« Non pretendiamo di avere chissà che ruoli... » si affrettò a precisare Nami, onde ovviare a fraintendimenti di sorta nel merito della loro richiesta « Siamo consapevoli di non conoscere nulla del lavoro che è necessario in una locanda... e siamo più che desiderose anche e soltanto a ramazzare per terra, se fosse possibile. »
Sincera, in tal senso, avrebbe avuto a dover essere intesa l’umiltà propria delle figlie di Nissa Bontor, e quell’umiltà da loro appresa proprio in quegli ultimi anni spesi a bordo della Jol’Ange. Se, infatti, nella prima parte delle loro vite, esse avevano vissuto letteralmente da principesse ereditarie, figlie della regina dei pirati dei mari del sud; ritrovarsi a vivere a bordo di una nave, e di una nave di dimensioni tutto sommato ridotte quali quelle proprie di una goletta, era stato per loro estremamente formativo, insegnando loro lo spirito di comunità, lo scopo della collaborazione e il senso della modestia, nel confronto con l’importanza di qualunque attività per il corretto funzionamento del tutto, a prescindere da quanto apparentemente umile o insignificante ciò potesse apparire. Perché, dopotutto, quali membri di un equipaggio, l’operato proprio dei mozzi non avrebbe avuto minor importanza rispetto a quello di un timoniere o, addirittura, del capitano stesso: chiunque, nei limiti della propria mansione, avrebbe avuto a dover essere reputato indispensabile non soltanto per la sopravvivenza, ma, ancor più, per il benessere di tutti, allo stesso modo in cui nessun organo, o nessun membro, all’interno di un corpo, avrebbe potuto essere frainteso qual superfluo.
Se, quindi, Arasha avrebbe loro chiesto di ramazzare per terra, ciò sarebbe stato da loro più che ben accetto, qual la migliore delle occasioni possibili.
« Ne sono felice. » annuì l’altra, sinceramente colpita dall’approccio delle due giovinette, un approccio che non avrebbe potuto ovviare a deporre a loro favore « Ma... »
« O potremmo svuotare i pitali al mattino. » incalzò Meri, a rilanciare l’offerta al ribasso, e veramente tanto al ribasso, in termini obiettivamente spiacevoli nell’idea che avrebbero avuto a delineare « Di certo nessuno ha piacere di svolgere una simile attività! » evidenziò, a dimostrare quanto fosse ben consapevole dell’ingrato compito per i quale si stavano in tal maniera offrendo.
« Siete veramente gentili e la vostra buona volontà mi disarma, davvero! » sorrise Arasha, trattenendo a stento una risata a confronto con tutto quello « Purtroppo... »
« O... » si dimostrò nuovamente pronta a intervenire Namile, venendo tuttavia ora arginata nelle proprie parole da un gesto delicato, ma deciso, della loro interlocutrice, che impose loro di lasciarla finire di parlare.
« Purtroppo, dicevo... » riprese quindi la donna, cercando di portare a compimento il discorso già troppo a lungo interrotto dalle due ragazzine « ... non è un periodo facile per questa locanda. E, sinceramente, faccio già fatica a pagare lo stipendio ai nostri attuali dipendenti, in termini tali per cui, obiettivamente, mi sarebbe impossibile accettare di assumere, ancora, qualcun altro. Figurarci due garzoni in più. »
E in effetti, e purtroppo, Arasha Degangor non stava mentendo. Se l’indipendenza de “Alla signora della vita” da qualsiasi lord di Kriarya avrebbe avuto a dover essere vista, giustamente, qual una delle caratteristiche più importanti della locanda sotto molti punti di vista; parimenti proprio tale indipendenza avrebbe avuto a dover essere intesa qual il suo più importante punto di debolezza, sotto molti profili, primo fra tutti quello finanziario. Perché se pur nessuna parte del ricavato della locanda avrebbe avuto a dover essere ceduto in tributo a uno dei capi criminali della città, allo stesso modo tutte le spese, tutti i costi della locanda avrebbero avuto a dover essere coperti integralmente in maniera autonoma, tanto nella buona, quanto nella cattiva sorte, in un ingrato compito volto a far quadrare il bilancio che, da qualche anno a quella parte, era finito tutto sulle eleganti spalle della figlia di Degan.
Un compito che, tuttavia, ogni mese era reso ancor più difficile rispetto al mese precedente da qualche novità e, generalmente, da qualche novità strettamente connessa al medesimo clan che Midda Bontor si stava chiaramente impegnando a radunare attorno a sé. Perché se, un tempo, l’accordo fra Be’Sihl e Midda aveva previsto il mantenimento di una stanza perennemente destinata alla mercenaria, e una stanza che pur, ella, pagava regolarmente, ciò senza contare quanto, poi, la sua presenza avesse a rendere alla locanda stessa in termini di promozione e di fama; da quando la Figlia di Marr’Mahew era diventata comproprietaria della stessa, ovviamente, ciò era venuto meno e, peggio ancora, era diventato un incomodo precedente per offrire, suo pari, alloggio gratuito anche a tutti i suoi amici e collaboratori. E così, proprio malgrado, tutte le stanze occupate dal suo clan all’interno della locanda, non soltanto avrebbero avuto a dover essere intesi spazi sottratti ai clienti ma, peggio ancora, veri e propri costi per la locanda, negli oneri che, comunque, tali spazi e i loro inquilini avevano a richiedere.
Insomma: Arasha stava già facendo il possibile, e l’impossibile, per restare in pareggio di bilancio, in una situazione già resa potenzialmente critica dall’arrivo anche di quelle due ragazzine. E se sull’offrire loro ospitalità, di certo, non avrebbe sollevato veti, ben diverso discorso sarebbe stato quello di poter concedere loro anche un lavoro e, di conseguenza, uno stipendio...
... no. Quello sarebbe stato davvero troppo.
« Ma no non vogliamo essere pagate. » obiettarono allora Meri e Nami, praticamente all’unisono.
Già: Mera Ronae e Namile Bontor non avevano minimamente preso in esame l’idea di poter essere pagate per svolgere qualunque incarico sarebbe stato loro proposto. Non laddove, del resto, mai avevano avuto a essere pagate negli ultimi anni spesi a bordo della Jol’Ange.
Per loro, infatti, l’idea di lavorare avrebbe avuto a dover essere intesa qual un contributo utile a ripagare l’ospitalità che stava lì venendo loro offerta, oltre, ovviamente, a ovviare al tedio più assoluto. E mai, in ciò, avrebbero potuto prevedere l’eventualità di richiedere una qualche ulteriore forma di retribuzione.
« Oh! » esitò allora Arasha, colta sinceramente in contropiede da quelle ultime parole, così assurde in una realtà come quella propria della città del peccato, dove qualunque cosa avrebbe potuto avere un proprio prezzo « Dite davvero...?! » cercò conferma, non sapendo in quali termini avere a interpretare quelle ultime parole, così simili a uno scherzo e, ciò non di meno, troppo assurde per poter essere tali, laddove anche uno scherzo avrebbe dovuto poter vantare una qualche credibilità per riservarsi successo di sorta.
« Beh... sì. » sorrise, ora quasi in imbarazzo, Nami, comprendendo di aver chiaramente espresso qualcosa di strano... di molto strano all’attenzione della propria interlocutrice, per quanto dal punto di vista suo e della sua gemella avesse a dover essere inteso qual la cosa più naturale del mondo.
« Già ci state offrendo vitto e alloggio... sarebbe assurdo che aveste anche a pagarci! » esplicitò Meri, aggrottando appena la fronte per meglio esplicitare la loro posizione a tal riguardo.
E se, fino a un istante prima, Arasha non avrebbe mai potuto prendere in esame l’idea di due garzoni in più all’interno della locanda, l’inattesa offerta di quelle due bambine ebbe a dischiudere innanzi al proprio sguardo un’inattesa prospettiva, e la prospettiva di riuscire, almeno in minima parte, a migliorare la situazione economica della locanda. Perché se pur la manodopera gratuita di due persone in più non avrebbe avuto a compensare certamente i mancati introiti per tutte le stanze occupate dal clan, certamente non avrebbe avuto neppure ad aggravare la situazione...
... anzi.
« Oh! » si ripeté, quindi, la donna, aprendosi in un nuovo, amplio sorriso « Se le cose stanno così, allora... è tutto un altro discorso! » concluse, finalmente concedendo una replica positiva alla domanda delle due.
Nessun commento:
Posta un commento