Un antico detto soleva suggerire quanto un orbo fosse re in una terra di ciechi. E nel rispetto di tale antico detto, la pur inesistente esperienza pregressa di Korl e di Lora nel merito della neutralizzazione di una bomba, e di una simile bomba, non avrebbe potuto egualmente impedire loro di apparire come massimi esperti a tal riguardo anche e soltanto per il semplice fatto che, fra tutti, essi avrebbero avuto di buon grado a dover essere intesi quali i soli a possedere quel minimo di consapevolezza nel merito di ciò di cui, allora, si stava parlando.
Per questa ragione, malgrado l’accento che Korl non mancò di riservarsi occasione di porre sull’assenza di qualche confidenza di sorta con quanto stava pur venendo loro richiesto di fare in quel momento, nessuno ebbe a sollevare il benché minimo dubbio a loro riguardo, nella quieta certezza di quanto, purtroppo, nessun altro avrebbe saputo fare di meglio... anche laddove loro non avessero saputo fare nulla. E, dopotutto, non fosse stato per loro, indubbio avrebbe avuto a doversi riconoscere quanto Seem, o chiunque altro fra i presenti, avrebbe sicuramente impugnato il piede di porco per aprire quelle casse, rischiando, in tal senso, di innescare una nuova esplosione.
Così, fino al ritorno di Seem con una cassetta ricca di vari attrezzi, nessuno ebbe a muoversi, né ebbe a ipotizzare di contestare la legittimità del ruolo di comando di Korl e Lora nella gestione si simile emergenza. E quando, alfine, gli attrezzi arrivarono, tutti si limitarono a porsi in tesa attesa dell’esito di qualunque azione i due avrebbero potuto porre in essere, ognuno pregando il proprio dio o dea prediletti con la speranza di non ritrovarsi, di lì a pochi istanti, catapultati alla loro presenza nel regno dei morti.
« Se preferiste allontanarvi, prima che iniziamo, potreste anche riservarvi l’occasione di sopravvivere... » suggerì Lora, offrendo riferimento al loro piccolo pubblico, e un pubblico la responsabilità della morte del quale sarebbe potuta restare sulle loro coscienze per il resto delle loro vite, se soltanto avessero commesso un solo errore.
« Abbiamo ancora dei clienti all’interno della locanda. E, questo, senza contare tutti gli uomini della scorta di Na’Heer. » scosse il capo Arasha, storcendo le labbra verso il basso « Non ci possiamo permettere di buttarli tutti fuori proprio questa notte... con il rischio di poter essere facile vittima di qualche non morto. »
Korl, in cuor suo, non poté ovviare a riflettere sull’ironia della sorte in quel particolare frangente, e in quel particolare frangente che, in un modo o nell’altro, avrebbe allor offerto, a quei malcapitati, la minaccia di finire facile vittima di qualche non morto: o di qualche possibile zombie, là fuori, o della loro incompetenza nel disarmare quella bomba, lì dentro, nel non obliare al piccolo, e tutt’altro che insignificante dettaglio di quanto, allora, anche lui e Lora non avrebbero avuto a dover essere ignorati in quanto non morti.
Tuttavia egli tenne per sé simili considerazioni, che in quel già tutt’altro che semplice frangente avrebbero avuto ad apparire gratuitamente provocatorie, e si limitò a sospirare, rammaricandosi di essere ateo e di non aver alcuna divinità alla quale potersi appellare in quel particolare momento.
« Allora votatevi ai vostri dei preferiti... giacché il rischio, qui dentro, non avrà a doversi considerare comunque minore. » li invitò, prendendo il trapano manuale per avvicinarsi alla prima cassa e, così, avere a iniziare, con più delicatezza possibile, il proprio operato.
Da quando Korl si era proposto qual inventore visionario, nel voler integrare in quel mondo primitivo le più semplici nozioni di base di qualunque bambino di Thermora, in progetti che lì non sarebbero potuto che risultar grandiosi e che pur, sul proprio pianeta d’origine, non avrebbero avuto che ad apparire nulla di più a banali esperimenti scolastici; egli aveva necessariamente acquisito una certa manualità, e una certa manualità anche e soprattutto nell’utilizzo degli utensili che in quel mondo gli sarebbero potuti essere forniti. Ragione per la quale, a differenza di ciò che avrebbe potuto occorrere un tempo, nel periodo immediatamente successivo al proprio ritorno dalla morte, egli non si sarebbe potuto sorprendere a confronto con l’offerta propria di un trapano manuale, e di un trapano che, come quello, avrebbe da lui richiesto un certo contributo fisico per operare.
Con movimenti decisi, quindi, egli roteo la manovella del trapano facendo affondare la punta dello stesso nel legno della cassa, e facendola affondare un millimetro alla volta, con quieta fermezza. Un’operazione semplice che richiese poco più di un minuto per superare l’intero spessore del legno e giungere, in ciò, sino all’interno della cassa. E quando egli avvertì la punta affondare nel vuoto, non poté ovviare a trattenere il respiro, nel timore di quanto sarebbe potuto occorrere se, soltanto, avesse sbagliato la propria ipotesi e se soltanto, oltre al coperchio, l’intera cassa fosse stata, in qualche maniera, strutturata come possibile innesco di riserva dell’ordigno al suo interno.
Nulla accadde, tuttavia, e così egli poté rimuovere il trapano per poi riprendere con la medesima operazione a non più di un paio di pollici di distanza, lì ripetendo il proprio impegno per un secondo foro, seguito poi da un terzo e da un quarto, a marcare le estremità di una piccola finestrella quadrata. E una piccola finestrella quadrata lungo il perimetro della quale, con tanta pazienza, iniziò allora a operare con il seghetto, allo scopo di dischiudere, effettivamente, quella finestrella e, da lì, avere possibilità di ispezionare l’interno della cassa.
« Mmm... »
A suscitare la sua esitazione, nel momento in cui la finestrella venne completata, fu l’evidenza della presenza di un sacco di iuta all’interno della scatola, e un sacco che, in conseguenza all’azione del trapano e del seghetto, era già stato parzialmente stracciato, a permettere al suo contenuto di fuoriuscire. E così, rimosso quel pezzetto di legno, ciò che Korl si ritrovò innanzi fu della polvere giallastra, a grana spessa, che non parve assomigliare in alcuna maniera a polvere da sparo o a null’altro di simile.
« Sembra farina per polenta... » osservò Be’Sihl, sbirciando da poco lontano.
Non avendo un modo migliore per esprimersi a tal riguardo, il figlio di Thermora ebbe allora a portarsi un po’ di quella polvere gialla sino alla punta della lingua, per avere ad assaggiarla e valutarla nella propria natura.
« ... è farina di mais. » confermò, aggrottando appena la fronte « Nulla di pericoloso, direi... » soggiunse, a rassicurare tutti gli altri.
« E se fosse stata messa lì per trarci in inganno...?! » suggerì allora Liagu, dimostrandosi degna figlia di propria madre, nell’apparire così sospettosa e diffidente « Potrebbero aver nascosto la bomba in mezzo ad altre merci, per confondere le idee... »
« In altri mondi, sicuramente. » commentò per tutta replica Korl, poco convinto da quell’eventualità « Ma in questo mondo... io non credo che si potrebbe già arrivare a tanto. Non al primo attacco dinamitardo che questa città abbia mai visto... »
Rialzandosi da terra, il ritornato volle restare fedele alla propria linea di pensiero andando a recuperare il piede di porco là dove Seem lo aveva appoggiato e facendo ritorno alla prima cassa, quella così già sondata, per poter far leva sul coperchio e aprirla.
E se tutti lo osservarono con occhi sgranati, temendo da un istante all’altro l’eventualità di un’esplosione, ciò non accadde. E la cassa venne aperta, mostrando, effettivamente, al suo interno, soltanto derrate alimentari, fra cui anche e, per l’appunto, quel sacco di farina per polenta.
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