11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

domenica 31 marzo 2013

1896


Attraversare quella quieta e inoffensiva passerella fu, per la donna guerriero, per la leggenda vivente protagonista di un numero ormai incalcolabile di avventure, una fra le azioni più complesse, più faticose e più impegnative della propria intera esistenza. Per lei che aveva attraversato torrenti di lava; per lei che era sopravvissuta a valli maledette, dalle quali alcuno avrebbe potuto sperare di sopravvivere; per lei che, ancora, si era persino spinta al di là della propria stessa realtà, fosse anche soltanto e per esemplificazione entro i confini della fortezza del proprio ormai defunto sposo, il semidio immortale Desmair; spingere i propri passi su quel tanto semplice percorso, così ipoteticamente privo di rischi, privo di minacce, privo di insidie letali, equivalse a una prova di coraggio quali poche le era mai stato richiesto di affrontare, e qual, oggettivamente, avrebbe preferito non essere più costretta ad affrontare in futuro.
Perché, nel compiere anche il più semplice movimento sul legno di quella passerella, nel riservarsi anche il più banale incedere lungo la medesima, ella ebbe a doversi lì confrontare non tanto contro un qualche avversario, contro un qualche nemico che, per quanto straordinario, per quanto fondamentalmente imbattibile, avrebbe potuto essere affrontato e vinto; quanto e peggio ebbe a doversi lì confrontare con se stessa, con le proprie emozioni, con le proprie paure, con la propria ritrosia, nel nome della quale avrebbe ben volentieri voltando la schiena e sarebbe ritornata, addirittura correndo, sulla nave, invocandone a gran voce la ripartenza. Zombie, draghi, tifoni, sirene, anfesibene, ippocampi, gargolle, negromanti, stregoni e persino semidei e dei: contro tutti loro la mercenaria sarebbe allora stata lieta di ritrovarsi a combattere piuttosto che affrontare la prova che lì le stava venendo richiesta di affrontare. Purtroppo, nella placida Licsia, alcuno di quei pericoli l’avrebbe potuta attendere… e la sola antagonista con la quale avrebbe dovuto presto confrontarsi sarebbe stata proprio lei.
E tutti comprendendo, o quantomeno cogliendo, quel dramma, nell’inverosimile riluttanza per lei ad avanzare oltre, così come mai, neppure nei peggiori campi di battaglia, aveva dimostrato qual propria; non vi furono superflue domande alla ricerca di risposte che non avrebbero potuto essere loro offerte, che non avrebbero potuto essere loro concesse, non, quantomeno, evitando di umiliarla di più di quanto ella non avrebbe potuto allora sentirsi, non, ancora, evitando di imbarazzarla di più di quanto ella già non fosse; ognuno mantenendo qual proprio un discreto silenzio in attesa del momento in cui sarebbe stata ella stessa, eventualmente, a pretendere qual propria una qualche parola.
Tuttavia, da parte della Figlia di Marr’Mahew, non si dimostrò una particolare smania espressiva, non venne resa propria la volontà di condividere emozioni o pene in quel difficile momento. Ragione per la quale, una volta raggiunto il termine della passerella, ella volse soltanto uno sguardo verso l’amato intento in sua attesa, lì pronto a dire o fare qualunque cosa per lei; per poi voltarsi non tanto in direzione dell’isola addormentata, quanto e piuttosto verso l’estremità di quello stesso molo più distante dalla medesima, in tal senso muovendo gli ultimi passi necessari a raggiungere tale punto prima di lì lasciarsi sedere, con la spada appoggiata accanto a sé, con le braccia distese lungo i fianchi e con le gambe ciondolanti sopra le inevitabilmente spumeggianti acque di un pur placido mare, a osservare il vasto, e deserto, orizzonte lì nuovamente propostole, dopo tanti anni.

« … ripropongo la domanda… e ora?! » sussurrò Av’Fahr, verso il proprio capitano, ripresentandogli il medesimo interrogativo con lui già condiviso, questione alla quale, sino a quel momento, non era ancora stata offerta soddisfazione né vi era parvenza di una qualche speranza in tal senso.
« Attendiamo… » rispose Noal, confermando in tal senso l’ovvio, e pur non desiderando offrire la benché minima critica al comportamento della loro compagna di viaggio, non arrischiandosi neppure a immaginare quale stato d’animo avrebbe potuto contraddistinguerla in quel momento, in quella situazione, in quella tanto spiacevole condizione e, in ciò, non volendosi concedere alcuna occasione di argomentazione né a suo favore, né tantomeno a suo discapito, ove l’assunzione di una qualunque posizione avrebbe potuto essere soltanto fraintesa qual arroganza da parte sua.

Così, l’intero equipaggio allargato della Jol’Ange attese. E attese tutto il tempo che fu necessario a quella situazione di stallo psicologico per sciogliersi autonomamente.
A eccezione di Midda e di Be’Sihl, sbarcato a terra addirittura prima di lei, soltanto un paio di gatti di bordo presero allora l’iniziativa di sgranchirsi le zampe lungo il limitare del modo, riservandosi l’occasione di studiare con curiosità e con interesse l’ambiente a loro circostante, nuovo e inesplorato, misterioso e pur, al contempo, ineluttabilmente affascinante. Tuttavia, non essendo abitualmente caratteristica propria dei gatti di bordo un’effettiva brama d’avventure, nel ritrovarsi a essere estremamente affezionati, addirittura legati, alle proprie navi, nessuno fra coloro che avevano lasciato la Jol’Ange si allontanò dalla stessa quanto sufficiente a perderla di vista, o, anche e soltanto, a raggiungere la sabbia della spiaggia, o la terra dell’isola, al termine del molo.
Non che, pur persa nei propri pensieri, nelle proprie più intime elucubrazioni, la Campionessa di Kriarya ebbe a ignorare tale sviluppo, in esplicita conseguenza alle proprie scelte. Al contrario, ella restò perfettamente consapevole di tutto quello che le accadde intorno: a partire dalla presenza di Be’Sihl a sé prossima, nel momento in cui egli ridusse la distanza fra loro prendendo silenziosamente posizione alla sua sinistra, seduto a sua volta sul limitare di quell’edificazione in legno; per proseguire con quella dei due felini, dopotutto difficili da ignorare nel considerare come uno fra loro, addirittura, sembrò volerla silenziosamente interrogare sul da farsi spingendosi a passeggiarle sulle cosce, offrendole una confidenza che, abitualmente, non le era riservata, né era riservata ad altri ospiti o membri dell’equipaggio; per concludersi con l’assenza di chiunque altro, inclusi Howe, Be’Wahr e Seem, i quali avrebbero potuto vantare ottime motivazioni per voler ridiscendere a terra e i quali, ciò nonostante, non osarono avanzare in tal direzione di un solo passo, nel riconoscere quanto, allora, la questione avrebbe dovuto essere considerata completamente nelle sue mani, nella buona quanto nella cattiva sorte.
Lo stallo venutosi in tal modo a creare, comunque, ebbe occasione di concludersi nel momento in cui, mezza dozzina di piccole imbarcazioni di pescatori apparvero, quasi inaspettatamente, all’orizzonte, da fronti diversi dirigendosi, senza ricercata coordinazione e pur con straordinaria sincronia, proprio verso la piccola Licsia, il suo molo e, in ciò, i suoi estemporanei occupanti. E se, improbabile, sarebbe stata l’idea di celare allo sguardo la Jol’Ange, non imponente come altri velieri, e pur, comunque, di mole indubbiamente superiore rispetto a quanto avrebbero potuto vantare quei gusci di noce; nessun interesse sarebbe stato in tal senso proprio né di Noal, né tantomeno della stessa Midda Bontor, altresì desiderosi di essere colti, nella propria estranea presenza, da parte della popolazione autoctona, offrendo in tal modo loro tempo e possibilità di prendere confidenza con la loro immagine e, soprattutto, di riconoscere l’apparente assenza di intenzioni ostili, di un atteggiamento ostile qual avrebbe potuto essere proprio di una ciurma di pirati.
Quasi, comunque, neppure tutto quello avrebbe potuto sostanzialmente interessarle, neppure nel momento in cui le piccole imbarcazioni accostarono a riva, ignorando il molo, riservato a eventuali ospiti, e preferendo cercare contatto diretto con la sabbia, sulla quale sarebbero poi state trascinate; la figlia rinnegata di quella stessa piccola isola dei mari del sud ebbe ragione di risollevarsi dalla posizione in cui era rimasta, sino ad allora, in quieta attesa, continuando a permanere lì seduta, ancora in apparenza psicologicamente ed emotivamente distante da qualunque evento a lei circostante, e intenzionata solamente a rimirare l’infinito innanzi a sé.
La risoluzione di tale stallo, pertanto, non fu sostanzialmente a carico di colei che lo aveva generato, quanto, e piuttosto, degli stessi pescatori di Licsia, una ristretta rappresentanza dei quali, costituita da un aitante uomo, da un ragazzo ancor fanciullo, e da un anziano dalla pelle rugosa e bruciata dal sole di troppi anni trascorsi per mare, le si avvicinarono percorrendo il molo, a lei sospinti non tanto da una qualche preventiva aggressività, quanto e piuttosto dalla volontà di comprendere chi fossero quegli stranieri e per quale ragione essi avessero dispiegato le proprie vele sino a lì… a quello sperduto angolo di mondo.


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