Fare ritorno alla Città della Pace, per Howe, non avrebbe avuto a doversi fraintendere un’esperienza particolarmente entusiasmante. Al contrario.
Se in tanti anni egli si era ben guardato da sospingere nuovamente i propri passi in quella direzione, la ragione non avrebbe avuto a dover essere fraintesa qual semplicemente conseguente all’abbondanza di altri luoghi nel quale avere a potersi muovere. Non che, in effetti, fossero mancate alternative alle quali rivolgere le proprie attenzioni, tanto in quel mondo, quanto e addirittura in altri mondi. Ma, anche così non fosse stato, anche ove non vi fosse stato alcun altro luogo al quale destinare il proprio interesse, la propria attenzione, Howe avrebbe quietamente fatto a meno di fare ritorno alla Città della Pace, ben consapevole di quanto esistessero modi più simpatici per cercare il suicidio. Un’opinione, la sua, tutt’altro che univoca, là dove, per quanto sita sul confine fra Kofreya e Y’Shalf, da sempre in guerra, e in una posizione geografica decisamente più accessibile rispetto a quelle abitualmente teatro di quel sempiterno conflitto, nella naturale conclusione della catena dei monti Rou’Farth prima di giungere al mare, tanto la Città della Pace, quanto l’ancor più celebre, per non dire famigerata, palude di Grykoo lì confinante, non avevano mai avuto a incontrare l’interesse di una delle due fazioni avversarie qual utile terreno di battaglia, preferendo, al di là di ogni avversa condizioni geografica, avere a combattere le proprie battaglie più a nord, lungo la stessa catena montuosa, anche e addirittura fra ghiacci e nevi ove ve ne fosse stata necessità, ma non, certamente, lì. E tutto ciò a confronto con una semplice consapevolezza: il fatto che la Città della Pace non avrebbe avuto a dover essere fraintesa qual destinata a ospitare i vivi, quanto e piuttosto i morti.
Retaggio di un’epoca lontana, vestigia nella maggior parte dei casi rase al suolo dal semplice scorrere di secoli, se non, addirittura, dei millenni, la Città della Pace avrebbe avuto a dover essere intesa, infatti, quanto ancor esistente di un tempo precedente persino alla nascita di Kofreya o di Y’Shalf in quanto regni, e, sicuramente, della maggior parte delle loro città. Un tempo così lontano tale per cui, forse e addirittura, anche la palude di Grykoo, ancora, non avrebbe avuto a dover essere riconosciuta qual il luogo di mortale condanna e di negromantica perdizione ben noto a tutti, quanto e piuttosto quella florida landa, quella pescosa baia, alla quale ancor qualche leggenda offriva riferimento, continuando a trasmettere memoria ai posteri. In quel tempo dimenticato, chiaramente, la piaga della negromanzia non doveva ancor essersi imposta al di sopra della loro realtà, in termini tali per cui anche un luogo come la Città della Pace aveva avuto allor occasione d’essere edificata, e d’esser edificata con il solo, preciso scopo di avere a ospitare, al proprio interno, i corpi dei trapassati, in quell’usanza, poi necessariamente decaduta, di avere a seppellire i propri defunti in grandi necropoli, all’interno delle quali potessero riposare in pace per l’eternità.
Qualcosa, però, a un certo punto della Storia era accaduto. E quell’idea di eterno riposo, proprio per i defunti, era venuto meno, ed era venuto pericolosamente meno nel confronto con una nuova, spiacevole abitudine della maggior parte di defunti: quella di avere a risvegliarsi, di ritornare a muoversi, e di esigere la morte di chiunque attorno a essi. Con la comparsa dei non morti, degli zombie, l’abitudine di seppellire i trapassati era necessariamente venuta meno, a confronto con la ben più urgente necessità di avere a bruciarli, onde ovviare alla spiacevole eventualità di una loro rianimazione. E luoghi come le necropoli, allora, erano venuti meno, abbandonati per sempre e, sovente, persino rimossi dai propri ricordi, affinché non vi potesse essere alcuna possibilità futura di avere a farvi ritorno per qualunque genere di motivazione.
Ben lontano dall’avere a riconoscersi autolesionista, al di là delle proprie personalissime scelte di vita, prima fra tutte quella di vivere da avventuriero mercenario, Howe non avrebbe quindi avuto alcuna ragione per desiderare riservarsi una nuova possibilità di confronto con la Città della Pace dopo essere sopravvissuto a stento alla stessa alla loro prima visita lì. O, per lo meno, così era stato sino a giorno in cui una persona decisamente più autolesionista di lui, la sua vecchia amica Midda Namile Bontor, anche nota con un’infinità di appellativi quali la Figlia di Marr’Mahew, l’Ucciditrice di Dei, la Campionessa di Kriarya e di Lysiath, non aveva abbracciato l’insana idea di consegnarsi a un gruppo di fanatici religiosi abituati a presentarsi con il nome di Progenie della Fenice, e di pericolosi fanatici religiosi convintisi della necessità che ella avesse a dover essere uccisa.
Scomparsa dalle loro vite, e divenuta irrintracciabile anche a confronto con i da lui non meglio compresi poteri di Nóirín Mont-d'Orb, che in passato era stata addirittura in grado di condurli attraverso l’intero universo proprio per avere a poter condurre soccorso alla medesima Midda Bontor; tale sparizione avrebbe avuto a poter essere giustificata in due modi: con la sua morte, o con l’idea che ella avesse avuto a esser condotta in qualche luogo dotato di caratteristiche molto particolari, e tali da renderlo, al tempo stesso, luogo e non luogo. E per quanto paradossale ciò avrebbe avuto a poter essere pensato, ben quattro erano stati i possibili candidati che gli amici, la famiglia, il clan della Figlia di Marr’Mahew erano stati allor in grado di identificare come utili candidati allo scopo. Tutti luoghi da lei già visitati almeno una volta nel corso della propria esistenza, per le più disparate ragioni. E tutti luoghi che, ora, avrebbero potuto giustificare, nella propria particolare natura, l’impossibilità da parte di Rín di avere a raggiungerla. E fra tali luoghi, quello che era toccato in sorte a Howe di avere a verificare era stato proprio l’ameno nascondiglio entro il quale, per secoli, o forse millenni, era stata nascosta la corona perduta della regina Anmel Mal Toise, e quella corona che quasi quindici anni prima lui, suo fratello Howe, la mercenaria Carsa Anloch e la stessa Midda Bontor, avevano sventuratamente avuto a recuperare, dando inizio a una serie di disastrosi eventi a cascata che li avevano finiti per condurre, in effetti, nuovamente lì, a distanza di tanto tempo: un nascondiglio l’accesso al quale, attraverso innumerevoli trappole mortali, avrebbe avuto a doversi intendere proprio celato nella medesima Città della Pace.
« Urca! » esclamò Har-Lys’sha al suo fianco « Avevi proprio ragione nel dire che è uguale a Kriarya... »
Ad accompagnarlo, in tale, imprevisto, e tutt’altro che gradito, ritorno alla Città della Pace, avrebbe avuto allor a doversi intendere una delle ultime amiche entrate a far parte della vita di Midda Bontor, ed entrate a far parte della sua vita con un’intensità tale dal potersi riconoscere, effettivamente, qual una vera e propria sorella, e una sorella a cui avere a potersi considerare molto più legata che non alla propria, e a quella Nissa Bontor in contrasto alla quale, dopotutto, aveva combattuto per una vita intera, in una faida familiare purtroppo ancor lontana dall’aver a potersi considerare estinta laddove neppure la morte era stata in grado di porre la parola fine a tutto ciò, nell’aver visto la stessa Nissa Bontor rientrare in scena, poco tempo addietro, nelle inedite vesti di ritornata, una nuova generazione di non morti, e una nuova generazione di non morti dotati di coscienza di sé, oltre che di una sostanziale invincibilità, e di un aspetto assolutamente integro, l’origine della quale avrebbe avuto a doversi imputare, seppur senza diretta volontà da parte sua in tal senso, alla stessa Midda Bontor, e a quella Midda Bontor che, proprio per colpa del recupero della corona perduta della regina Anmel Mal Toise, quindici anni prima, aveva finito per il ritrovarsi costretta a fondere la propria stessa natura con il retaggio del potere di quella folle regina del passato, anche nota con poco promettenti nomi come Portatrice di Luce e Oscura Mietitrice.
Har-Lys’sha, o Lys’sh come preferiva farsi chiamare dai suoi amici, oltre a non poter quindi essere considerata una donna comune, fosse anche e soltanto per lo straordinario legame emotivo che la ricollegava a una figura qual quella della Figlia di Marr’Mahew, non avrebbe avuto a poter neppure essere fraintesa qual una donna comune nella propria più esplicita natura, e quella natura che non l’avrebbe avuta a poter qualificare qual umana, quanto e piuttosto qual ofidiana, ossia una specie aliena con caratteristiche fisiche ibride fra l’idea di un umano e di un rettile. Caratteristiche fisiche estremamente peculiari, le sue, che in un mondo come quello natio di Midda e di Howe avrebbero avuto a essere abitualmente associate a pericolosi mostri mitologici di varia natura, prime fra tutte le gorgoni, con le quali, sovente, ella si ritrovava a essere confusa; e pur caratteristiche fisiche che non avevano impedito a Howe di avere a maturare un certo affascinato interesse nei suoi confronti, al punto tale da arrivare a costruire una vera e propria relazione sentimentale con lei.
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