Superata l’obbligata sorpresa iniziale a confronto con l’idea di essere al cospetto del vero Desmair, la mente di Nóirín Mont-d'Orb non poté ovviare a colmarsi di interrogativi nel merito di come tutto ciò potesse essere possibile. Interrogativi ai quali, necessariamente, ella finì per offrire voce, nel provare a rivolgerli al diretto interessato...
« Sei qui soltanto in sogno, non è vero...? Dal momento che il tuo corpo è andato distrutto da anni, non avrebbe senso che tu avessi queste sembianze dopo esserti impossessato di un corpo umano. » argomentò ella, quasi ragionando ad alta voce « A meno che tu non abbia sfruttato le prerogative proprie del tempo del sogno per alterare il tuo nuovo corpo per fargli assumere le sembianze dell’originale... » soggiunse poi, aggrottando appena la fronte con aria perplessa « E’ così? Hai alterato il tuo corpo per riottenere le tue sembianze originali...?! » insistette, a cercare di meglio comprendere la situazione « Questo significa che anche tu puoi viaggiare attraverso il multiverso passando per il tempo del sogno, come faccio io... è una cosa che hai sempre saputo fare o l’hai appresa di recente? E sono in molti a saperlo fare...?! »
Semidio immortale che aveva trascorso la maggior parte della propria intera esistenza vivendo recluso oltre i confini stessi della propria realtà, circondato soltanto dagli spettri di tutte le proprie malcapitate mogli, le centinaia di malcapitate mogli che avevano preceduto Midda Bontor, Desmair non avrebbe avuto a doversi fraintendere particolarmente abituato a relazionarsi con il prossimo. Certo: con la stessa Midda Bontor, prima, così come con tutti gli uomini e le donne ai suoi comandi, attualmente, egli non avrebbe potuto negarsi la necessità di interloquire, nel primo caso, per imporre un certo tormento a quell’infedele moglie al quale si era ritrovato legato con l’inganno e, nel secondo caso, per esprimere la propria volontà, i propri ordini. Ma, tanto nell’uno, quanto nell’altro caso, egli avrebbe avuto sempre a doversi considerare abituato a gestire in prima persona il dialogo, allorché subirlo. E subirlo per così come, innanzi a quel fiume di parole, ebbe a ritrovarsi costretto a fare.
Così, allorché confrontarsi con una figura pavida e tremante, sol timorosa di essere uccisa da lui, o con una figura arrogante e sprezzante, sol desiderosa di trovare un modo per ucciderlo, Desmair ebbe a ritrovarsi, in maniera decisamente inedita, a essere destinatario di tante parole... e, soprattutto, di tanti interrogativi, al quale l’altra evidentemente sperava di avere occasione di trovare risposta.
Tante parole alle quali, forse peccando di poca cortesia e, pur, non di certo dimostrarsi ipocrita nella propria posizione, egli ebbe quindi a rispondere in maniera decisamente secca...
« Chetati, donna! »
Non fosse stata a confronto con una creatura simile al signore di tutti i demoni dell’inferno, probabilmente Rín avrebbe avuto di che risentirsi per lo sprezzo da lui dimostrato in quelle parole. Ma nel rammentarsi, comunque, non soltanto dell’identità, ma anche della natura del proprio interlocutore, ella non poté ovviare a giustificare la durezza di quell’espressione, e di quell’espressione che avrebbe potuto far gridare allo scandalo la femminista che era in lei, per quel tentativo di patriarcale imposizione a discapito della sua libertà di espressione.
Così, pur non potendo negarsi un certo sdegno a confronto con quella replica, ella accettò di zittirsi estemporaneamente, per concedere al proprio interlocutore occasione di prendere parola ove avesse avuto un qualche desiderio in tal senso.
E Desmair, tutt’altro che disapprovando quell’improvvisa pace, quel non sgradevole silenzio, ebbe a concedersi un nuovo sorso dalla propria coppa prima di accettare di esprimersi, e di esprimersi riprendendo, in parte, quanto allor rimasto in sospeso fra loro.
« Ciò che voi sciocchi mortali vi ostinate a rifiutare di intendere è quanto la mia natura semidivina non abbia a doversi considerare un mero attributo onorifico... » esplicitò quindi egli, storcendo appena le labbra verso il basso a esprimere un certo disprezzo nel merito della ben superficiale considerazione a lui offerta da tutti nel merito della sua intrinseca natura « Vi ostinate a tentare di razionalizzare il divino qual una mera creatura superiore, e una creatura comunque contraddistinta da tutti i vostri limiti e i vostri difetti. Ma non è così... » escluse fermamente, scuotendo appena il capo « Essere un dio significa avere una consapevolezza superiore nel merito del Creato e delle sue leggi. Di ciò che è, di ciò che è stato, e di ciò che potrà mai essere. Essere un dio significa trascendere i limiti della quadrimensionalità delle vostre esistenze mortali per spingerci oltre. »
Rín non ebbe a interromperlo in quel monologo, nel riconoscergli il diritto a esprimersi indisturbato, anche in conseguenza del forse eccessivo numero di domande da lei pocanzi formulate a ruota libera. Ciò non di meno, nel proprio cuore, non poté ovviare a sottolineare quanto, comunque, egli non avesse a dover essere inteso realmente qual un dio... ma soltanto qual un semidio. E un semidio che, per la cronaca, era stato ucciso per mano del proprio medesimo genitore divino, a sua volta poi sterminato per mano di Midda Bontor... un’esponente di rilievo di quella categoria da lui semplicemente definita come “sciocchi mortali”.
« Qualunque dio conosce ciò che tu definisci come il tempo del sogno. » minimizzò quindi Desmair, stringendosi appena fra le spalle « Qualunque dio ne conosce le dinamiche e le leggi. E qualunque dio sa interagire con esso, secondo i propri desideri. » puntualizzò, con tono atto a definire tutto ciò qual una mera banalità « O credi che sia un caso che tre siano i vicari dell’Oscura Mietitrice, impegnati ad agire su tre diversi piani: la dimensione mortale, il tempo del sogno e l’aldilà? E’ per loro tramite che figure come la mia defunta madre o, in questo momento, la sua erede, nonché mia sposa, possono ambire al potere di una divinità, malgrado la propria natura mortale: tre vicari, tre fonti di potere, per i tre diversi stati del tutto, ad assicurare alla propria padrona il dominio su ogni cosa, per così come sarebbe altrimenti proprio soltanto di un dio...! »
Nóirín non era certa di star seguendo il ragionamento suggerito da Desmair, né era certa che quel ragionamento, con la propria deriva ad approfondire le prerogative proprie, un tempo, di Anmel Mal Toise e, ora, di Midda Bontor, avesse a poter offrire una risposta agli interrogativi da lei precedentemente formulati, allorché offrire spazio a nuovi.
Ciò nonostante ella ancora tacque, limitandosi ad ascoltare con attenzione quelle parole e a cercare di farne tesoro, nella certezza di quanto, seppur non nell’immediato, tutto ciò avrebbe potuto presto o tardi esserle d’aiuto: ancora non sarebbe stata certa nell’esprimersi nel merito di cosa tutto ciò avrebbe potuto esserle d’aiuto... ma, certamente, lo sarebbe stato.
« Il mio nuovo corpo sta quietamente riposando nel suo letto. » dichiarò alfine egli, giungendo a concederle effettiva replica ad almeno uno dei suoi interrogativi, il primo e, sicuramente, più importante, una volta chiarito il quale tutto il resto sarebbe derivato in maniera autonoma « E ciò mi permette di avere accesso a questa dimensione primigenia, fosse anche e soltanto per venire incontro alle curiosità di una rossa ficcanaso come te, che tanto si crede in grado di dominare questa realtà e che, ciò non di meno, non riesce ancor a comprendere quanto insignificante sia la sua stessa esistenza nell’ordine generale di tutte le cose... e di tutti i Creati. »
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