Ma per quanto divertente potesse essere allora avere a immaginare la stessa Midda Bontor porsi a confronto con quella cerimonia, con quella ritualità, e con un così lungo orpello che, certamente, ella non avrebbe mai sopportato; per Be’Sihl la realtà di quella giornata avrebbe avuto a doversi riconoscere, effettivamente, quella così descritta, sviluppatasi nel più assoluto rispetto della tradizione, per giungere, al tardo pomeriggio, alla proclamazione dell’unione sua e di Deeh’Od.
« ... e che la benedizione del dio Ha'Piih-Is abbia a colmare la vostra dimora di figli... » stava ormai concludendo il sacerdote eunuco associato alla divinità ermafrodita protettrice della fertilità.
« ... e che la benedizione della dea Ba’Seht-Et protegga sempre tale dimora... » sancì la sacerdotessa associata alla dea gatto tutrice del focolare domestico.
Benché Deeh’Od non fosse di origine shar’tiagha, e benché la famiglia di Be’Sihl non appartenesse certamente a un ceto privilegiato, il loro matrimonio avrebbe avuto a dover essere riconosciuto degno di un nobile, e di un nobile di antica e importante famiglia addirittura, per così come la schiera di sacerdoti e sacerdotesse allineati davanti agli sposi avrebbe potuto ben testimoniare: diciotto, in totale, in termini tali per cui, necessariamente, i tempi di quella cerimonia non avevano potuto dilatarsi in maniera impressionante. E diciotto, fra sacerdoti e sacerdotesse, rappresentativi di altrettante divinità dell’amplio pantheon shar’tiagho, non avrebbero avuto a potersi fraintendere una consuetudine per chiunque. Anzi.
I genitori di Be’Sihl, ai loro tempi, avevano avuto, a titolo esemplificativo, occasione di unirsi in matrimonio davanti a quattro dei. E poter essere lì presenti ad assistere al matrimonio del loro amato figliuolo innanzi a una così smisurata schiera di divinità non avrebbe potuto ovviare a colmare il loro cuore d’orgoglio. Un orgoglio, in effetti, non tanto destinato allo stesso Be’Sihl, quanto e piuttosto alla sua sposa, loro nuova figlia, giacché soltanto a lei, in verità, si sarebbe dovuto il merito di quel risultato.
Nel proprio ruolo all’interno dell’esercito, in effetti, Deeh’Od Eehl-Ei avrebbe avuto a doversi intendere molto più che apprezzata dai suoi commilitoni così come dai suoi superiori, ragione per la quale, sorgendo l’occasione di quel matrimonio, il suo intero battaglione si era mobilitato affinché potesse avere una cerimonia più che degna della loro stima, del loro affetto, andando a cercare quanti più sacerdoti e sacerdotesse possibili e, ovviamente, coprendo i costi di tutto ciò, là dove, forse prosaico a dirsi, alcuno fra quei rappresentanti del divino in terra avrebbe mai avuto interesse a prendere parte a quel rito se soltanto non fosse stato adeguatamente ricompensato per la propria presenza e, ancor più, per l’intercessione così offerta verso il dio o la dea di propria competenza. Quell’amplia schiera di concelebranti per quel rito, quindi, altro non avrebbe avuto che a dover essere intesa espressione evidente dell’affetto che tutti i compagni e le compagne d’armi della sposa non avrebbero potuto che avere per lei, incluso, ovviamente, anche il contributo offerto dallo stesso Be’Dorth Ahvn-Qa, il quale, pur fratello dello sposo, avrebbe avuto comunque a dover essere censito fra i grati commilitoni della sposa.
Quante volte la straordinaria bravura di quella mirabile ricognitrice aveva permesso loro di ovviare agli agguati dei nemici far’ghari? Quante volte l’incommensurabile abilità di quell’eccezionale esploratrice aveva permesso loro di raggiungere i propri obiettivi lungo le vie più sicure?
Ognuno, fra quegli uomini e quelle donne, la maggior parte dei quali in quieta attesa al di fuori del tempio nell’impossibilità fisica per tutti loro di sostare all’interno dello stesso, avrebbe avuto a poter vantare un debito del valore della propria stessa esistenza in favore di Deeh’Od Eehl-Ei. E nessuno fra loro avrebbe mai potuto accettare l’idea che ella non potesse avere la cerimonia che meritava per il proprio matrimonio, con buona pace della durata smisurata che una tal moltitudine di sacerdoti e sacerdotesse avrebbe avuto a imporre alla stessa.
« Sono oltremodo riconoscente a tutti i nostri amici... » sussurrò allora Deeh’Od, in un alito di voce che avrebbe potuto essere udito soltanto da Be’Sihl « ... ma dopo quest’oggi credo di aver sviluppato una certa allergia nei riguardi del vostro pantheon. Un po’ come quando si mangiano troppe fragole e poi si sta malissimo e si finisce per odiarle per il resto della propria vita. »
Be’Sihl era lì, accanto a Deeh’Od, impegnato a sposarsi con lei, al termine di un’estenuante cerimonia in cui aveva dovuto convincere ben diciotto divinità della propria vera e profonda intenzione di amare e di onorare quella donna per il resto della propria vita. E, ciò nonostante, nell’udire quelle parole, e quelle parole scherzose venir discretamente pronunciate affinché soltanto il suo orecchio potesse coglierle, egli non poté che rivolgere la propria mente e il proprio cuore al ricordo di Midda, nella certezza di quanto anch’ella, nella folle ipotesi in cui si potesse essere ritrovata costretta a qualcosa del genere, avrebbe avuto a reagire in termini non poi così dissimili da quelli... e, magari, con tono decisamente meno discreto rispetto a quello che pur Deeh’Od si stava allor impegnando a mantenere proprio.
E intenso, a confronto con tutto ciò, non avrebbe potuto che essere, per lui, il senso di colpa al pensiero del torto psicologico ed emotivo che stava rivolgendo alla donna lì in piedi accanto a lui, a sostenere insieme a lui, e, soprattutto, per lui, per amore di lui, quella tutt’altro che banale prova.
Sarebbe andata avanti sempre così...? Che genere di sposo avrebbe mai potuto essere...?!
Avrebbe vissuto il resto dei propri giorni accanto a Deeh’Od, condividendo con lei la propria vita, le proprie gioie e i propri dolori, le proprie sconfitte e i propri trionfi, avrebbe magari avuto dei figli da lei... e, in tutto questo, avrebbe tuttavia continuato a pensare a Midda, e a quella donna che non avrebbe mai più potuto rivedere, riabbracciare, e della quale non avrebbe mai avuto neppure occasione di conoscere la sorte...? Qual dannato genere di psicopatico avrebbe potuto essere per sospingersi a tanto...?!
“Dovresti risponderle, sai...?” immaginò dentro la propria testa la voce di Midda, a spronare in lui una replica a favore di Deeh’Od “Non sarebbe carino ignorarla, mentre si sta sorbendo tutto questo per amore tuo.”
Già. Deeh’Od Eehl-Ei lo amava. Lo aveva sempre amato. Era morta amandolo. E il amore era diventato il ricordo più doloroso che il cuore di Be’Sihl potesse rendere proprio.
Egli avrebbe fatto il possibile e l’impossibile per poterla riavere indietro, per poter vivere quel giorno accanto a lei, insieme a lei, per così come ora stava facendo.
E allora perché mai nulla di tutto ciò sembrava essere in grado di illuminarlo per così come avrebbe dovuto essere...?!
“Non ho avuto occasione di conoscerla. In effetti non mi hai mai parlato di lei... e, tuttavia, a vederla così mi sembra veramente una brava ragazza. Con il cuore colmo d’amore per te...” insistette la voce della Figlia di Marr’Mahew dentro di lui... o, forse, la voce della propria coscienza che, per attrarre la sua attenzione, stava camuffandosi in maniera tale da essere certa di poter essere ascoltata “Certo: lei non è me. Ma se proprio fra noi non deve essere... non mi dispiace pensare che tu abbia trovato qualcuno in grado di donarti tutto ciò che meriti.”
Be’Sihl avvertì allora una certa commozione colmargli il cuore sino a tracimare dai suoi occhi, nel ritrovarsi a confronto con la consapevolezza che, in quel giorno, egli avrebbe dovuto dire addio per sempre a Midda Namile Bontor. E lo avrebbe dovuto fare per rispetto e per amore verso Deeh’Od.
Perché per quanto nel profondo del suo cuore Midda sarebbe sempre rimasta presente, esattamente così come lo era stata Deeh’Od, oramai ella non era più parte della sua vita, della sua realtà. Né, purtroppo, sarebbe potuta tornare a esserlo. Esattamente così come era accaduto il giorno in cui Deeh’Od era morta.
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