11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

domenica 24 ottobre 2021

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A prima vista Orzloh Nevsit avrebbe potuto essere considerato un giovane ventenne come tanti altri. E, a conti fatti, Orzloh Nevsit era un giovane ventenne come tanti altri.
A rendere speciale Orzloh Nevsit anche innanzi al proprio stesso giudizio avrebbe avuto a dover essere intesa la sua appartenenza alla Progenie della Fenice. In un diritto, o forse un dovere, che tuttavia egli non aveva “meritato”, quanto e piuttosto “ereditato” dai propri genitori, così come loro lo avevano ereditato a propria volta dai loro genitori, in una lunga linea di sangue l’origine della quale avrebbe avuto a perdersi nella Storia.
Orzloh Nevsit era fiero di appartenente alla Progenie della Fenice. Non avrebbe potuto essere altrimenti, in verità. Sin da quando era nato, Orzloh Nevsit era stato cresciuto nel rispetto della dottrina della Progenie della Fenice, plasmando la propria visione del mondo su quella propria della Progenie della Fenice e null’altro ritrovando ragione di concepire al di fuori di ciò. Anche perché, se pur qualcuno l’avrebbe potuto considerare una sorta di fanatico religioso, Orzloh Nevsit era certo di non esserlo.
Così come lo erano stati i suoi genitori prima di lui, e i loro genitori ancor prima, e così come, alla fenice piacendo, un giorno lo sarebbero stati anche i suoi figli, e i figli dei suoi figli, quanto Orzloh Nevsit era altro non avrebbe avuto a dover essere inteso se non un combattente. E un combattente animato da una giusta causa. Giusta quanto avrebbe sol potuto esserlo la difesa dell’intero Creato dalla minaccia di Anmel Mal Toise, e di qualunque suo oscuro seguace.
Quanto, tuttavia, distingueva Orzloh Nevsit dai suoi genitori, e dei loro genitori ancor prima, avrebbe avuto a dover essere riconosciuto il contesto storico. E un contesto storico che proprio allo stesso Orzloh Nevsit aveva riservato la sventurata occasione di coesistere con Midda Namile Bontor... con colei che, nella propria incommensurabile stolidità, aveva reclamato il retaggio della Portatrice di Luce e dell’Oscura Mietitrice, diventando l’Erede di Anmel Mal Toise, la nuova Regina.
Pochi, pochissimi, prima di quella donna, e di quell’insopportabile donna, erano stati in grado di rintracciare il luogo ove la Progenie della Fenice aveva celato la corona di Anmel Mal Toise. E nessuno, prima di quella donna, e di quell’assurda donna, era stato in grado di superare le improbe prove atte a permettere di conquistare quel tesoro e il suo retaggio.
Indubbio, in tal senso, avrebbe avuto a dover essere riconosciuto quanto Midda Namile Bontor fosse stata in grado di cogliere in contropiede la Progenie della Fenice. Forse, se soltanto i secoli non avessero offerto l’erronea impressione che la questione con Anmel Mal Toise potesse essere stata del tutto archiviata, essi avrebbero avuto a riservarsi maggiore premura nel prevenire il sorgere di un Erede. Ma, obiettivamente, di tutta la sua linea di sangue, Orzloh Nevsit era stato il primo a essere effettivamente richiamato alle armi, dopo che, per secoli, millenni addirittura, la medesima appartenenza alla Progenie della Fenice era parsa divenire più una questione di effimera morale anziché di concreta pratica.
Midda Namile Bontor, tuttavia, aveva completamente rovesciato ogni equilibrio precedentemente venutosi a creare, ogni falso senso di sicurezza che il tempo aveva voluto imporre loro, imponendo alla Progenie della Fenice di ridestarsi prepotentemente dal proprio sonno, di riorganizzarsi, e di tornare, ancora una volta, a schierarsi per la difesa del Creato nel confronto con quella devastante minaccia.
Così era stato anche per Orzloh Nevsit. Il quale, ritrovatosi costretto ad abbandonare la bottega del falegname nel quale stava apprendendo abilmente un mestiere, e un mestiere che lo avrebbe portato un giorno a sperare di aprire una propria bottega, aveva dovuto imbracciare le armi tramandate di padre in figlio dalla notte dei tempi sino a lui, nel momento in cui sul lato sinistro del suo petto, in corrispondenza del suo cuore, era improvvisamente apparso il marchio della fenice, ed era apparso accompagnato da un dolore lancinante, e il dolore che avrebbe potuto essere per lui proprio nel momento in cui tale immagine gli fosse stata impressa a fuoco nelle carni, benché nessun ferro rovente gli fosse mai stato rivolto contro. Tale era il segnale. Tale era il richiamo utile a convocare alla guerra tutti i membri della Progenie della Fenice, ovunque sparsi nel mondo. E, ubbidendo a tal richiamo, Orzloh Nevsit aveva abbandonato la vita che pur stava cercando di costruirsi per rispondere a quel dovere, a quella missione voluta da una forza superiore persino a quella degli dei tutti.
In quei giorni, Orzloh Nevsit, come tutti i compagni e le compagne dei quali si era ritrovato a essere circondato, in una nuova, straordinaria famiglia, non avrebbe potuto che riconoscersi necessariamente confuso nel merito di quanto stesse succedendo. Perché se da un lato l’euforia non avrebbe potuto che contraddistinguere il successo da loro riportato nel catturare, alfine, l’Erede, e nel condurla sino a lì, dall’altro nessuno di loro avrebbe potuto comprendere le ragioni per le quali ella non stava venendo sigillata per i secoli a venire, per così come, in fondo, tutti loro erano certi sarebbe avvenuto, unica, giusta conclusione per quella già sufficientemente spiacevole vicenda.
Certo: Orzloh Nevsit non aveva mai avuto nulla a che fare, direttamente, con Midda Bontor, ragione per la quale difficile sarebbe stato presumere che ella potesse meritare la morte innanzi al suo giudizio.
Ma laddove ella era l’Erede, quale altro fato avrebbe mai potuto confarle?! Non erano forse sufficienti i danni che ella aveva già prodotto sino a quel momento, nel riversare nel mondo dei vivi una nuova schiera di non morti e di non morti quali mai si erano veduti in passato?! Non era forse sufficiente il controllo che ella aveva già assunto sulla città di Kriarya e, in parte, su quella di Lysiath, elevandosi a furor di popolo a quel ruolo di regina già proprio della sua predecessora?! Cos’altro avrebbe avuto a servire loro per decidere di condannarla...?
Eppure i loro capi avevano giudicato necessario attendere. Avevano voluto concedersi la possibilità di dialogare con lei, con l’Erede in persona. E a Orzloh Nevsit, così come a tutti i suoi compagni e compagne, null’altro avrebbe potuto essere allor concesso di fare se non dimostrare pazienza, attendendo l’evolversi di quella situazione.
Sperando che nulla, tuttavia, avesse a riservare loro ragione di pentimento per quella scelta...

« Uhm...?! »

Ad attrarre l’attenzione di Orzloh Nevsit, in quella giornata come altre, fu un suono sordo, simile alla caduta di qualcosa di pesante su un suolo morbido, qual del resto era, in molti punti, il pavimento in terra battuta sotto i loro piedi, in quel complesso sotterraneo.
Egli non avrebbe potuto considerarsi certo di aver udito effettivamente quel suono. Ciò non di meno, e nell’assenza di alternative migliori con le quali avere a occupare il proprio tempo, decise di indagare nel merito di ciò, muovendosi quindi con attenzione a comprendere cosa mai potesse aver generato un simile tonfo. E se nei corridoi nulla apparve evidente, là dove, fra l’altro, i pavimenti in pietra difficilmente avrebbero potuto giustificare quanto da lui allor udito; più probabile avrebbe avuto a dover essere intesa l’origine di tale suono da una delle varie stanzette laterali, per lo più, a quel livello superiore, lasciate comunque vuote o adibite a estemporanei magazzini, per il parcheggio di quanto, pur, destinato a essere stoccato più in basso.
Fu proprio nel muovere il proprio interesse verso tali zone che, allora, egli ebbe occasione di cogliere una più che corretta ragione per gridare l’allarme. E di coglierla nella presenza tutt’altro che piacevole, di un branco di non morti, e di un branco di non morti spuntati da chissà dove ma, improvvisamente, presenti all’interno della loro area, e di quell’area che già tanto sforzo aveva valso loro in passato per essere bonificata da simile, negromantica, piaga.

« Alle armi! Alle armi! » urlò pertanto, per richiamare l’attenzione di chiunque potesse udirlo, nel mentre in cui, senza indugio alcuno, ebbe a sfoderare la propria spada « Fratelli e sorelle della Progenie... a me! »

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