11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

domenica 8 giugno 2008

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« M
idda Bontor! »

Una voce risuonò in quelle vette, richiamando a sé l’attenzione della mercenaria, cercandone l’interesse: il proprietario di un tale suono si presentò quale un uomo in lucente armatura, seduto sul dorso di un possente cavallo nero. Le dimensioni della bestia erano così grandi dal risultare difficile comprendere come essa fosse potuta giungere fino a quelle cime, laddove solo sentieri dissestati e percorsi scoscesi le si erano concessi: le zampe, conformate in enormi zoccoli ferrati, apparivano più grandi delle dozzine di crani sulle quali esso procedeva, calpestando senza pietà chiunque, amico o nemico, si ponesse di fronte al suo cammino. Corazzati sia l’animale sia il suo cavaliere, in metallo sapientemente lavorato, la coppia procedeva inarrestabile attraverso la caotica battaglia in corso, facendosi strada in direzione del soggetto del proprio interesse, di colei che, ormai rossa più per li sangue degli uomini e donne uccisi che per il manto attorno al proprio corpo, si poneva come obiettivo per quell’avanzata.
Senza offrire alcun timore di fronte a tale visione, la mercenaria aprì il petto ed il ventre di una donna posta davanti a lei, armata di una spada e di uno stiletto nel vano tentativo di poterla ferire o, inverosimilmente, uccidere, squarciandone il corpetto di cuoio rosso con il filo della propria lama: nel mentre in cui le interiora della malcapitata si riversarono calde a terra e sulle di lei gambe, la Figlia di Marr’Mahew colpì la medesima con il proprio braccio destro, per liberarsi l’orizzonte immediatamente e nuovamente occupato da un altro avversario. Un uomo della Confraternita, così, tentò di sfruttare un presunto effetto sorpresa nel dirigere l’affondo di una sottile spada verso il di lei ventre, ritrovando invece il proprio colpo parato e deviato dall’arma grondante di sangue della donna: rapidamente, ma inutilmente, egli tentò di liberare la propria lama da quella avversaria, ricavando da quel gesto solo la visione della stessa spezzata nella presa della parte forte dell’altra, nel far leva fra l’elsa piena e le sporgenze metalliche poste a divisione del filo tagliente con il bordo liscio, studiate per tale scopo. Reso inoffensivo quale era, l’uomo avrebbe forse potuto trovare salva la vita nel tentare la fuga, nel cercare di allontanarsi da ella: spinto dalla propria stupidità, dall’impeto di quell’azione o, forse, dalla paura del pensiero di voltare le spalle di fronte ad un’avversaria tanto temibile, egli cercò di proseguire nello scontro, impugnando l’arma spezzata solo per condurre il proprio corpo ad un medesimo destino.

« Midda Bontor! » ripeté il cavaliere.

Ancora distante dalla donna, con una pesante ascia e con una lunga spada egli spazzò alla propria destra ed alla propria sinistra i nomadi che a lui cercavano di rivolgere il proprio attacco, la propria offesa, nell’intenderlo quale punto di riferimento per tutti i membri di quel piccolo esercito, unico che fra tutti loro si distinguesse, ergendosi sopra a tutto. I suoi colpi, non meno precisi, non meno efficienti, non meno letali rispetto a quelli della mercenaria da lui richiamata, dilaniavano carni e corpi, amputando arti e decapitando colli con un’evidente compiacimento per tale ruolo, per l’occasione offertagli dal destino: non si configurava come un normale mercenario, sospinto a quei gesti unicamente per il conseguimento della propria ricompensa e per la salvezza della propria vita, utile a non vanificare la somma pattuita con il proprio mecenate, quanto come un uomo crudele e spietato che, opposto ma simile a Midda, muoveva le proprie azioni nella dissimulazione offerta dalla missione ottenuta, giustificando in tale mascheramento il proprio sadismo e la propria sete di sangue. Solo il nome della donna intervallava, infatti, un susseguirsi di gioiose e ricche risate, che amplificate dall’elmo indossato rendevano un’immagine quasi folle di quell’uomo, nello squilibrio che solo poteva condurre ad un simile comportamento.
La donna cercò di avventarsi contro di egli, di coprire la distanza che li separava per porre fine al di lui massacro, ma si ritrovò fermata da una nuova coppia di avversari che, simultaneamente, si avventarono contro di lei sul fianco destro e su quello mancino: una guerriera armata a sua volta di una spada bastarda ed un uomo con due pesanti mazze ferrate, tentarono così di superare le di lei difese, confidando nella coordinazione dei propri movimenti contro di lei, sola davanti a loro. Scivolando rapidamente a terra, in un’improvvisa e controllata apertura delle gambe al punto tale da porle in contrapposizione l’una all’altra, davanti e dietro di sé, la mercenaria offrì alla luce della luna le di lui budella nel mentre in cui, con la propria mano metallica, arrestò il fendente altrimenti rivolto verso il proprio collo da parte dell’avversaria: alla stessa, poi, ella decise di donare la punta della propria lama, roteando rapidamente sul proprio baricentro per poter trapassare da parte a parte quelle morbide carni, le quali avrebbero fatto meglio a preferire l’amore alla guerra priva di futuro. Solo l’istinto derivato da innumerevoli anni di battaglie, duelli e guerre permisero, in quel momento, alla Figlia di Marr’Mahew di evitare un terzo nemico giunto alle di lei spalle: gettandosi con foga in avanti, nello scivolare sulla neve quasi sciolta e rossa di troppa varietà di sangue, ella vide un giavellotto essere impresso nel terreno nello stesso punto da lei prima occupato, tale per cui sarebbe stata da esso trapassato se la sorte non le avesse similmente arriso. Rapida ed indolore fu la morte concessa troppo generosamente a colui che tanto vigliaccamente aveva osato attaccarla nel momento in cui ella recuperò la posizione eretta, sollevandosi nuovamente dal suolo e riprendendo inarrestabile la propria lotta.

« Midda Bontor! » scandì nuovamente la voce, dall’alto della bestia.

Pochi i passi restarono a dividere l’uomo dalla sua preda e quella distanza si poté conteggiare sulle dita di una mano, o sulle vite dei cinque nomadi che ancora tentarono di contrapporsi al suo passaggio. Uno di essi, un ragazzo con forse una dozzina di inverni alle spalle, venne travolto dall’impeto del nero cavallo, che sotto i propri pesanti zoccoli fece risuonare una macabra sinfonia di morte scandita nel ritmo delle ossa rotte in quel corpo, della carne stritolata fra quel ferro ed il suolo. Altri due, una coppia di donne che mai nella propria vita avevano desiderato guerra e morte costrette dagli eventi di quella funesta notte a trovare in quella violenza tutto ciò da cui erano fuggite, incontrarono il proprio destino nella pesante ascia dal cavaliere maneggiata, che decollò una di esse e squarciò il corpo dell’altra, aprendolo dalla spalla destra fino al cuore. Gli ultimi due, due uomini un tempo esperti guerrieri, impegnarono in minima parte il fronte della sua spada, che ad ogni loro colpo riuscì a rispondere con prontezza, con rapidità letale, fino a quando non venne concessa loro alternativa la di fuori della morte.
Pochi i passi restarono a dividere la donna dalla sua preda e quella distanza si poté conteggiare sulle dita di una mano, o sulle vite dei cinque membri della Confraternita che ancora tentarono di contrapporsi al suo passaggio. Due donne armate di spade corte si avventarono su di lei, gridando come arpie, in un isterismo ormai troppo evidente, laddove per quanto addestrate, per quanto forgiate per ubbidire agli ordini della missione ricevuta ed uccidere senza pietà, entrambe vedevano in lei qualcosa oltre a tutto ciò che avevano mai conosciuto e temevano la morte che lei avrebbe loro concesso, tramonto che ella impose sulle loro esistenze con due fendenti decisi che ne recisero la giugulare senza un solo fremito di ciglio. Un guerriero, poi, ricoperto da una pesante armatura grondante sangue, tentò di levare uno spadone a due mani contro di ella, vedendo in una mossa tanto sciocca il proprio corpo esposto ad ogni possibile offensiva della mercenaria. A suo seguire, il quarto uomo cercò di violare le difese dei ella con una serie di rapidi colpi, arpeggiando nell’aria con la propria spada nel dimostrare un’ottima preparazione atletica alla scherma: nonostante ciò, essa non gli valse la possibilità di proseguire nella propria vita, nel proprio futuro, ritrovando ogni colpo parato dall’avversaria ed il proprio cuore da lei infranto, non emotivamente parlando. L’ultimo baluardo fra Midda ed il cavaliere rimase una fanciulla, verso la quale per un breve istante ella provò compassione immaginando le ragioni che avrebbero potuto spingerla a cercare la protezione offerta dalla fedeltà alla Confraternità: tale sentimento, però, fu freddamente rimosso laddove la giovine tentò la propria offensiva, ritrovando nella lunga spada dagli azzurri riflessi una pace forse da troppo tempo agognata.
Donna e uomo, così, si posero finalmente a confronto, osservandosi reciprocamente con assoluto controllo.

« Tu morirai Midda Bontor. Ed io potrò procedere nel compimento della tua missione. » dichiarò l’uomo, con voce chiara e forte « Ma se per qualche scherzo del fato tu dovessi avere la meglio su di me, ricorda ora le mie parole: sei attesa alla rocca di Korya e se mancherai a tale appuntamento, fra sette giorni i figli di questi pezzenti che forse definisci amici incontreranno il medesimo mortale destino dei loro genitori. »

2 commenti:

Anonimo ha detto...

La mia memoria è di salute cagionevole...

Si tratta del mandante dei sicari sulla nave?

Sean MacMalcom ha detto...

Di chi parli? Io nulla so... O:)

P.S. fra una settimana circa credo che chiarirai ogni dubbio! :D