L’aspro odore della morte, lì imperante, predominava al di sopra di ogni altro, in una variegata miscela fra cadaveri ormai mummificati, se non direttamente scheletri, e vittime recenti, atte a dimostrare quanto, probabilmente, anche all’interno delle schiere della Progenie della Fenice non avesse a doversi fraintendere un controllo assoluto sulla Città della Pace e sui suoi non morti. In effetti, per quanto le era stato spiegato anche dalla stessa Midda Bontor nei racconti delle sue innumerevoli gesta, avrebbe avuto a dover essere riconosciuto esistente un solco importante fra la negromanzia e la stregoneria, e un solco abitualmente atto a far erroneamente credere che la negromanzia fosse una branca minore della stregoneria, benché, in verità, avessero a dover essere riconosciute quali due ramificazioni fra loro estranee. E il fatto che, sino a quel momento, la Progenie della Fenice avesse dato riprova di risorse stregonesche, e, in particolare, di abilità di evocazione, atte a richiamare diversi generi di terrificanti creature; non avrebbe avuto necessariamente a sottintendere quanto da parte loro potesse esservi qualche controllo sui non morti, controllo sì magico, ma di una magia di natura estremamente diversa dalla loro.
Dietro a una tanto varietà di odori, poi, aveva a celarsi anche la ricca miscela offerta dai viventi, e una miscela all’interno della quale ella non avrebbe potuto ovviare a tentare di discernere la fragranza propria della sua amica sororale, in un’impresa difficile, certo, e tutto sommato non impossibile. Improbabile, in tal senso, sarebbe stato per Howe o per qualunque altro essere umano riuscire a comprendere la peculiare visione del mondo offerta a Lys’sh dal proprio olfatto: volendo sforzarsi in tal senso, tanto per comprendere, quanto e ancor più per spiegare quella situazione, avrebbe potuto valere l’immagine metaforica di una serie di nuvolette colorate sparse per tutto il territorio attorno a loro, nuvolette a volte caratterizzate da colori simili, altre da colori fra loro totalmente estranei, e pur, ognuna, contraddistinta da una propria, peculiare sfumatura, e una sfumatura nel ricco arcobaleno delle quali alla giovane ofidiana era richiesto di tentare di individuare quella riconducibile alla Figlia di Marr’Mahew.
Ovviamente l’olfatto non avrebbe avuto a dover essere inteso qual l’unico senso in giuoco in quel momento, seppur riservandosi un grande ruolo. Accanto a esso, infatti, anche il suo finissimo udito le concedeva possibilità di meglio discernere la situazione, distinguendo, innanzitutto, la presenza dei battiti cardiaci così come l’assenza degli stessi, oppure la presenza di una respirazione in contrapposizione all’assenza della stessa, in termini utili a riservarsi la possibilità di un’importante divisione fra i viventi e i non viventi. Una prima distinzione alla quale avere ad aggiungere ogni altro possibile indizio utile a meglio mappare quel luogo e le attività in esso svolte, primi fra tutti eventuali giri di ronda da parte di varie coppie di guardie, fra le quali avrebbero avuto a dover essere anche censiti almeno due dei tre elementi incrociati in precedenza, e dei quali avevano avuto occasione di ascoltare parte del dialogo occorso. Distinguendo, quindi, in tal maniera, le coppie di guardie impegnate nella propria attività di sorveglianza da tutti gli altri, e da coloro i quali, quindi, avrebbero potuto essere intesi fare riferimento ad altro genere di occupazioni, forse concernenti, in maniera diretta o indiretta, la stessa donna guerriero oggetto del loro interesse.
A completare simile quadro d’insieme, accanto agli odori e ai suoni, non avrebbero potuto mancare di essere prese in considerazione dalla donna rettile anche le vibrazioni, e quelle vibrazioni a lei riservate principalmente dal terreno sotto ai suoi piedi, vibrazioni utili, per esempio, a rendersi conto della presenza, nel sottosuolo, di aree cave, utili a indicare in tal senso dei sotterranei, e dei sotterranei non dissimili, all’occorrenza, da quello verso cui Howe aveva diretto con sicurezza i propri passi, nella memoria di quanto già vissuto anni addietro. Sotterranei, quelli, sicuramente per lo più aventi a considerarsi alla stregua di trappole mortali, popolati da non morti magari dormienti e in sola attesa di un’ignara vittima per avere a risvegliarsi e a pretenderne la vita qual letale tributo di sangue. Ma, anche, sotterranei fra i quali doveva essere celato, per logico raziocinio, almeno un accesso sicuro, e un accesso sicuro presidiato non dai morti quanto e piuttosto dai vivi, e dai membri della medesima Progenie della Fenice.
Sommando e, soprattutto, interpolando insieme tali informazioni sensoriali, di natura differente, a volte complementare a volte supplementare, Har-Lys’sha avrebbe potuto quindi ottenere una mappa, e una mappa tridimensionale dell’area a lei circostante, entro i limiti, comunque ampli, propri della copertura dei suoi sensi. Una mappa a confronto con la quale avere possibilità di orientarsi, non soltanto per ovviare allo sgradevole incontro con la Progenie della Fenice, ma anche, e soprattutto, per ricercare all’interno della città quell’accesso e quell’accesso che, in verità, non avrebbe avuto ragion alcuna d’essere lì particolarmente celato in quel momento, nel presidio altresì imposto a quell’intera area. Un accesso che, quindi, riuscì alfine a individuare in grazia a un piccolo assembramento di persone, e un piccolo assembramento che ebbe così a tradire la presenza di un importante luogo di interesse, come, per l’appunto, l’ingresso a qualunque cosa fosse lì sotto celata.
Fu così che, pertanto, Lys’sh ebbe a guidare Howe fino a ritrovarsi innanzi a una mezza dozzina di persone, e mezza dozzina di persone impegnate a consumare un piccolo pasto insieme, chiacchierando di argomenti di varia natura, principalmente faceti. Argomenti innanzi ai quali, in effetti, tutt’altro che terribili fanatici genocidi avrebbero avuto a poter essere considerati, quanto e piuttosto normali persone, e persone intente a vivere la propria vita inseguendo i propri scopi in termini non poi particolarmente dissimili da quanto stavano allor tentando di fare loro due, pur lì schierati in qualità di avversari.
« Dicono che presto dovrebbe piovere… » stava suggerendo qualcuno, sgranocchiando un pezzetto di mela prima tagliato in grazia a un coltello a serramanico, poco più di un temperino, probabilmente tenuto abitualmente in tasca « … speriamo che questo non abbia a complicarci troppo la vita con questi maledetti zombie. »
« In che senso…?! » questionò per tutta risposta un altro, dopo aver finito di bere qualcosa, vino per la precisione, come ebbe a essere colto dall’olfatto di Lys’sh, da un piccolo otre.
« Non sei mai stato qui in passato, dopo qualche acquazzone…? » intervenne un terzo, a evidente sostegno delle posizioni espresse dal primo « Quando l’acqua inzuppa il terreno, rende molto più semplice ai non morti risalire sino alla superficie… oltre a creare spiacevolissime trappole in corrispondenza di pozzi abitualmente non accessibili. »
« Come quello dove è caduto Bohr l’altro giorno… » ribadì il primo, annuendo alle parole così appena scandite « Questa dannata città è più complessa al di sotto della superficie rispetto a quanto non lo appaia al di sopra… e molti di questi passaggi, generalmente, restano cementificati soltanto in grazia alla secchezza stessa del terreno, traducendosi in terribili trappole non appena l’acqua ha a concedere loro la possibilità. »
« … meraviglioso. » commentò ironicamente il secondo ad aver parlato, e quello evidentemente meno avvezzo con le caratteristiche proprie di quel peculiare luogo.
Che la Città della Pace avesse a dover essere riconosciuta tanto complessa sotto la superficie quant’anche al di sopra di essa, a Lys’sh era stata offerta immediata cognizione di causa, e un’immediata cognizione di causa lì quindi soltanto confermata per mezzo di tale dialogo.
Una complessità che, nella fattispecie, avrebbe avuto anche a presentare, proprio alle spalle di quel gruppetto variegato, composto in quasi egual misura da uomini e da donne di diverse etnie, una scalinata, e una scalinata discendente accanto alla quale avere a identificare i resti di un’altra scalinata, e una scalinata allor ascendente, per quanto, ovviamente, allor verso il nulla, nell’assenza di un qualsivoglia livello superiore al quale poter sospingere la propria attenzione, nel rispetto delle generiche condizioni proprie di quel luogo.
Purtroppo, però, per quanto pur allor chiaramente distinguibile nella propria presenza, e distinguibile persino a confronto con l’attenzione visiva propria di Howe, quella scalinata non avrebbe lì potuto essere fraintesa egualmente accessibile. Non, quantomeno, senza avere a voler dichiarare guerra a coloro i quali lì innanzi disposti a in quel contesto semi-conviviale.
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