11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

venerdì 7 giugno 2013

1964


Una situazione di spiacevole stallo, quella in tal modo venutasi a creare fra la mercenaria e il proprio prigioniero, nonché nipote, per eludere la quale o l’uno, o l’altra, avrebbero dovuto accettare l’eventualità di una resa, la rinuncia, anche soltanto parziale, alla severità della posizione sino a quel momento assunta, per così come, tuttavia, né l’uno, né tantomeno l’altra, sembravano essere interessati, sembravano desiderosi di una qualche possibilità di negoziazione. Priva di una qualche possibile soluzione intermedia, del resto, avrebbe dovuto essere giudicato e riconosciuto quel loro confronto, quella loro dialogo, che li vedeva posti su frangenti troppo estranei, troppo distanti, l’uno dall’altra, per poter accettare nulla di meno di un trionfo completo, laddove, altresì, avrebbe dovuto essere riconosciuto semplicemente qual una sconfitta assoluta, totale e, qual tale, devastante.
Se, infatti, per la donna guerriero, rinunciare allora all’inappellabilità di una vittoria indiscussa e indiscutibile avrebbe dovuto essere solamente e spiacevolmente interpretato qual accettare l’innocenza del nipote, per così come da lui sino ad allora proclamata, né più, né meno; parimenti, per il giovane pirata, accettare qualcosa di meno del proprio successo più pieno, più completo e totale, avrebbe dovuto essere fondamentalmente e sgradevolmente ritenuto qual accettare la propria colpevolezza, il proprio intento volto al tradimento della zia proclamata altresì qual da lui appassionatamente ricercata, in termini che, senza particolare ambiguità, avrebbero inevitabilmente coinciso con quelli da lei sin da subito proposti e difesi.
Uno stallo, pertanto, non soltanto di improbabile risoluzione, quanto e piuttosto di impossibile risoluzione, conseguente all’impossibilità, per le parti in giuoco, di poter raggiungere un qualunque genere di accordo tale da soddisfare entrambi, da appagare delle esigenze comuni purtroppo impossibili da ritrovare, da individuare, da delimitare. E non quell’ultimo periodo di interruzione da lei volontariamente ricercato per rassicurarsi nel merito delle condizioni del proprio amato locandiere; non il precedente, involontariamente imposto loro dall’assalto degli ippocampi; non qualunque altro, fra quelli che avrebbero potuto ancora venire in futuro; avrebbero potuto fare la differenza, avrebbero potuto imporre loro opportunità di raggiungere un qualche compromesso, nel bene quanto no.
Ineluttabilmente consapevoli di ciò, loro malgrado, avrebbero dovuto essere considerati tanto l’una quanto l’altro, ove, per loro fortuna, sufficientemente intelligenti da ben comprendere la situazione per così come loro imposta e, ancora, da apprezzare l’ironia della sorte intrinseca dietro il loro stesso acume, la loro arguzia, che, in tale contesto, avrebbe dovuto essere egualmente riconosciuta qual una benedizione, quanto una condanna. Fosse infatti stata, una delle due parti in giuoco, abbastanza stupida da non apprezzare ogni sfumatura della situazione per cosi come venutasi a creare fra loro; tale fronte debole avrebbe potuto ipotizzare di rovesciare la situazione a proprio vantaggio, a proprio sostegno, fingendo una qualche resa, una qualche accettazione dell’altra parte, dell’altro fronte, in misura sufficiente da ipotizzare di far abbassare la guardia alla controparte e, in ciò, alla fine, riuscire a sorprenderla, riuscire a ottenere la vittoria alla quale, altresì, mai avrebbe voluto rinunciare. Tuttavia, essendo entrambi i giocatori sufficientmente intelligenti da comprendere quanto, così facendo, non avrebbero mai potuto ottenere alcun successo, alcun reale risultato, al di fuori di ispirare la controparte a sfruttare tale ipotetico trucco in contrasto proprio a chi lo avrebbe ideato; da alcuna delle due parti vi sarebbe mai stata una qualche rinuncia… neppure di un singolo, e metaforico, piede di territorio.
Così, vittime delle loro posizioni antitetiche e della loro intelligenza, zia e nipote avrebbero potuto proseguire per giorni, settimane, addirittura mesi, quel confronto, quella sfida, psicologica e verbale ancor prima che fisica, senza il benché minimo cambiamento, senza la più effimera alterazione nell’equilibrio lì necessariamente impostosi. Giorni, settimane, addirittura mesi, che, tuttavia, se anche il giovane Leas avrebbe potuto permettersi di attendere, soprattutto nella negativa accezione delle sue intenzioni per così come supposte dalla sua interlocutrice; la Figlia di Marr’Mahew non avrebbe potuto in alcun modo giustificarsi o perdonarsi, laddove sottratti alla missione per la quale ella, il suo amato Be’Sihl, il suo scudiero Seem, i suoi amici fraterni Howe e Be’Wahr, e tutta la famiglia della Jol’Ange, erano partiti alcune settimane prima da Tranith per fare rotta verso Rogautt, l’isola dei pirati, la capitale del regno che la sua gemella, e nemesi, aveva eretto con le proprie sole forze. E dove anche ella non avrebbe maturato, autonomamente, il controllo utile a permetterle di costringersi a compiere la scelta utile a concludere, quanto prima, quel confronto, quell’interrogatorio che ad alcun risultato avrebbe mai condotto; fortunatamente la Campionessa di Kriarya non avrebbe avuto a doversi considerare sola in quel momento, non avrebbe dovuto essere riconosciuta qual abbandonata a se stessa in quel frangente, in misura tale da poter restare incautamente vittima di se stessa.
Proprio in tale contesto, in simile situazione, avrebbe avuto a doversi riconoscere e interpretare il lieve bussare che palesò la presenza di qualcuno al di là della porta d’ingresso. Un richiamo quieto, quasi discreto, che non volle porre in allarme la mercenaria così come già era avvenuto in concomitanza all’avanzata dei cavalli di mare, ma che pur volle catturarne l’attenzione, richiedendole di interrompersi, non appena possibile, per offrire un momento di attenzione a chiunque, là fuori, la stava allora invocando.

« Ti stanno cercando… » si concesse occasione di avvisarla Leas, indicando con un movimento del capo la porta chiusa, quel limite invalicabile oltre il quale egli, neppure volendo, avrebbe potuto spingersi, nell’essersi assicurati, i suoi secondini, che non gli potesse essere offerta possibilità alcuna di fuga « … non sarà già ora di pranzo…?! » ipotizzò poi, cercando di giustificare in qualche modo il perché di quel bussare, di quell’interruzione.
« Se così fosse, spero per te che non ti dispiacerà mangiare carne di cavallo… » commentò, per tutta replica, Midda, aggrottando la fronte, a dimostrare quanto fosse personalmente poco convinta nel merito di quella particolare interpretazione « … cavallo di mare, ovviamente. » puntualizzò, suggerendo, in tal modo, a quale destino potevano essere stati destinati gli ippocampi loro inviati contro da sua madre.

Non il pranzo, ciò nonostante, avrebbe dovuto essere considerato alla base di quell’interruzione, quanto e piuttosto l’intervento del capitano della Jol’Ange, il quale, primo fra tutti, avrebbe dovuto essere riconosciuto qual interessato al rispetto delle tempistiche pianificate, soprattutto nel confronto con l’evidenza di un cielo ora limpido, di un vento vivace e di un mare incredibilmente piatto che avrebbero potuto favorire, e di molto, il loro viaggio, se solo non avessero atteso troppo tempo prima di decidere di rimettersi per mare.

« Scusa il disturbo, Midda... » premesse, prendendo voce e in ciò non offrendo evidenza di voler avanzare all’interno della stanza, dell’abitazione, nel restare quieto oltre la soglia, oltre l’uscio pur allora dischiusogli innanzi, nel non avere particolare interesse a confrontarsi con il prigioniero « Avrei bisogno di parlarti… pensi di poterti liberare per un attimo…? » le domandò subito dopo, senza imporre alle proprie parole, alla propria richiesta, un tono tale da suggerire un carattere di particolare urgenza, benché, ovviamente, non avrebbe dovuto essere considerata ammissibile, da parte sua, una replica negativa a quella richiesta, a quell’invito, scandito in termini assolutamente cortesi e, ciò nonostante, ben distanti dal potersi considerare per lui sudditi.
« Certamente. » replicò pertanto ella, per nulla turbata da ciò e, anzi, in parte già consapevole di quanto l’altro avrebbe voluto chiederle e suggerirle, dal momento in cui semplicemente nel ritrovarsi a confronto visivo con lui, la sua mente non aveva tardato a ricordarle i propri impegni e, con essi, le proprie innegabili priorità, che non avrebbero potuto trascendere, completamente, dalla figura del nipote né, tuttavia, avrebbero potuto permettersi di dipendere, altrettanto esclusivamente, da lui, così come, almeno sino a quel momento, e da quando egli aveva incrociato il loro viaggio, il loro tragitto verso Rogautt, era altresì stato, con la sola, dovuta e praticamente obbligata eccezione rappresentata dalla battaglia con gli ippocampi, che mai avrebbe potuto ignorare.



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