11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

sabato 28 febbraio 2009

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« E’
una piovra… una dannata piovra gigante! »

Per quanto incapace a comprendere realmente quanto offerto al mio sguardo, nonostante l’identificazione appena concessami, la mia mente riuscì lo stesso a seguire l’azione, la battaglia in corso, non più nei confronti del mare, nemico divino e forse invincibile nel proprio essere inviolabile, ma contro una piovra, come l’aveva definita Lasim, un essere, un animale apparentemente fatto di carne ed ossa e, per questo, mortale, fattibile di danno e di sconfitta. Nonostante simile pensiero, il mio corpo e il mio cuore non poterono evitare di essere dominati dalla paura più folle, costringendomi ad essere, al contempo, repulso ed attratto dal pericolo proposto innanzi a me. Alcun genere di pensiero mi fu concesso di formulare, né per la fuga né per la lotta, né per la resistenza né per la ribellione: come se mi fosse stato negato il controllo sul mio corpo, quasi il mio spirito fosse stato sbalzato fuori dal medesimo, non potei che restare immobile ad osservare l’evolversi degli eventi, con la consapevolezza propria di un condannato a morte innanzi al patibolo, al boia.
L’equipaggio del brigantino, al contrario, non si poté concedere lo stesso stupore sovrastante in me, laddove nella propria posizione, nell’esposizione all’azione di quelle specie di serpenti ricoperti di ventose, la loro vita sarebbe stata posta in dubbio, la loro stessa esistenza minacciata: sotto l’incitamento del capitano, essi si mossero pertanto ad estrarre le proprie armi, per dichiarare guerra al loro avversario, nel mentre in cui esso, per nulla impressionato da tale reazione, spinse ancora le proprie mira, i propri attacchi, nei loro confronti, spazzandoli come semplici insetti, quasi fossero minuscole ed indifese formiche in paragone alla sua mole.

« Quei… cosi… sono devastanti… » sussurrai, senza neppure rendermi conto di aver espresso verbalmente tale pensiero, simile opinione.
« Sono tentacoli… » riprese il cambusiere, ottenendo nuovo controllo sul proprio corpo nel superare lo sbalordimento iniziale ed, in ciò, cercando di trarmi ancora indietro, lontano da quel mortale pericolo, per un istinto quasi paterno « La piovra ne ha otto ed attraverso essi può muoversi nell’acqua e sul terreno, esplorare il mondo a sé circostante e catturare le proprie prede, le proprie vittime… in questo caso noi! »

Più delle grida offerte da Djohva, però, qualcosa di diverso parve, al mio giudizio forse parziale, animare i cuori dei figli e delle figlie del mare in contrasto al loro antagonista, a quella minaccia imposta sulle vite di tutti noi: la presenza di Midda Bontor.
La mercenaria, invero, era stata la prima a reagire alla nuova minaccia, a sfoderare la propria spada bastarda, con la lama dagli azzurri riflessi forgiata in una lega tanto rara quanto preziosa, per opporsi al mostro, nonostante l’incredibile possanza del medesimo, imprecando il nome della propria dea e gettandosi a testa bassa in quella nuova prova, nell’ennesima sfida posta innanzi al proprio cammino. Temprata da avventure spesso al di là di ogni umana comprensione, protagonista di ballate epiche al punto tale da essere quasi impossibili da credere, da accettare, ella aveva in quel pericoloso e mortale frangente tenuto fede alla propria nomea, al titolo di Figlia di Marr’Mahew, dea della guerra, conquistato nelle isole ad occidente di Kofreya, saettando agilmente sul ponte della nave per respingere ogni tentativo di offesa, tentando a sua volta di imporre dolore e morte contro i tentacoli della piovra, troppo grandi, troppo rapidi, troppo forti per non mietere nuove vittime fra l’equipaggio della S’Ash. Ma, sebbene l’impegno della donna guerriero non avrebbe potuto trovare pari, per quanto il suo carisma avesse coinvolto ognuna delle persone attorno a lei quasi come un fiume in piena, trascinandoli nella furia di quella battaglia, alcun colpo offerto dalle armi dei presenti sembrò in grado di offrire pena all’avversario, anche solo ferendolo superficialmente: i tentacoli, guizzanti, assorbivano ogni fendente, affondo o altro attacco loro offerto, senza riportare il benché minimo danno ed, al contrario, imponendo morte ad ogni proprio passaggio.

« Sembra invincibile! » gemetti, voltandomi verso Lasim alla ricerca di un sostegno da parte sua, quasi egli potesse offrirmi una chiave di lettura per quegli eventi tanto tremendi.
« Ne ho cucinate molte, ovviamente di dimensioni inferiori a questa… e la loro pelle si è rivelata sempre estremamente elastica, capace di respingere anche la lama di un coltello ben affilato. » spiegò, rinunciando in quelle parole nel desiderio farmi rientrare nel sottocoperta ma continuando a trattenermi, per evitare che potessi gettarmi nella mischia esterna in conseguenza a qualche colpo di testa « Date le dimensioni di questo mostro, temo che tutti i nostri arpioni, le nostre spade, possano rivelarsi inutili… »

Nel mentre di quelle parole, però, quasi esse potessero essere state da lei percepite, Midda si mosse con velocità e coordinazione perfette nel caos della tempesta e della battaglia, raggiungendo un tentacolo in rapido movimento sulla superficie del ponte: la spada, con un’armonia d’incredibile e tremenda bellezza, roteò attorno ai suoi fianchi, sollevandosi verso il cielo e mostrandosi per un fuggevole istante impugnata da entrambe le sue mani, salvo poi precipitare con decisione ed impeto contro il proprio obiettivo, rivolgendo ad esso la punta affilata. E a voler negare quanto temuto da Lasim, quanto da egli espresso, la pelle e la carne della creatura cedettero sotto l’impeto di quel colpo, nonostante tutta la propria elasticità fino a quel momento utile a concedergli immunità, vedendo il freddo metallo della lama penetrare in simile abominio, trapassandolo da parte a parte ed andando a conficcarsi, addirittura, nel legno della nave sotto di esso.
« Sì! » gridai, entusiasta, esultante nell’aver assistito a simile scena, laddove essa parve offrire finalmente un bagliore di speranza nelle folli tenebre di quel momento.

Purtroppo le ragioni di gioia, in me, non perdurarono a lungo: la piovra, infatti, non accettò quel danno, quell’offesa dal sapor di blasfemia nei confronti di se stessa, creatura dei mari, dominatrice di quelle lande all’interno delle quali noi eravamo intrusi, stranieri, invasori: sorprendendo chiunque, inclusa la mercenaria, essa dilaniò con violenza le proprie stesse carni per liberarsi dal blocco impostole dalla spada, lasciando la medesima, grondante di brandelli del proprio essere, infissa nel legno della nave e, contemporaneamente, scaraventando il proprio tentacolo ora libero in opposizione all’avversaria.

« No! » gridai, spaventato, sconvolto nell’aver assistito a simile scena, laddove essa parve definire la conclusione di ogni sogno, il termine di ogni possibilità di vita.

Ora inerme nei confronti del mostro, la donna guerriero venne trascinata in cielo sotto il mio sguardo, quasi fosse stata una bambola di pezza priva di vita: attoniti, tutti i marinai della S’Ash restarono bloccati, non diversamente da quanto lo ero io già da lungo tempo ormai, nell’osservare quella scena, quell’immagine, increduli che potesse essere reale, rifiutandola nel significato altrimenti celato in essa. E anche la voce del capitano, posto in prima fila fra i propri uomini a combattere con non meno vigore, con non meno furia di quanto non avesse fatto la mercenaria fino a quel momento, si zittì, quasi in dubbio sulla possibilità di offrire ancora incitamento, sull’utilità di spronare nuovamente gli uomini e le donne al proprio servizio dopo già tante perdite. Fortunatamente, però, simile affrettato giudizio, nei suoi riguardi, venne immediatamente negato laddove, con nuova enfasi si impose di non permettere a nessuno, se stesso in primo luogo, di accogliere inerme una fine forse già scritta.

« Se dobbiamo morire, lo faremo dimostrando a tutti gli dei del mare il nostro valore, non la nostra pavidità! » ruggì egli, gettandosi nuovamente all’attacco « Non permettiamo che il nostro nome possa essere dimenticato, non permettiamo che le nostra gesta possano cadere nell’oblio: abbiamo affrontato la vita lottando… affrontiamo anche la morte nello stesso modo! »

Fu allora, nel mentre in cui quell’inno alla vita ed alla battaglia venne proclamato, nel mentre in cui il mio sguardo non si arrendeva nel cercare di spingersi al cielo ed al mare per individuare la mia padrona, che la più folle ed assurda idea della mia intera esistenza trovò ragion d’essere, incarnandosi in un fulmine, in una scarica divina piombata dal cielo a colpire l’albero maestro della nave, infrangendolo ed incendiandolo in quella notte oscura.

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