11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

venerdì 20 giugno 2008

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M
olti aspetti accomunavano le religioni vigenti in Kofreya ed Y’Shalf e, fra di essi, il mito delle fenici, create nel cuore incandescente del monte Gorleheist dal dio Gorl o Gau’Rol. Animali nati dal fuoco e dal fuoco costituiti, esse incarnavano l’energia stessa della creazione, la forza pura ed incontenibile della vita che mai sarebbe potuta essere spenta, mai avrebbe trovato fine. Le leggende, invero, descrivevano le fenici come creature immortali, protagoniste di un perpetuo ciclo di nascita, vita, morte e rinascita che le vedeva, giunte al termine della propria esistenza, per cause naturali o indotte dall’esterno, ardere con forza sconvolgente, al punto da consumare le proprie stesse membra, se tali potevano essere definite, e lasciare un uovo al proprio posto: da tale involucro un essere, identico al precedente, sarebbe sorto a nuova vita, a rinnovata esistenza, bruciando ancora alto nei cieli.
Credere o meno alle fenici, come per ogni creatura figlia della mitologia e plasmata dall’intervento degli dei, era in effetti un atto di fede: pressoché ovunque, non solo in Kofreya ed Y’Shalf, la fenice, denominata y’shalfica a causa della posizione del monte Gorleheist, era a tutti gli effetti considerata un simbolo più che una creatura concreta, una metafora più che una realtà. Essa era idealizzata come rappresentazione di rinascita, di vita oltre la morte, ed, in questo, di speranza: speranza per il presente, speranza per il futuro, speranza che mai sarebbe potuta essere sconfitta, che mai sarebbe potuta essere soffocata. Per molti la fenice era vita ed, in essa, sarebbe stata racchiusa la chiave per l’immortalità dell’uomo, per poter permettere ad un mortale di ascendere fra gli dei, divenendo più di quanto mai qualunque uomo sarebbe potuto essere e più di quanto mai qualunque dio avrebbe potuto contrastare: anche laddove, infatti, gli dei stessi avrebbero conoscere disfatta e morte, l’onnipotente creatura nata dall’uomo che si fosse nutrito dell’uovo di una fenice non ancora risorta a nuova vita non avrebbe mai potuto vedere terminata la propria esistenza, non avrebbe mai assistito alla propria rovina. Dio fra gli dei, sopra ogni uomo, sopra ogni eroe.

« Tu sei folle, vecchio! » ringhiò la donna guerriero, a denti stretti, di fronte alla richiesta offertale.

Midda, nel suo particolare rapporto con la fede ed il misticismo, aveva sempre affrontato con spirito pragmatico la vita e le sorprese che essa avrebbe potuto riservarle: mantenendo un animo aperto ad ogni soluzione, la donna non si negava la possibilità di credere negli dei e nei loro poteri sovrannaturali, ma al tempo stesso non era pronta ad accettare ogni cosa per pura fede, temendo ogni forza al di là di ciò che si sarebbe potuto considerare “normalità”. Del resto la sua vita, le sue imprese, l’avevano condotta ad affrontare ogni genere di maleficio, di stregoneria, assistendo a negromanzie che avrebbero fatto perdere il senno a chiunque, combattendo nemici contro i quali nessuno avrebbe avuto la forza di pensare: consapevole dei propri limiti, della propria umana natura, in ogni battaglia offriva tutta se stessa, contro qualunque avversario le si fosse mai posto di fronte senza pregiudizi di sorta in positivo o in negativo, consapevole che laddove anche gli dei potevano trovare la fine della propria esistenza, nessuno sarebbe mai stato realmente immortale ed invincibile. In merito alla fenice ed alla sua divina essenza, la mercenaria non escludeva pertanto la possibilità dell’intervento di Gorl o Gau’Rol, a seconda della lingua in cui lo si venerava, nella creazione di tale creatura, ma si concedeva diverse possibilità di dubbio in merito alla sua presunta immortalità: ella riteneva estremamente più probabile la possibilità di un diverso ciclo di vita, morte e riproduzione per quegli animali straordinari, tanto diverso da quello umano dall’apparire simile ad una resurrezione che alla nascita di una nuova e diversa vita.

« Potrei essere il più folle fra i saggi, oppure il più saggio fra i folli… ma quale differenza farebbe nel concreto di ciò che ti attende, mia cara? » domandò l’anziano mecenate, con un sorriso che mal celava il proprio insano animo sadico « Le vite dei figli di quei nomadi a te tanto cari dipendono dal risultato di questo tuo incarico: portami un uovo di fenice entro le prossime ventiquattro ore ed io li libererò; fallisci ed essi moriranno. »
« Tu chiedi l’impossibile! » ammise la donna, osservando l’avversario « Potrebbero occorrere ventiquattro anni o ventiquattro vite solo per riuscire ad individuare il nido di una fenice… come potrei io farcela in ventiquattro ore? »

Nuovamente lord Alidan scoppiò a ridere di gusto a quelle parole, tramutando presto tale ilarità in una lunga serie di colpi di tosse che per diversi minuti lo lasciarono privo di fiato, prima di permettergli di poter riprendere ancora a parlare: in ciò apparve evidente la ragione del desiderio di quell’uomo, ormai troppo anziano e forse anche troppo malato per poter sperare in un futuro, per poter giungere ad un domani, tanto da riporre solo in quella leggenda ogni fede.

« Oh… quanto sei ancora giovane, Midda Bontor. Quanto sei ancora giovane e ricca di fuoco ardente nel tuo cuore, nonostante il ghiaccio che offri nei tuoi occhi. » commentò egli, sorridendo verso di lei « Credi davvero che quella che tu definisci pazzia si sia impadronita di me a tal punto da non permettermi lucidità di pensiero? Trovi, per caso, che finora le mie azioni siano state fondate sul nulla? »

Ella restò in silenzio a quell’osservazione, non potendo fare altro che limitarsi a constatare come niente di quanto era accaduto, in effetti, sembrava frutto di una pianificazione affrettata ma, al contrario, si concedeva quale una perfetta partita di chaturaji, dove ogni pezzo veniva mosso sulla scacchiera con precisione assoluta, meditando ogni possibilità alternativa per lungo tempo al fine di anticipare qualsiasi reazione avversaria. Quell’uomo, invero, non si poteva definire un semplice folle: era qualcosa di più, qualcosa di peggio, e la donna guerriero avrebbe fatto bene ad iniziare a temerlo, laddove dalle sue reazioni sarebbero dipese le vite innocenti di tanti ostaggi.

« Per anni ho investito ingenti capitali al fine di individuare un luogo di nidificazione di tali sacri animali, per anni ho impiegato ogni energia e risorsa a me disponibili in tale scopo… ed alla fine, straordinariamente, ho avuto la conferma di quanto si trovasse vicino a me ciò che io stavo tanto cercando. » spiegò l’uomo, tranquillo, quasi gioioso in quelle affermazioni, orgoglioso del proprio lavoro.
« Non vorrai dire che… » intervenne ella.
« Esattamente, Midda. Esattamente! » annuì egli, tagliandole ogni possibilità di parola nel lasciarsi trascinare da quelle spiegazioni « Proprio qui, proprio sopra o, meglio, sotto questo colle è un antico tempio, risalente a epoche ormai dimenticate, eretto in venerazione delle meravigliose creature che sono le fenici. Ed io l’ho trovato, sfidando ogni sorte avversa, lo sfavore degli uomini e del fato. »
« Purtroppo non avevo previsto la possibilità che l’accesso al tempio fosse stato protetto, contro eventuali intrusi, forse a tutela di coloro che in esso ancora probabilmente dimorano, che lì, ancora, trovano rifugio e pace. » continuò il mecenate, appoggiando il proprio peso completamente sul bastone, iniziando ad essere troppo stanco per reggersi ulteriormente in piedi « Trappole mortali proteggono ciò che io bramo, ciò che io cerco, e troppi uomini e donne, prima di te, sono morti nel tentativo di violare la sacralità di quei luoghi rimasti abbandonati forse per secoli. Ed è per questo che ho pensato all’incredibile Figlia di Marr’Mahew, è per questo che ti ho portata qui, è per questo che tutti hanno acclamato il tuo arrivo… »

Improvvisamente, in quelle parole, tutto sembrò risultare chiaro agli occhi della mercenaria, la quale finalmente poté avere comprensione di cosa era accaduto e perché così era stato: la strage, il rapimento, la scelta del luogo dell’incontro, tutto era avvenuto unicamente al fine di condurla lì, di asservirla alla lucida follia di quell’anziano nobile per soddisfare i di lui desideri, la di lui volontà di vita oltre l’inevitabile morte. Ma, invece di trovare in quelle spiegazioni la pace interiore derivante dalla consapevolezza della vita e degli eventi prima non compresi, ella sentì in sé crescere una rabbia priva di controllo. Come poteva, del resto, sopportare l’idea che in tanti fossero morti per il desiderio di immortalità di un vecchio pazzo? Che Ma’Vret fosse stato ucciso fra le sue braccia solo al fine di condurla lì, per adempiere ad un incarico tanto assurdo?

« Ventiquattro ore. » ribadì l’uomo, iniziando a retrocedere da lei, cedendo alla propria stanchezza, alla propria vecchiaia, all’unico avversario che, fino a quel momento, sembrava aver avuto la meglio su di lui « Ventiquattro ore per superare le mortali insidie del tempio e condurre a me un uovo di fenice. Non un solo minuto di più, Midda Bontor. Ricordalo. »

Ed ella dovette ricordare, dovette costringersi a riportare alla memoria i volti dei bambini che egli teneva prigionieri, per trattenere ancora la propria spada nel fodero a tale pensiero, all’ineluttabilità della realtà.
Aveva ventiquattro ore… e non concedersi di perdere un solo minuto di tempo nella propria ira.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Oddio, essendo lei una mercenaria, poteva semplicemente tentare di comprarne i servigi... comunque il fine giustifica i mezzi, dai.

(Non posso nascondere la simpatia crescente verso il vecchio :lol: )

Sean MacMalcom ha detto...

Uh... ma la risposta a questo commento mi era sfuggita? O.o
Ero convinto di averla data... =.="

Diciamo che non è facile comprare i servizi di Midda e chi la conosce lo sa! :D