11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

sabato 3 luglio 2021

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Quando Be’Sihl Ahvn-Qa ebbe a riacquistare coscienza, ancor prima di riaprire gli occhi, non poté ravvisare un deciso dolore alla base della nuca. Dolore che, in conseguenza al suo più minimo tentativo di movimento, ebbe a mutare le tenebre presenti innanzi ai suoi occhi chiusi in un’esplosione di luce, e un’esplosione di luce sol conseguente al dolore allor da lui provato.

“… dannazione…”

Non ricordava di preciso cosa fosse accaduto, ma era certo di essere caduto. Forse da una rampa di scale.
C’erano delle scale nella locanda dove aveva soggiornato con Deeh’Od nella loro ultima notte insieme?
Non lo ricordava con precisione, ma probabilmente doveva essere così, o non avrebbe avuto senso che vi fossero lì, nel tempo del sogno.
In effetti, benché quello fosse stato uno dei giorni più orrendi della sua intera esistenza, se non il più orrendo, egli non avrebbe avuto a doversi intendere solito rimembrarlo. Anzi: proprio in conseguenza di quanto tutto ciò fosse stato orrendo, la sua mente si era sforzata di rimuovere tutto ciò a esso connesso, seppellendolo in profondità e, pur, evidentemente, non tanto in profondità da ovviare che tutto quello potesse essere dato in pasto al tempo del sogno.
Perché era successo…? Perché proprio allora…?!
Certo: non era la prima volta che il tempo del sogno gli aveva a proporre Deeh’Od, e tragiche memorie attorno a lei, ultima fra tutte quella della sua cerimonia funebre. Ciò non di meno, in quel particolare momento, in quel particolare frangente, egli si era probabilmente concentrato su mille ricordi diversi ma non quello. Assolutamente non quello. Non avrebbe mai potuto concentrarsi su quello. Non avrebbe mai voluto concentrarsi su quello. E, non a caso, non aveva minimamente riconosciuto quella stanza, avendola certamente rimossa insieme a tutto il resto.
Eppure il tempo del sogno, con un’insolita crudeltà, gli aveva destinato proprio quella scena. E quella scena che, a modo suo, avrebbe potuto anche essere meravigliosa se soltanto non fosse stata preludio a tutto il resto, e a tutto ciò che egli sapeva essere poi accaduto.
Perché?
Domanda probabilmente inutile, là dove non avrebbe mai potuto riservarsi alcuna possibilità di replica. E domanda a maggior ragione inutile, nel considerare quanto, comunque, il problema avrebbe avuto ormai a doversi considerare naturalmente risolto, e risolto a seguito di quella sua perdita di contatto con il mondo a sé circost…

« In lode all’amore della dea Nijari sembra che si stia riprendendo… » sentì commentare una voce, animata da un tono chiaramente preoccupato, nel provenire dal suo fianco « Accidenti a te, Be’Sihl… mi hai quasi fatto prendere un infarto! » soggiunse subito dopo, or caratterizzata da un evidente intento di rimprovero a sui discapito.
“…” esitò egli, non riuscendo a credere alle proprie orecchie “… stiamo scherzando, vero?!”

Riaprendo gli occhi, e ritrovandosi a essere per un istante ferito agli stessi dalla luce del giorno, Be’Sihl ebbe a riconoscere, china su di sé, la sempre amabile immagine di Deeh’Od, intenta a guardarlo con una certa, innegabile ansia.

« Ehi… tontolone che non sei altro… come ti senti? Ti ricordi ancora il tuo nome e, soprattutto, il mio nome…?! » domandò ella, sforzandosi di ironizzare a margine di una situazione che pur, onestamente, l’aveva spaventata… e spaventata non poco.
« Dee… » sussurrò per tutta risposta egli, ritrovandosi costretto poi a richiudere gli occhi per la fitta di dolore che quel semplice sforzo ebbe a causargli.
« D’accordo. Ti ricordi ancora di me. » sorrise ella, appoggiandogli nel contempo di ciò la punta del proprio indice destro sulle labbra, a imporgli di non avere ulteriormente a sforzarsi nel tentativo di parlare « Ora però vedi di stare buono… hai fatto un bel volo e, probabilmente, l’unica ragione per la quale non ti si è aperta a testa in due è che hai la zucca troppo dura! »
« Ehi… fratello! » l’apostrofò, alle spalle di Deeh’Od, un’altra figura, e una figura maschile, a confronto con la quale, se possibile, lo sconcerto e l’angoscia di Be’Sihl ebbero a crescere in misura ancor maggiore « Sei consapevole del fatto che avresti potuto esprimere il tuo dissenso all’idea di andare a Mo-Tiph in modi più salubri rispetto al tentato suicido che hai appena inscenato…?! No, dico così per dire. »

In quel del regno di Shar’Tiagh era consuetudine considerare fratelli e sorelle non soltanto gli altri figli e le altre figli dei propri stessi genitori ma, anche, i figli e le figlie dei figli e delle figlie degli stessi nonni. In tal senso, quindi, ciò che nella maggior parte delle altre culture erano definiti come cugini e cugine, in Shar’Tiagh erano altresì considerati fratelli e sorelle, nell’intento di ampliare quanto più possibile l’idea stessa di famiglia e, in tal senso, di minimizzare quanto più possibile eventuali rivalità fra consanguinei.
In tal senso, quindi, in qualità di figlio del fratello di suo padre, Be’Dorth Ahvn-Qa avrebbe avuto di diritto a essere riconosciuto qual fratello di Be’Sihl. Ma il rapporto fra Be’Sihl e Be’Dorth non avrebbe avuto a doversi intendere limitato esclusivamente a tale vincolo parentale, là dove, cresciuti insieme, fianco a fianco sin dalla più tenera età, i due avrebbero avuto a poter vantare un legame di fratellanza particolarmente profondo, nonché un’amicizia straordinaria.
Be’Dorth era, a tutti gli effetti, l’uomo a cui più al mondo Be’Sihl aveva avuto occasione di sentirsi legato…
… e Be’Dorth, proprio malgrado, era morto. Era morto prima della fine di quella stessa giornata. Ed era morto ucciso per mano sua, qual necessaria reazione dopo che questi si era macchiato del sangue di Deeh’Od.

“Dei… no…” gemette in cuor suo Be’Sihl, subito chiudendo gli occhi e sforzandosi affinché tutto quello potesse esser cancellato, potesse essere rimosso con un semplice colpo di spugna, per così come, in fondo, avrebbe dovuto avvenire, trattandosi del tempo del sogno.

Be’Sihl non sapeva perché tutto ciò stesse accadendo. Non capiva perché tutto ciò stesse accadendo. E, in verità, neppure gli sarebbe potuto interessare comprendere perché tutto ciò stesse accadendo.
Be’Sihl desiderava solamente che tutto quello potesse aver fine. Perché se straziante era stato affrontare una volta quella tragedia, per superare la quale era stato poi costretto a tagliare ogni ponte con il proprio passato, con quella che era stata tutta la sua vita sino a quel momento, non riuscendo a sopportare l’idea di doverne avere a vivere ancora un unico, ulteriore giorno; folle sarebbe necessariamente stato ipotizzare di avere nuovamente a confrontarsi con tutto quello, in un concetto che sarebbe andato ben oltre a qualunque idea di tortura.
Se avesse avuto a esistere, nell’aldilà, un luogo di tormenti e di pene per le anime dei malvagi, ove avere a doversi confrontare in maniera perpetua con le proprie peggiori colpe, per Be’Sihl certamente tale luogo avrebbe avuto a riporgli esattamente quella giornata, per così come lì stava accadendo. E a riproporgliela allo scopo di fargli perdere completamente il senno, andando a chiudere quel cerchio di orrore e di morte nel versare l’unico sangue che, all’epoca, non era stato allor versato: il suo.

“Devo andarmene da qui…”

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