Nel confronto con il proprio aspetto tanto delicato e cortese, elegante nelle proprie forme e proporzioni, Arasha figlia di Degan, nata e cresciuta in quel della città del peccato, avrebbe potuto esser fraintesa qual una donna fragile. Ma tale fraintendimento avrebbe potuto essere proprio soltanto di chi non avesse mai avuto a che fare con lei, non avesse mai avuto occasione di relazionarsi con lei.
Perché al di là del proprio aspetto tanto delicato e cortese, elegante nelle proprie forme e proporzioni, Arasha Degangor, avrebbe avuto a dover essere riconosciuta a tutti gli effetti come una figlia di Kriarya e, in quanto tale, una donna contraddistinta da una forza d’animo eccezionale, una tenacia smisurata e una caparbietà priva di rivali. Ragioni per le quali, sebbene non avesse probabilmente a potersi fraintendere caratterizzata dalla stessa pericolosità propria di una figura leggendaria qual quella della Figlia di Marr’Mahew, a confronto con la quale, comunque, ben pochi avrebbero mai potuto avere a potersi porre; ella avrebbe avuto a doversi comunque considerare una figura di tutto rispetto, capace di affrontare a testa alta qualunque avversario, e di affrontarlo, all’occorrenza, in grazia alla propria mente ancor prima che ai propri muscoli.
Dopotutto, se ella era stata in grado di gestire, in assenza di Be’Sihl, quella che in tutta la città del peccato avrebbe avuto a doversi riconoscere essere da sempre l’unica locanda estranea al controllo, e, conseguentemente, alla protezione, di un lord, ciò non avrebbe avuto certamente a occorrere in grazia al suo pur splendido viso, quanto e piuttosto alla mente celato dietro a esso, e a una mente capace di affrontare con quieta fermezza tutte le difficoltà del caso. E, del resto, il fatto che ella fosse la figlia del primo maestro d’arme di Midda Namile Bontor avrebbe pur dovuto significare qualcosa.
Per quanto, quindi, Arasha non fosse certamente una donna fragile, non nel proprio corpo e, ancor meno, nella propria anima, nel proprio cuore e nella propria mente, ella era comunque una madre. E una madre che amava sua figlia più di se stessa, più di quanto non avrebbe potuto amare Seem, e più di quanto non avrebbe potuto amare null’altro nella propria esistenza, laddove, da quando Midda Elisee era venuta al mondo, questa aveva incarnato per lei tutto il mondo, racchiudendo in sé ogni motivo utile per svegliarsi al mattino, ogni singolo giorno. In ciò, quindi, tutta la straordinaria forza d’animo propria di Arasha non poté servire a molto nel momento in cui, aprendo la porta della camera di Be’Sihl e Midda, con la quieta convinzione di trovare, ivi, tutto il gruppetto, ella si ebbe a ritrovare a confronto soltanto con un letto vuoto.
« ... »
Non un gemito, non una parola, ebbero la forza di uscire dalle sue labbra innanzi a quell’orrenda immagine. E a quell’immagine che ai suoi occhi di madre non avrebbe potuto che risultare più terrificante di un’intera orda di zombie famelici, come quelli con i quali, pur, per mesi si era dovuta confrontare al pari di tutta Kriarya molti anni addietro, durante l’anno sabbatico di Midda e Be’Sihl in quel delle terre shar’tiaghe. Perché se dietro all’immagine di un’orda di zombie famelici non avrebbe avuto a dover essere inteso null’altro che, per l’appunto, un’orda di zombie famelici, dietro a quella stanza vuota avrebbe avuto a dover essere inteso un terribile concetto: quello del non avere la benché minima idea di dove potesse essere la propria bambina in quel momento.
« ... Eli...?! » provò a chiamarla, sperando, per un istante, che tutto ciò fosse una sorta di scherzo o, magari, un giuoco condotto con la complicità dei suoi nuovi amichetti.
Soltanto un inquietante silenzio, tuttavia, ebbe a risponderle. E fu così che quella donna che non aveva battuto ciglio neppure a confronto con la minaccia dei Mahkra, la cui sola visione avrebbe indotto pazzia ai più, ebbe allora a provare un sincero senso di panico.
Con un balzo, ancor prima che con una qualche corsa, ella si ritrovò proiettata innanzi alla porta divisoria fra quella camera e la camera di Tagae e Liagu, animata dalla necessità di verificare che, magari, non fossero tutti lì...
... ma, ancora una volta, purtroppo, soltanto il vuoto ebbe ad accoglierla.
« ... Gorl... » gemette, ritrovandosi quasi ad ansimare a confronto con tutto ciò, consapevole di dover mantenere il controllo di sé, dei propri pensieri, delle proprie emozioni e delle proprie azioni, e, ciò non di meno, incapace allor a farlo.
Corse, Arasha. Corse sui propri passi, fino alla stanza che avevano destinato a Na’Heer Al-Sehliot. E, aprendone di colpo la porta, con energia sufficiente a strapparla dai propri cardini se soltanto avesse opposto la benché minima resistenza, ella non poté che ritrovarsi a essere semplicemente raccapricciata nel contemplare il nulla più assoluto.
Eli era scomparsa.
Certo, non era scomparsa da sola, nella contemporanea sparizione di Mera e Namile, di Tagae e Liagu e, persino, di Na’Heer. Ma, in quel frangente, nella mente di Arasha, figlia di Degan ma, soprattutto, madre di Eli, non poté che scolpirsi l’idea di quel pensiero: Eli era scomparsa.
Se a posteriori le avessero domandato di spiegare come fosse ritornata sino alla sala grande della locanda, ella non avrebbe saputo obiettivamente cosa dire. Perché se pur ella ebbe a ritrovarsi innanzi al resto del gruppo, tutto accadde al di fuori di una sua qualche effettiva occasione di controllo.
« Arasha... tutto bene...?! » esitò Duclar, notando un insolito pallore a contraddistinguere il suo squisito incarnito bruno.
E più della domanda dell’uomo, ad attrarre l’attenzione di tutti nei riguardi della ritornata Arasha, fu il silenzio della medesima a confronto con quell’interrogativo banale, e quell’interrogativo a confronto con il quale ci si sarebbe potuti attendere soltanto una risposta di retorico assenso o, al più, un qualche aneddoto di sorta su qualche marachella combinata dalla piccola Eli. Perché in quel silenzio, tutti ebbero allora occasione di comprendere quanto qualcosa non andasse. E non, certamente, qualcosa di banale.
« Arasha...? » tentò di richiamare la sua attenzione Seem, sollevandosi allora in piedi innanzi a lei, per afferrarle delicatamente una mano salvo trovarla gelida, simile a quella di un morto « Che succede, amore...?! Sei fredda... ghiacciata... »
Be’Sihl, a confronto con tutto ciò, avrebbe voluto potersi considerare sorpreso o stranito al pari di tutti gli altri. Ma, proprio malgrado, egli aveva trascorso troppi anni della propria vita accanto a Midda Bontor per non potersi considerare spiacevolmente assuefatto alle sue sparizioni. Ragione per la quale, innanzi alla reazione chiaramente sconvolta di Arasha, egli non ebbe a concedersi esitazione di sorta nel considerarsi già certo di quanto fosse successo, e del fatto che, evidentemente, degni figli di loro madre, e certamente degne nipoti di loro zia, i pargoli avessero avuto a dileguarsi... e, immancabilmente, la piccola Eli si fosse mossa al loro seguito.
Così quando, alfine, la donna riuscì a scandire la propria risposta, lo shar’tiagho avrebbe potuto quietamente complimentarsi con se stesso per la propria straordinaria capacità d’intuizione. Se soltanto, purtroppo, non avesse avuto ad arrabbiarsi con i propri figli per l’incredibile stolidità del proprio operato. Stolidità purtroppo palesemente ereditata da loro madre, seppur adottiva!
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