Per molto tempo Lora Gron’d non ebbe a comprendere in grazia di quale assurda coincidenza le fu concesso di restare insieme a Korl anche a seguito dell’obbligata diaspora del loro gruppo.
O, per meglio dire, per molto tempo ella non volle razionalizzare l’evidenza dell’ovvio. E di quell’ovvio qual solo avrebbe avuto a dover essere inteso un manifesto interesse da parte del medesimo e una sua esplicita richiesta, in qualche maniera accolta, di poter restare affiancato a lei malgrado tutto. Del resto, ipotizzare il contrario, sarebbe equivalso a un atto di indubbio egocentrismo da parte sua, trasparente di una superbia che non le apparteneva: del resto, per quale ragione mai Korl Jenn’gs avrebbe avuto ad agire in tal direzione? Anche prima delle proprie morti, in fondo, sì, erano stati amici. Ma mai nulla di più, a dispetto delle voci che egli aveva messo in giro e che ella aveva contribuito a sostenere.
Comunque fossero andate le cose, fra tutte le persone del gruppo di Thermora che aderirono all’iniziativa di integrazione promossa da Midda Bontor, soltanto Korl e Lora ebbero a essere associati nella propria destinazione finale. E, questo, obiettivamente, non ebbe a essere inteso, nella maniera più assoluta, qual un male per lei... anzi.
Se proprio ella avrebbe avuto a dover trascorrere il resto della propria vita in un mondo a predominanza umana, e in un mondo che, potenzialmente, avrebbe potuto desiderare ucciderla, pur, fortunatamente, non avendo mezzi per compierlo a confronto con il proprio stato attuale; Lora Gron’d non avrebbe potuto desiderare un compagno di viaggio migliore di Korl: una persona onesta, leale e capace di ispirare fiducia, con la quale avere occasione di confrontarsi, con la quale poter quietamente interagire, e, soprattutto, all’occorrenza, con la quale potersi sfogare, nel momento in cui le cose avessero preso una brutta piega.
Fu così che, quindi, Lora Gron’d e Korl Jenn’gs si ritrovarono a dover lasciare la prima città da loro incontrata in quella loro nuova vita, Lysiath, per avere ad avventurarsi, stranieri in terra straniera, in quel nuovo mondo alla volta della piccola Koorynia.
Koorynia avrebbe avuto a dover essere riconosciuta qual una cittadina, o, per meglio dire, un villaggio, sito all’interno della provincia di Kirsnya, a nord di Lysiath, in prossimità con il confine orientale.
Definire Korrynia piccola, dal punto di vista di Korl e Lora, avrebbe avuto a dover essere riconosciuto qual una sorta di obbligo morale, a non voler apparire totalmente falsi a confronto con il proprio stesso intelletto. Se già, infatti, Lysiath, ipoteticamente grande capitale, avrebbe avuto a dover essere intesa pressoché pari a un semplice quartiere nel confronto con i propri consueti canoni di misura demografica, Korrynia, con tutto il dovuto rispetto, non avrebbe avuto a superare in dimensioni gli edifici all’interno dei quali, un tempo, Korl e Lora erano abituati a vivere. E non che, in effetti, quelli di Korl e Lora avessero a doversi fraintendere quali i complessi abitativi più imponenti di tutta Thermora.
Su Thermora, a voler offrire qualche dato più puntuale, Korl viveva insieme ad altre tre persone in un appartamento di quattro camere all’interno di un edificio ospitante altre ottantanove unità abitative. Lora, invece, viveva insieme ad altre cinque persone in un appartamento di tre camere all’interno di un edificio ospitante altre centoventi unità abitative. E tutta Korrynia, in ciò, avrebbe avuto a poter contare quarantadue famiglie.
Definire Korrynia piccola, quindi, avrebbe avuto a dover essere riconosciuto qual una sorta di obbligo morale. E, in un tanto minuscolo contesto, il loro arrivo in città non poté passare inosservato. Anzi. In buona sostanza, ebbe a dover essere inteso qual uno degli eventi più importanti dell’anno, tanto nel bene, quanto nel male.
« Benvenuti a Korrynia. » li ebbe ad accogliere un uomo forse sulla quarantina, età che, avevano presto inteso, avrebbe avuto già a doversi intendere più che ammirevole in quel mondo, e in un mondo nel quale superare i cinquanta sarebbe equivalso a conquistarsi, necessariamente, il titolo di venerabile... o qualcosa di quantomeno equivalente « Il mio nome è Balgi e ricopro l’incarico di alcalde. »
Alcalde: una parola atta a descrivere un rappresentante del governo centrale e, al contempo, il corrispettivo di un sindaco e di un giudice, che, in quel di Kofreya, e nei territori confinanti, avrebbe avuto a dover essere riconosciuta qual atta a indicare la più alta autorità locale in quei territori troppo piccoli per poter interessate un qualunque lord, in termini tali da garantire, paradossalmente, una certa autonomia, una certa indipendenza, proprio da parte di chi, per palesi ragioni, non avrebbe poi avuto potenzialmente interesse a volersi considerare autonomo da chicchessia.
« Vi prego, tuttavia, di non lasciarvi spaventare dal mio ruolo... » si raccomandò immediatamente, sorridendo e scuotendo il capo ornato da una folta e disordinata capigliatura riccia, ingrigita dagli anni, e da quei quarant’anni che pur, nella prospettiva di quel mondo, non avrebbero potuto ovviare ad apparire necessariamente molti di più « Qui a Korrynia la vita scorre così tranquilla che quello di alcalde è un incarico praticamente simbolico. » precisò, minimizzando in tal maniera la propria importanza « E, in effetti, avrete più possibilità di appellarvi a me come macellaio che non come alcalde! » ammiccò quasi divertito, bonario nella propria espressione e nei propri modi.
Nel merito del nome e della carica di Balgi, in effetti, Korl e Lora erano stati informati prima della loro partenza, qual persona di riferimento alla quale rivolgersi non appena fossero giunti a destinazione. E se, inizialmente, l’idea di avere a doversi confrontare direttamente con colui che, in buona sostanza, avrebbe avuto a dover essere riconosciuto qual il signorotto locale, non avrebbe potuto avere a entusiasmarli, proiettando sui loro cuori un certo stato di motivata ansia; nel ritrovarsi a confronto con Korrynia e con Balgi, francamente, entrambi non avrebbero potuto mancare di riservarsi un certo sospiro di sollievo, nonché un qualche imbarazzo all’idea del timore inizialmente provato.
Korrynia, infatti, non avrebbe avuto a dover essere fraintesa più grande della metà della sede della Loor’Nos-Kahn presso il quale entrambi erano impiegati in Thermora. E Balgi non avrebbe avuto a dover apparire né aggressivo, né, tantomeno, arrogante, quanto e piuttosto, in un primo, superficiale impatto a pelle, qual una persona fondamentalmente buona e premurosa, per così come, sino a quel momento, già troppe avevano avuto occasione di dimostrare di essere in quel mondo così primitivo.
« Il mio nome è Lora Gron’d. » si affrettò quindi a presentarsi la feriniana, tendendo la propria destra verso l’uomo innanzi a sé in gesto di pace « E il mio amico si chiama Korl Jenn’gs. » si riservò l’occasione di parlare anche per lui, certa di quanto questi non avrebbe avuto a prendersela a male.
Che l’alcalde non fosse solito avere a confrontarsi con una donna gatto, fu evidente a confronto con il gesto di lei, e con quel gesto a confronto con il quale, per un istante, egli ebbe quasi a retrocedere, evidentemente timoroso all’idea di un’aggressione, e di un’aggressione per mezzo dei pur notevoli artigli dei quali le sue dita apparivano ornate alle estremità.
Che l’alcalde, ciò non di meno, dovesse essere stato ben informato della situazione, e della particolare natura dei propri nuovi ospiti, e di una in particolare, fu evidente a confronto con l’impegno che egli comunque ebbe a porre innanzi a tal gesto, nel non retrocedere e, anzi, nello spingersi, non senza un certo coraggio, in avanti, per afferrare con la propria destra l’avambraccio di lei, offrendole, in cambio, il proprio. Un gesto, quello che egli volle tributarle, che Lora Gron’d dovette ricordarsi essere tutt’altro che privo di valore là dove, diversamente rispetto alle proprie passate abitudini, in quel nuovo mondo altri modi avrebbero avuto a dover essere intesi atti al saluto interpersonale, in accordo ai diversi gradi di fiducia che, fra le due parti in causa, avrebbero avuto a poter essere intesi presenti: così, se fra due estranei non vi sarebbe stato nessun contatto fisico, limitando il tutto a un semplice e leggero inchino del capo; e fra due amici, altresì, vi sarebbe stata la duplice offerta di entrambe le mani, a dimostrare la più completa e assoluta fiducia reciproca; fra due persone non estranee e legate da un sufficiente livello di confidenza reciproca sarebbe potuto occorrere quel particolare gesto di saluto, e quel gesto di saluto atto, allora, a poter comunque garantire una mano libera, e una mano allor utile, all’occorrenza, per difendersi dalla controparte.
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