11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

mercoledì 27 marzo 2013

1892


« Ifra… » prese voce verso il mozzo, dopo un lungo istante di silenzio, necessario a permettergli di sondare l’oscurità della notte per cercare di cogliere conferma della novella che, dall’alto dell’albero di maestra, Camne aveva avuto ragione di proclamare « Credo che sia meglio che tu vada a svegliare anche Midda. O, comunque, a chiederle di rivestirsi e di raggiungerci. » comandò, non escludendo l’eventualità nella quale la mercenaria non avrebbe dovuto essere riconosciuta qual impegnata a riposare, non ove, dopotutto, in intima compagnia del proprio amato in quelli che, forse, avrebbero dovuto essere considerati i loro ultimi giorni insieme « Bussa, mi raccomando. »

Accogliendo tale nuovo ordine senza offrire la benché minima obiezione, del resto del tutto privo di ragioni valide a dimostrare una qualunque remora a tal riguardo, il giovane nipote di Berah si allontanò ancora una volta dalla coperta della nave, in direzione delle cabine, con passo rapido e incedere sicuro, saldo e convinto, qual solo sarebbe potuto essere quello di chi, obiettivamente, avrebbe avuto più difficoltà a camminare sulla terraferma rispetto a quanta non ne avrebbe potuta dimostrare sul ponte di una nave.
Subito dopo la sua uscita di scena, comunque, anche la rossa sino a un istante prima intenta a dondolarsi appesa al muscoloso braccio di Av’Fahr ipotizzò una propria ragionevole uscita di scena, come si premurò di comunicare ai due compagni lì rimasti a lei prossimi.

« Bene… credo di aver fatto abbastanza danno per questa notte. » sorrise, non riuscendo a trascurare l’imbarazzo per quanto accaduto né, tantomeno, a minimizzare l’importanza della magra figura resa propria nel momento in cui si era permessa di incespicare, quasi ricadendo all’indietro priva di qualunque palese ragione a giustificare simile mancanza di equilibrio e, soprattutto e peggio, la sorpresa… lo spavento addirittura dimostrato in conseguenza alla comparsa in scena del capitano « E’ meglio se torno a controllare le mie cime, prima che qualcuno mi possa rimproverare di non essere dove dovrei! » ammiccò verso Noal, nel contempo di ciò liberandosi delicatamente dalla presa del proprio salvatore per evadere fisicamente da quella situazione, per allontanarsi di lì esattamente come appena annunciato.

Al di là dello scherzoso timore per un pur non impossibile rimprovero da parte del capitano, né Noal né Av’Fahr dimostrarono allora ragione utile a prendere voce in sua direzione, quasi tutto ciò che avrebbe potuto essere meritevole di essere detto lo fosse già stato. Così, in quieto silenzio, i due uomini osservarono l’amica, la sorella, la compare di molte avventure, di troppi anni, allontanarsi con discrezione da loro e, in quieto silenzio, restarono ancora per qualche interminabile istante, a contemplare l’orizzonte innanzi ai loro sguardi o, forse, il nulla imprecisato in tal direzione, persi ognuno in personali riflessioni di difficile condivisione, malgrado ogni singola esperienza di vita fosse fra loro stata condivisa nel corso di tutto il tempo vissuto insieme, di quell’incredibile, comune cammino di vita.
Solo dopo quella che apparve simile a un’eternità, e che pur eternità non avrebbe mai potuto essere per ovvie motivazioni, il capitano della Jol’Ange riprese parola e, in tal senso, si impegnò a esprimere un consiglio allora non richiesto, e pur, forse, atteso, non tanto nel proprio ruolo di riferimento per l’equipaggio di quella nave e, in conseguenza, anche per il figlio dei regni desertici centrali a cui si rivolse, quanto e piuttosto nel proprio ruolo di amico. Un amico, un fratello, un compare che non avrebbe mai espresso voce a suo discapito e che, anzi, avrebbe sempre e solo proferito verbo nella speranza, in ciò, di contribuire, con la propria più umile opinione alla sua felicità.

« Sia chiaro che non è mio desiderio interferire in vostre questioni personali… » commentò, con tono ora serio, privo di inflessioni tali da poter offrire ambiguità all’interpretazione di quanto lì condiviso, non desiderando che nulla di quanto da lui allora scandito potesse essere inteso qual un intervento ironico, a scherno dell’interlocutore o, peggio, della compagna appena allontanatasi « … ma, fossi in voi, nel ben conoscere a quale sorte andremo presto incontro nello spiegare le vele verso Rogautt, non sprecherei troppo tempo esitando, incerto sulle mie emozioni. Perché se già normalmente la vita viene intesa qual troppo breve per poter essere futilmente spesa nel timore delle conseguenze delle azioni compiute; la nostra vita, in questo momento rischia di essere terribilmente breve. E credo che sarebbe quantomeno spiacevole, per voi, restare con il dubbio di quanto avrebbe potuto essere, senza esservi concessi la possibilità di sperimentarlo… e di sperimentarlo con tutta la straordinaria forza di cui entrambi siete capaci. »

Parole indubbiamente tragiche, quelle che volle rendere proprie, e che pur, mai come in quel momento, in quel frangente, avrebbero dovuto essere riconosciute qual incredibilmente ragionevoli, corrette, motivate, nel ben conoscere a qual genere di sfida stavano andando tutti incontro, forse persino con eccessiva leggerezza, con quell’impropria spensieratezza dopotutto caratteristica di chi abituato da sempre al confronto con la morte, morte che avrebbe potuto essere loro riservata, in ogni momento, lungo le vie del mare da loro pur tanto amato e al quale mai avrebbero rinunciato.
Midda Bontor, raggiungendoli a Seviath, là dove erano rimasti in attesa del suo ritorno, aveva votato in favore di una politica di assoluta trasparenza nei loro confronti, neppur chiedendo in maniera esplicita o implicita la loro collaborazione, il loro supporto o il loro sostegno nell’impresa nella quale, probabilmente, sarebbe andata a incontrare il proprio destino, il proprio irreversibile fato; ma semplicemente informandoli nel merito di quanto sarebbe accaduto, nella volontà di porli al corrente di come, presto, ella sperava si sarebbero potute concludere troppe questioni rimaste in sospeso, si sarebbero potuti regolare troppo conti rimasti ingiustamente aperti, offrendo alfine vendetta alla memoria dei loro morti, ancora rimasti inappagati sotto tale profilo, e, in ciò, speranzosamente pace alle loro anime, ai loro spiriti immortali. Soltanto loro, nel confronto con tale verità, con la consapevolezza da lei offerta, era stata la decisione di garantirle, ancora una volta, tutto il proprio supporto, tutta la propria collaborazione, incapaci a tollerare il pensiero di subire passivamente, ancora una volta, gli eventi, e desiderosi, altresì, di essere alfine attori almeno in concomitanza a tale capitolo finale, prima che il sipario potesse definitivamente calare. E se pur alto, altissimo, sarebbe certamente stato il prezzo da pagare a fronte di un loro eventuale insuccesso, così come sarebbe probabilmente stato anche a fronte di una loro speranzosa vittoria, intollerabile si sarebbe sicuramente dimostrata l’idea di attendere in lontananza, nell’incertezza più completa, nell’ignoranza più totale, l’eco di quanto, pur, la Figlia di Marr’Mahew avrebbe evitato di compiere o, quantomeno, di tentare di compiere, persino morendo nel tentativo.
In tutto ciò, per quanto tragiche fossero state le parole di Noal, pur ragionevoli, corrette e motivate, avrebbero dovuto essere riconosciute, così come lo stesso Av’Fahr non ebbe ragione di mancare di compiere, apprezzandole sinceramente per la premura che, in tutto ciò, l’amico aveva voluto riservare non soltanto a lui, ma anche a Masva…

« Grazie. » replicò, semplicemente, riconoscendo qualunque altra argomentazione allora superflua, allora inutile e vana, un fronzolo, un arzigogolo, che pur avrebbe potuto avere il proprio valore espressivo, che pur avrebbe potuto riservarsi una qualche ragione estetica, e che pur null’altro, di concreto, avrebbe potuto aggiungere alla questione.

Perché, in risposta a quanto suggerito dal capitano della Jol’Ange, non avrebbero dovuto essere parole, quanto e piuttosto fatti. Fatti concreti atti a dimostrare quanto, qualunque emozione stesse forse accomunando Av’Fahr e Masva, avrebbe dovuto essere riconosciuta degna d’essere vissuta, almeno fino a quando, ancora, sarebbe stata loro concessa l’occasione di viverla. Fatti ai quali, tuttavia, sarebbe allora stato compito del figlio dei regni desertici centrali offrire corpo, sempre ammesso che, da parte sua, si fosse dimostrato effettivo interesse a concedere a quelle parole il giusto peso, a quel consiglio il giusto valore e, soprattutto, ai propri sentimenti la giusta importanza.


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