Non ho mai scoperto, di preciso, cosa mi offrì da bere, ma di certo con esso diede dimostrazione di non aver agito a vuoto o parlato a vanvera: nei giorni successivi, almeno fino a quando restai sotto coperta, lontano dalla visione diretta delle onde che ancora mi risultarono difficili da accettare, non ebbi più problemi nel mio personale rapporto con il mare, riuscendo altresì a adattarmi, ritengo, con sufficiente rapidità ed efficienza alla vita del marinaio o, meglio, del mozzo.

Se con guerci, nella mia vita pur priva di particolari avventure, avevo avuto a che fare prima di lui, e per tale ragione il bendaggio di cuoio a coprire simile assenza sul suo volto non mi colse eccessivamente impreparato, mai avevo avuto modo di incontrare in passato una persona a cui era stato negato un arto inferiore. In fondo, dove non sono rari mercenari che, nel corso della propria turbinosa esistenza, finiscono con il riportare gravi lesioni ad un occhio, perdendolo irrimediabilmente e pur potendo continuare a prestare la propria attività senza particolari problemi dopo un naturale e scontato periodo di convalescenza e riadattamento alla nuova situazione, discorso totalmente diverso si pone essere quello relativo ad un braccio o una gamba, la cui amputazione non potrebbe evitare altresì menomazioni limitanti al punto tale da rendere impossibile la sussistenza di un guerriero in simile ruolo, lasciandolo eccessivamente indifeso di fronte ad un ipotetico avversario. Situazioni come quella della Figlia di Marr’Mahew, anche nella vita quotidiana di una città estrema come Kriarya, non sono mai state una regola, quanto piuttosto un’eccezione, e di protesi quali la sua, rese mobili ed efficienti quanto, se non oltre, l’originale arto in virtù di una qualche stregoneria, o forse maleficio, personalmente ho avuto notizia solo attraverso qualche ballate, la cui veridicità ovviamente non si è mai proposta semplice da confermare. Nell’ovviare all’assenza della propria gamba, pertanto, il cambusiere era sì intervenuto con un supporto in lega metallica, similmente a quanto compiuto da Midda con il proprio braccio, ma senza poter in ciò rimediare realmente alla tragica perdita: dal ginocchio in giù, pertanto, il suo arto si proponeva lucente e chiaro nei propri riflessi quasi argentati e modellato nelle proporzioni di una vera gamba e di un vero piede, utile, probabilmente, a sostenere il suo peso e, contemporaneamente, a dargli possibilità di camuffare tale minorazione fisica innanzi agli occhi del mondo se rivestito da pantaloni lunghi e calzari alti.
Al di là di simili ipotesi puramente personali, dove non ho mai avuto occasione di vederlo in tali termini, a bordo della nave il suo abbigliamento si è sempre concesso essenziale al pari di chiunque altro: semplici braghe corte, di stoffa chiara, ed un fazzoletto dorato attorno alla nuca, a trattenere ordinati i capelli, si sono sempre proposti quali i suoi vestiari abituali, per garantirgli, nonostante il suo ruolo di cambusiere, una possibilità di mobilità assoluta. Una moda dettata dalla vita del mare, quella, la quale inevitabilmente contagiò ben presto anche me, nel desiderio di ridurre al minimo, almeno apparentemente, le differenze esistenti con il resto dell’equipaggio. Per mia fortuna, nel passaggio al mio nuovo ruolo, ritornai praticamente alla mia precedente occupazione, dimenticando tutti gli oneri e gli onori di uno scudiero per indossare nuovamente i panni di un garzone e, in tal modo, poter collaborare realmente alla vita di bordo e non essere di peso per alcuno.
Se non fosse stato per spazi estremamente ridotti e comodità di ogni sorta ridotte al minimo indispensabile, credo che non avrei avvertito particolare differenza fra la vita nelle cucine della locanda e quella nella cambusa della S’Ash e, di ciò, anche il mio referente a bordo ne ebbe immediata trasparenza.
« Dimmi la verità… tu non sei veramente uno scudiero. » commentò, improvvisamente, non in conseguenza di una battuta pronunciata da me a sproposito o di una qualche esclamazione manifesta di tale realtà, nello stesso giorno della partenza da Seviath.
Simile intervento, ovviamente, non mancò di sorprendermi, nel mentre in cui, cercando di mantenermi in equilibrio e di non affettarmi per sbaglio qualche dito, nel dover contrastare il naturale beccheggio della nave, mi stavo impegnando nella preparazione delle verdure fresche da utilizzare quel giorno come base per una ricca zuppa vegetale, vedendo in ciò la mia concentrazione era completamente rivolta al lavoro in corso e la mia mente intrattenuta in riflessioni di carattere generale, analizzando quanto avevo appena scoperto in merito alla vita dei marinai ed alle differenze della medesima con quella da me precedentemente considerato normalità. Ad esempio ciò che, con tanta semplicità, stavo trattando quale un normale frutto della terra, privo dell’esigenza di particolari riguardi, avevo appena scoperto che sarebbe stato altresì da considerarsi quale lusso per la vita di bordo, una prelibatezza alimentare della quale l’equipaggio avrebbe potuto godere solo nei giorni immediatamente successivi ad uno scalo in porto, laddove altrimenti sarebbe marcito nelle stive.
« Come? » domandai, sollevando lo sguardo con aria smarrita e cercando di raccapezzarmi sull’argomento proposto, praticamente sfuggitomi.
« Nessuno scudiero saprebbe trattare dei carciofi in quel modo… » esplicitò l’uomo, sorridendo ed indicando quanto stavo operando « Hai lavorato in qualche osteria, per caso? »
« Una locanda… » specificai, senza pudori o inibizioni, non provando di certo vergogna per quella parte del mio passato, forse la sola degna di essere riportata all’attenzione di un eventuale interlocutore « In Kriarya, per la precisione. »
« Interessante. » annuì egli « Ciò spiega il perché tu riesca ad impugnare un coltello da cucina senza in ciò sembrar pronto ad attaccare qualcuno. » aggiunse.
« Oh… » sussurrai, non avendo sinceramente mai prestato attenzione al modo in cui reggevo fra le mani tale strumento ma fidandomi del giudizio del mio interlocutore e della sua esperienza certamente superiore alla mia in tale frangente « Non comprendo se lo dovrei interpretare come un complimento o… cos’altro… » proseguii, sinceramente incerto a tal riguardo.
« Un complimento, ovviamente! » sottolineò con aria complice, strizzando l’unico occhio in suo possesso verso di me.
« Quando sei arrivato pallido come un cadavere e privo di sensi non ho potuto evitare di considerarti un ingombro inutile gettato in questo angolo solo per non occupare eccessivamente il ponte… » ammise, continuando, con una schiettezza assoluta che non potei che apprezzare in lui, per quanto apparentemente critica verso di me « … ma continua così e credo proprio che potremo diventare grandi amici tu ed io! »
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