, non erano allora state in grado di fermarlo, rallentandolo certamente, ed esponendolo conseguentemente a nuovi colpi, a nuovi tagli i quali, tuttavia, l’unico risultato che erano stati in grado di riservarsi avrebbe avuto a doversi riconoscere in ancor maggiore furia da parte sua.
Così, nel mentre in cui ella si trovò bloccata a terra, incapace ad alzarsi in conseguenza delle atroci fitte di dolore provenienti dal suo ventre, in un colpo passato troppo vicino alla propria colonna vertebrale e che, solo nella benedizione di qualche sconosciuta divinità, l’aveva allor risparmiata; egli appariva, grondante sangue suo e non suo, ancora in piedi, ancora intento a proseguire nella sistematica eliminazione degli ultimi antagonisti lì loro offerti, nella volontà di portare a compimento quel massacro prima che Desmair potesse risvegliarsi, potesse risorgere a nuova vita, all’interno del corpo immortale di Reel Bannihil che, per primo, Be’Sihl aveva abbattuto, e aveva abbattuto aprendogli un nuovo sorriso sul collo, da orecchio a orecchio. E se pur lo shar’tiagho non avrebbe avuto a doversi fraintendere qual al massimo della propria forma fisica, lo scontro allora in atto con l’ultimo luogotenente lì presente, e, in maniera quantomeno sgradevole, proprio colui che sino a lì li aveva condotti, avrebbe avuto a risultare egualmente a dir poco epico, riconoscendo quanto, allora, a sospingerlo, ad animare le sue membra, avrebbe avuto a doversi riconoscere unicamente l’adrenalina, e quell’adrenalina che, meglio di qualunque droga, meglio di qualunque steroide, avrebbe potuto allor rinvigorirlo in misura tale da permettergli di ignorare una semplice e comunque desolante verità: quella della propria imminente morte.
Lys’sh ne era consapevole. E, sicuramente, anche Be’Sihl ne avrebbe avuto a dover essere riconosciuto consapevole. Ma, ciò non di meno, giunti sino a quel momento, giunti tanto in là, non avrebbero potuto più fermarsi, non avrebbero più potuto arrestarsi, né avrebbero potuto riservarsi occasione di tornare indietro senza aver portato a termine quella battaglia e senza, in ciò, aver catturato il loro obiettivo, Desmair.
Che poi, sino alla Kasta Hamina, sino a Midda, sarebbe alfine giunta soltanto la giovane ofidiana, per l’ex-locandiere innamoratosi della figlia della dea della guerra, avrebbe avuto a doversi considerare un prezzo ragionevole, un accordo accettabile: l’importante, dal suo punto di vista, avrebbe avuto a doversi considerare soltanto la salvezza della propria amata, senza, in ciò, alcun interesse per se stesso, né per la propria anima, né per il proprio corpo. Riccamente doloroso avrebbe avuto, quindi, lì a considerarsi l’elenco delle ferite da lui riportate, e di quelle ferite che, inesorabilmente, lo avrebbero condotto alla morte, se non per la loro gravità, quantomeno per il sangue che, copiosamente, da esse era costretto allora a riversare, e a riversare attorno a sé. Accanto alla sua spalla sinistra, a quel foro di mezzo pollice aperto da un lato all’altro del proprio corpo, la necrosi del quale obiettivamente avrebbe avuto a doversi considerare l’ultimo dei suoi problemi, avrebbero allora avuto a doversi elencare, in ordine sparso: un lungo, ma fortunatamente non profondo, taglio diagonale sulla parte bassa delle sua schiena, sul  fronte destro, all’altezza delle reni; tre segni di artigli sul lato sinistro del suo volto, che soltanto per grazia divina avevano ovviato a raggiungere il suo collo e, con esso, un risultato sicuramente più incisivo a suo discapito; un profondo e doloroso taglio sul suo avambraccio destro, nell’indifferenza del quale pur continuava a brandire le proprie armi con quella che per lui avrebbe avuto a doversi considerare la mano dominante; un pugnale ancora conficcato nella sua gamba destra, e da lì non rimosso nel timore dell’eventualità di poter accelerare, altrimenti, il dissanguamento in corso; la perdita di una porzione della parte superiore del suo orecchio destro, ormai irrintracciabile nella confusione di sangue e carne lì attorno presente; e tutta un’ulteriore, diversificata varietà di graffi ed escoriazioni, sparse un po’ ovunque.
Come era avvenuto tutto ciò? Come era stato possibile che, alfine, tutto avesse a doversi concludere in quella maniera?!

« … non può finire così. » sussurrò, seguendo con sguardo onnubilato l’evolversi della situazione, e di quella situazione che, nella migliore delle ipotesi, avrebbe condotto alla morte di un uomo che pur non desiderava veder morire, Zibi, e nella peggiore avrebbe veduto tutto il loro impegno, tutti i loro sacrifici, definitivamente archiviati insieme all’ormai effimera aspettativa di vita del suo compagno d’arme, Be’Sihl.

Un sussurro, il suo, che probabilmente avrebbe avuto a dover essere inteso qual una soffocata preghiera, e una preghiera rivolta alla dea madre di tutti gli ofidiani che troppo di rado avrebbe potuto considerarsi solita pregare, e alla quale pur, in quel momento, in quel frangente, non avrebbe potuto ovviare ad appellarsi, non avendo altre possibilità, altre soluzioni a quella di confidare in un miracolo, e in un miracolo a confronto con il quale, magari, il tempo avrebbe potuto ritrovare occasione di riavvolgersi, e di riavvolgersi a ben prima di quella giornata, a ben prima della settimana passata o del mese precedente, e anche a prima degli ultimi quattro o sette mesi, ritornando, addirittura, all’ormai lontano inizio di tutto quello, e al momento in cui, loro malgrado, la sua amica, la sua sorella umana, aveva abbracciato la stolida idea di tentare di stringere un accordo con Desmair, e di offrirgli, in tal senso, addirittura un nuovo corpo, e un corpo immortale, nel quale ritrovarsi finalmente libero di vivere la propria vita, senza realizzare, in maniera imperdonabilmente ingenua, quanto, così facendo, ella altro non avrebbe avuto a concedergli se non l’occasione di vendicarsi, e di vendicarsi senza più remore, senza più freni, per quanto, in quegli anni, aveva dovuto altresì soffocare nel profondo del proprio cuore. Purtroppo, quel miracolo non parve essere destinato a venirle offerto. Non dalla sua dea, non da qualunque altra divinità.
In ciò, a Lys’sh altro non sarebbe rimasto che rassegnarsi, e rassegnarsi tristemente all’idea di una devastante sconfitta o, in alternativa, una non meno tragica vittoria dal sapore oscenamente assimilabile. E, in tal senso, quell’interrogativo, quella domanda, non avrebbe potuto ovviare a continuarla a tormentare…
Come era avvenuto tutto ciò? Come era stato possibile che, alfine, tutto avesse a doversi concludere in quella maniera?!
Certo… la loro quota di responsabilità nella questione, ella e Be’Sihl accanto a lei, non avrebbero potuto rifiutarla. Non in maniera assoluta. Non senza, in ciò, ovviare a riconoscersi qual privi di qualunque parvenza d’onestà intellettuale, di fronte alla quale pur, sino a quel momento, mai si erano sottratti. Perché, verso il tragico epilogo al quale si stavano così spingendo, reità di tutto ciò non avrebbe avuto a doversi considerare soltanto di Desmair, o dei suoi luogotenenti, o di qualunque altro uomo o donna le membra delle quali in quel momento si ponevano confusamente disseminati lungo tutto il pavimento di quell’amplia sala: primaria colpa di ciò sicuramente avrebbe avuto a dover essere addebitata loro… a loro e a quella che, chiaramente, era stata un’eccessiva imprudenza a compiersi, nel decidere di infilarsi coscientemente in quella trappola.

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