11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

mercoledì 10 febbraio 2021

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« Anche zio Be’S sarà in pensiero. » obiettò tuttavia la piccola, ferma nel proprio intento « Andiamo a prendere Tagae e Liagu, e torniamo tutti insieme a casa... così nessuno sarà più in pensiero. » insistette, ferma nel proprio proposito, con un piglio a metà fra il maturo e l’infantile, che, in altri contesti, non avrebbe potuto mancare di divertire chiunque si fosse posto a confronto con lei e che pur, in quel contesto, non ebbe a suscitare alcuna ilarità nelle sue interlocutrici.
« Non sappiamo neppure dove sia la torre di Brote... » osservò Namile, scuotendo il capo « E questo non è certamente il momento migliore per metterci a girovagare a vuoto per la città. »
« Io so dove si trova! » protestò quindi Eli, ancora impuntata come un mulo « E là! »

E a riprova di tale propria consapevolezza nel merito dell’ubicazione della torre di Brote, la piccola ebbe a indicare, con indubbia sicumera, una ben poco promettente colonna di fumo a circa un miglio dalla loro attuale posizione, una delle più vicine a loro, in effetti, fatta eccezione per quella che era letteralmente crollata loro sulla testa pocanzi.
Meri e Nami non poterono che esitare, allora, innanzi alla fermezza della bambina. Perché là dove pur non avrebbero potuto riservarsi alcuna convinzione né all’idea che ella potesse realmente conoscere l’ubicazione della torre di Brote, né all’idea che Tagae e Liagu potessero essere sopravvissuti a tutto quello, né, ancora, all’idea di mettersi a girovagare per una città obbligatoriamente in preda all’isteria per quanto accaduto, e una città, per lo più, come Kriarya; l’insistenza della piccola ebbe a suggerire loro quanto, anche qualora l’avessero sollevata di peso, per trascinarla di prepotenza fino alla locanda, questa non soltanto non avrebbe concesso loro un istante di pietà ma, ancor meno, avrebbe mai avuto modo di perdonarle, considerandole probabilmente corresponsabili per qualunque tragica sorte alla quale i loro cuginetti erano stati così condannati.
Per tale ragione, in silenzio, le due figlie di Nissa ricercarono reciprocamente l’una lo sguardo dell’altra, a tentare un quieto confronto psicologico sulla questione, per cercare di capire insieme come aversi a rapportare con quella follia. Un silenzio, il loro, che fu tuttavia interpretato dalla piccola Midda Elisee qual un assenso, o, forse, che fu del tutto ignorato nelle proprie motivazioni e nel proprio valore, vedendola quindi partire, di gran carriera e in equilibrio precario, lungo quel tetto, in direzione del proprio obiettivo.

« Ehi. Fermati! » protestarono praticamente in coro Meri e Nami, ritrovandosi costrette a rincorrerla, con l’ansia che, da un momento all’altro, ella potesse volare a terra, andando a rinfoltire il già sgradevole elenco di disgrazie della giornata.
« Vado a prendere Tagae e Liagu! » replicò tuttavia la bambina, con una fermezza, o, forse, una cocciuta ostinazione, più che degna della donna dalla quale aveva ereditato il proprio primo nome, e quel celebre primo nome « Dite voi a mamma e papà che sto bene. »

E così, per quanto obiettivamente non avrebbero desiderato offrire spazio a quella specie di altruistico capriccio, le due ragazzine dai capelli color del fuoco e dagli occhi color del ghiaccio non ebbero altra possibilità se non quella di assecondarla, raggiungendola e ponendosi l’una alla destra e l’altra alla mancina di quella piccola despota, certe, a prescindere da quello che sarebbe poi accaduto, di non potersi permettere di farle accadere nulla di male.

« Che fate...?! » domandò la piccina, chiaramente recalcitrante alla loro presenza, nel timore di poter essere costretta con la forza a rinunciare al proprio proposito.
« Veniamo con te, zuccona! » sbuffò Namile, storcendo le labbra verso il basso, a dimostrazione di una palese contrarietà a tal riguardo « Anche se avremmo preferito riportarti dritta a casa... »
« Ma se ti sbagli, e quella non è la torre di Brote, facciamo subito marcia indietro e andiamo da mamma e papà, d’accordo...?! » tentò di imporre, quantomeno, quella condizione a margine della loro approvazione nei suoi riguardi « I tuoi genitori saranno preoccupatissimi... e l’ultima cosa che certamente vorrebbero, in questo momento, è che ci allontanassimo ancora da loro. »
« Non mi sbaglio. » ribadì ella, nel mentre in cui giunsero al termine di quel tetto e si ritrovarono a confronto con un piccolo balzo da compiere verso il basso, al fine di proseguire lungo il prossimo.

Balzo che, senza esitazione, e senza il benché minimo senso del pericolo, Eli si apprestò allora a compiere, salvo essere intercettata prontamente da Nami, che la fermò afferrandola per la collottola prima che potesse farsi male...

« Ti aiutiamo noi. » le suggerì, in quello che, chiaramente, più che un’offerta avrebbe avuto a doversi intendere qual un obbligo.

Così, di tetto in tetto, talvolta risalendo, per lo più ridiscendendo, le tre amiche avanzarono via via verso quella colonna di fumo indicata da Midda Elisee qual la torre di lord Brote, in un percorso decisamente alternativo ma che, tutto sommato, ebbe a garantire loro una certa protezione dalla follia della città più in basso, e di quella città che, come previsto e temuto, stava vivendo un necessario momento di panico a confronto con quanto accaduto.
Solo a meno di trecento piedi dal luogo ove, fino a poco prima, aveva avuto a sorgere una torre, che fosse quella di Brote o meno avrebbe ancor avuto a dover essere chiarito, Meri e Nami si premurarono di individuare una via utile a riportarle con i piedi per terra, calandosi dal tetto a un balcone, e dal balcone e una terrazzina collegata, poi, al livello del suolo da una scala in muratura.

« E se Tagae e Liagu si sono fatti male...?! » domandò quindi, non priva di una certa necessaria esitazione, la piccola Eli, così prossima a quello che aveva definito essere il proprio obiettivo e, in ciò, chiaramente, costretta a riflettere sulle eventualità meno gradevoli.

Meri e Nami non si sentirono di replicare a quell’interrogativo, laddove certamente troppo palese sarebbe stata la menzogna che avrebbero avuto a dover scandire nel tentativo di rassicurare la loro amichetta: entrambe ritrovatesi costrette, molti anni prima, a un terribile confronto con la morte, e con la morte della propria famiglia, esse non avrebbero potuto riservarsi alcuna speranza nel merito della sorte di Tagae e Liagu, nella disillusa consapevolezza di quanto, purtroppo, la vita raramente sa dimostrarsi caritatevole.
Tuttavia, per quanto la loro posizione psicologica, a confronto con tutto ciò, non avrebbe avuto a dover essere fraintesa qual errata, quanto ebbe a offrirsi al loro sguardo di lì a breve, girato letteralmente l’angolo, si volle offrire qual sfacciata dimostrazione di quanto, anche di fronte alla più ferrea regola avrebbero avuto a dover comunque esistere le necessarie eccezioni. O, forse ed eventualmente, qual inquietante riprova di quanto, chiaramente, anche gli dei tutti avrebbero avuto a temere la funesta ira della madre, pur soltanto adottiva, di Tagae e Liagu, quella donna che, ove qualcosa fosse occorso ai propri figli, difficilmente non avrebbe dichiarato guerra a tutto l’intero pantheon di Kofreya per riscattarne improbabilmente la sorte o, all’occorrenza, per esigere la propria vendetta: una funesta ira, invero, della quale anche gli dei avrebbero sì fatto bene ad avere timore, nel non dimenticare, in fondo, come uno dei vari nomi con i quali Midda Bontor era conosciuta proprio in quelle terre fosse quello di Ucciditrice di Dei, titolo attribuitole dopo l’incredibile vittoria da lei riportata a discapito del dio Kah... un dio minore, certo, e pur sempre un dio!

« Per tutti gli dei... » sussurrò Mera Ronae, sgranando gli occhi a confronto con l’immagine allora loro offerta.

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