11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

venerdì 14 giugno 2013

1971


Per questa ragione, in grazia alla complicità della luce del sole, gradevolmente amica allorché nemica così come, in alcune passate occasioni si era dimostrata essere, soprattutto quando, con il proprio calore, aveva siglato una macabra promessa di bruciante morte a discapito della mercenaria e di chi a lei prossimo, di chi a lei vicino; la mercenaria dagli occhi color ghiaccio non poté essere in alcun modo colta di sorpresa dall’avvento delle creature a proprio discapito, non in misura maggiore di quanto non avrebbe potuto esserlo nel confronto con qualunque altro avversario. Del resto, abituatasi qual ella si era costretta a divenire, a venire alle armi tanto con comuni mortali, quanto con ogni qualsivoglia genere di altro essere, umano e non, immortale o presunto tale; nonché reduce, da poco, da pochissimo, da uno scontro con un intero branco di ippocampi, mostri quasi invincibili e, quasi ciò non fosse sufficiente, terribilmente assetati di sangue e affamati di carne, e di sangue e di carne umani; l’idea di essere allora in sfida con tre gargolle non avrebbe potuto offrirle particolare ragione di agitazione, particolare motivo di isteria, non in misura maggiore di quanto, del resto, non fosse già stata propria di Howe e Be’Wahr, accanto a lei cresciuti, in quegli ultimi quasi dieci anni, tanto come guerrieri, quanto come avventurieri, ancor prima che, semplicemente, qual mercenari. Assenza di agitazione e di isteria che, allora e pertanto, le permisero di poter affrontare con estrema calma quella situazione, quel pur non gradevole contesto, in termini persino sufficienti da poter approfittare di quel primo, triplice attacco, per prendere le dovute misure con i propri avversari, con i propri nemici, arrivando addirittura, e letteralmente, intimamente a catalogarli, per poter apprezzare, allora, con chi stesse effettivamente avendo a che fare in quel momento, nella volontà di cogliere, ove allora potenzialmente presenti, le caratteristiche proprie di ognuna di quelle gargolle, in misura tale da non poter permettere ad alcuna di loro di coglierla di sorpresa, nell’esatto instante in cui si sarebbe ritrovata a fronteggiarla in maniera alfine diretta.
Da tale analisi, rapida, a dir poco istantanea, nella stessa misura in cui rapide e istantanee avrebbero dovuto essere considerate tutte le valutazioni che la donna guerriero era da sempre costretta a compiere nel corso di una battaglia, di uno scontro in cui in singolo, fuggevole attimo di esitazione avrebbe potuto rappresentare quietamente la differenza fra la vita e la morte; Midda Bontor poté evincere quanto, diversamente dagli ippocampi affrontati nel corso di quelle ultime ore, le tre gargolle potessero vantare dei dettagli decisamente univoci, e ancor diversi dall’unica altra gargolla di cui conservava memoria, in sicura relazione alla loro particolare origine, alla loro genesi. Essendo, del resto e per quanto aveva avuto modo di essere informata, nei limiti che tale informazione avrebbe potuto dimostrare, non creature naturali, quanto puri e semplici artefatti, frutto di un’opera scultorea ancor prima che di stregoneria; l’originalità intrinseca nel loro aspetto, nelle loro forme e proporzioni, sarebbe necessariamente dipesa da molti fattori, primo fra tutti, sicuramente, la fantasia dell’artista, e l’impeto creativo che poteva averlo contraddistinto nel plasmare quell’opera. E, nel contesto proprio di quel particolare momento, di quella precisa situazione, l’artista, o gli artisti, alla base della creazione di quelle tre gargolle, di quelle tre imponenti statue, si dovevano essere dati molto da fare per ovviare a una qualsivoglia parvenza di serializzazione del loro operato, del loro lavoro, cercando di eliminare qualsivoglia rassomiglianza fra loro.
La prima che ella prese in esame, non per una qualche personale preferenza in suo favore, né per l’evidenza di una qualche particolare espressione di importanza, di valore da parte della medesima, ma per semplice casualità, perché, per prima, si pose innanzi al suo sguardo, fu una gargolla chiaramente ispirata all’immagine di un drago, o, comunque, qualcosa che avrebbe desiderato offrire la parvenza di un drago. Il suo capo, qual primo e più appariscente particolare, risultava simile a quello di un rettile, di una grossa lucertola, pur apparendo contraddistinto, lungo i bordi superiori del medesimo, da una doppia serie di piccole corna, di dimensioni crescenti, una che trovava la propria origine in corrispondenza dell’occhio destro, l’altra del sinistro, a risalire sulla nuca e a ridiscendere sino al collo. All’interno dell’ampia bocca, in quel frangente chiusa, la mercenaria non avrebbe saputo cosa potersi attendere di preciso, incerta, persino, all’idea che potesse effettivamente dischiudersi: ciò nonostante, in un contesto qual quello così delineato, indistintamente la presenza o l’assenza di una qualche, particolare dentatura non avrebbe certamente rappresentato un elemento di disturbo, di disarmonia, soltanto riprendendo la doppia cresta lì definita da quelle corna. Su un corpo di forma umanoide, comunque, altri dettagli non potevano che evidenziare quanto, nell’intento del creatore di quel mostro, non volesse esservi alcun desiderio di offrire allo sguardo di eventuali osservatori le armonie e le proporzioni di un corpo umano. A partire da una muscolatura ipotrofica, che difficilmente avrebbe potuto giustificare l’armoniosa mobilità altresì propria di quelle stesse membra; per proseguire con mani e piedi improbabilmente identificabili qual tali, e più prossimi, al contrario, a delle zampe artigliate, pronte a ghermire qualunque preda gli sarebbe stata offerta. E, ancora, una lunga coda del tutto in accordo con l’immagine propria di un rettile, di una lucertola o, meglio ancora di un drago, nel riprendere, fra l’altro e a propria volta, la doppia serie di protuberanza ossee, simili a corna e che pur, in tale postura, non avrebbero più potuto essere definite qual tali. Fino a concludersi con una coppia di ampie ali simili a quelle di un pipistrello sulla schiena, a giustificare, almeno a livello estetico, la sua capacità di volare, di librarsi in aria, benché mai a livello pratico, fisico, tale possibilità sarebbe stata in semplice grazia di ciò garantita a una statua di pietra di, comunque, almeno sette piedi di altezza, e, in conseguenza a ciò, pesante diverse centinaia di libbre.
La seconda che si pose innanzi allo sguardo della donna guerriero, e che da lei venne allora valutata, fu una gargolla che, laddove la prima aveva offerto un certo richiamo a un drago, o a qualcosa che ai suoi occhi color ghiaccio in tale sembianza era risultato, apparve allora presentare una qualche somiglianza con un grosso predatore felino. Il suo capo, in questo contesto, avrebbe potuto essere riconosciuto inequivocabilmente quale quello di una pantera, di una tigre, o, comunque, di un qualche altro animale simile, con una bocca ornata da lunghe zanne, un grosso naso triangolare, piccoli occhi tondi e orecchie appuntite a dominare l’intero quadro così delineato. Il suo corpo, ancora una volta in forme umanoidi, presentava, in opposizione al proprio compagno e, ciò non di meno, lontano da qualunque parvenza di umanità, una muscolatura sviluppata a ora livelli ipertrofici, tali da poter porre in imbarazzo persino Av’Fahr o Be’Wahr che, all’interno del gruppo dei passeggeri della Jol’Ange, erano coloro dotati di una più massiccia prestanza fisica. E così come, per la gargolla drago, improbabile sarebbe stato giustificare l’armonia dei suoi movimenti nel confronto con una così esile corporatura, non più semplice sarebbe stato anche nei confronti con quella pantera che, rinunciando clamorosamente a qualunque flessuosità caratteristica dei felini, almeno a livello estetico, in nulla e per nulla si presentava penalizzata dalla propria oscena possanza. Facile, troppo facile, nel confronto con ciò, con l’assoluta equivalenza fisica propria dell’una così come dell’altra creatura, pur tanto diverse, pur praticamente antitetiche, sarebbe stato dedurre quanto la loro mobilità, al pari della loro capacità di volo, non avrebbe dovuto essere considerata in alcun modo qual influenzata in maniera diretta dall’opera dell’artista loro creatore, quanto, e piuttosto, dell’incantesimo che aveva offerto loro animazione: una stregoneria che, comunque, non avrebbe in alcun modo potuto trascendere i limiti propri della loro stessa struttura fisica, così come ella aveva già avuto occasione di constatare, non permettendo loro possibilità di volo non soltanto in assenza delle proprie ali ma, addirittura e più banalmente, della propria stessa coda, impiegata, in qualche misura, a mantenere in essere quel pur delicato equilibrio che permetteva loro di stagliarsi alte nei cieli allorché precipitare fragorosamente al suolo. Ali e coda, quindi, che non mancavano neppure nella gargolla pantera, le prime ancora una volta dimostrando una certa affinità con quelle proprie dei pipistrelli, e la seconda, invece, mantenendosi coerente con l’aspetto felino, e presentandosi, in conseguenza, lunga e sottile, quasi elegante e in terrificante contrasto con la massiccia corporatura proposta dal resto di tale artefatto, a dimostrazione di quanto, ciò che lo scultore non aveva voluto prestare particolare attenzione all’estetica della propria statua, quanto ad altri fattori. Fattori che, nella fattispecie, ritrovavano in parte giustificazione nelle sue zampe, non mani e piedi ma, propriamente, zampe, dotate in ciò di affilati artigli con i quali non limitarsi a ghermire, quanto e piuttosto a squarciare le carni delle proprie prede con gesti tanto decisi, quanto letali.



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