Impossibile, a posteriori, sarebbe stato stabilire quanto l’azione di Mera Ronae e Namile fosse stata provvidenziale e utile per salvare le proprie vite, e la vita di Midda Elisee insieme alle loro, e quanto no. In effetti, a confronto con una simile pioggia di detriti, grandi e piccoli, restare fermi o scappare avrebbe potuto loro riservare lo stesso fattore di rischio, in termini tali da poter, all’occorrenza, definire qual spiacevolmente vano e gratuito tutto il loro impegno.
O, per lo meno, tale avrebbe potuto essere considerato senza la presenza di Lora Gron’d alle loro spalle, e quella presenza che, nel voler cercare di trarre conclusioni di sorta da tutto ciò, avrebbe involontariamente assolto al compito di utile riprova della bontà della loro scelta e del loro operato. Perché se, nella propria fuga, Meri e Nami, ed Eli insieme a loro, erano riuscite a scamparsela senza neppure riportare un graffio; la giovane feriniana non era stata altrettanto abile o fortunata, ritrovandosi a essere letteralmente schiacciata sotto il peso di un enorme pezzo di muro di pietra, che ebbe a romperle tutte le ossa del corpo e a ridurla, né più, né meno, al pari di una frittata, in uno spettacolo ben poco piacevole e che, per loro fortuna, fu risparmiato alle ragazzine e, soprattutto, alla bambina, le quali, altrimenti, avrebbero potuto avere ottime ragioni di incubi per il resto della propria esistenza.
Quando Lora Gron’d si ritrovò a essere così schiacciata al suolo, fortunatamente, le tre erano già scomparse nella folla innanzi a lei. Ragione per la quale, quando tutto ebbe finalmente a finire, non sarebbe potuta mancare loro ragione di porsi un necessario interrogativo nel merito della sorte della loro accompagnatrice se soltanto fosse stata loro concessa occasione di potersi concentrare su di lei ancor prima che, spiacevolmente, con l’orrendo spettacolo che, allora, si presentò innanzi ai loro sguardi. Uno spettacolo come alcuno mai, entro i confini di quella capitale, vi era stato prima. Perché se pur Kriarya aveva avuto occasione di affrontare molte sventure nel corso degli ultimi decenni, mai nulla in passato si era spinto a colpirli in maniera così repentina e incontrollabile come quelle esplosioni, e quelle esplosioni che, nel giro di pochi istanti, ebbero a mutare per sempre il profilo stesso della città del peccato.
« Non guardare, Eli... non guardare. » suggerì Meri, accanto alla piccola posata finalmente a terra nel vicolo nel quale avevano trovato rifugio, allungando lesta la propria destra a coprirle gli occhi nel momento in cui, uscendo da quello stesso vicolo, ebbero così a doversi confrontare con le conseguenze di... qualunque cosa fosse lì accaduta.
« Thyres... » gemette strozzata Nami, or non più impegnata a fuggire per la vita sua e della piccola e, in tal maniera, nella posizione psicologica di poter scendere a patti con quell’orrore, e con le macerie che le stavano circondando: macerie non soltanto in termini di edifici, quanto e soprattutto di persone.
Kriarya era stata ferita. Violentemente, brutalmente, inaspettatamente. E molte, troppe ebbero a doversi contare, in quel giorno, le vittime di tali accadimenti, di qualunque natura essi avrebbero avuto a doversi intendere.
E così, innanzi ai loro attoniti sguardi, ebbe a dispiegarsi la desolazione conseguente a quel cataclisma, fra i gemiti dei feriti, e i pianti di coloro che, tanto incomprensibilmente, avevano perduto una persona amata.
« Mamma e papà...?! » sussurrò la piccola Eli, con gli occhietti ricoperti dalla mano di Meri, sforzandosi di non avere a pensare al peggio a confronto con tutto quello e, ciò non di meno, non potendo ovviare ad appellarsi, immediatamente, al pensiero della propria famiglia.
« Stanno sicuramente bene. » la rassicurò Nami, tornando a imporsi una certa freddezza emotiva e mentale, nel rendersi conto di non potersi permettere di scoppiare in lacrime per quanto, francamente, in quel frangente avvertisse a sua volta simile, infantile esigenza, probabilmente ancora troppo giovane per poter reagire con quella maturità che pur si stava sforzando di rendere propria.
« Ne sei sicura...? » domandarono in un muto scandire le labbra di Meri, non volendo contraddirla innanzi alla piccola e, ciò non di meno, temendo che la propria gemella stesse esprimendosi in maniera inopportuna a tal riguardo, riservandosi una metaforica scommessa più alta di quanto non sarebbe mai stata in grado di coprire con quanto da lei posseduto.
E benché, in effetti, non avrebbe potuto riservarsi alcuna assoluta certezza a tal riguardo, ben lontana dal comprendere cosa potesse essere successo; Namile volle comunque essere sicura della propria affermazione, nella necessità di escludere una qualunque ipotesi alternativa, e una qualunque ipotesi alternativa che avrebbe potuto allor vedere quella piccola resa improvvisamente orfana, loro pari.
Se Thyres e gli dei tutti esistevano, Nami era certa di quanto nessuno, alla locanda, fosse rimasto coinvolto in quella strage catastrofica! Perché non avrebbero dovuto permettere a un’altra figlia di avere a dover piangere la propria famiglia per così come anche a loro era accaduto più di cinque anni prima.
« Seguitemi! » propose, così, alla propria gemella e alla loro protetta, tornando verso l’interno del vicolo, memore, là in fondo, di aver veduto qualcosa di utile per permettere loro di trovare conferma nel merito delle sue parole.
Così, sebbene in quel frangente Meri non avesse la benché minima consapevolezza di cosa potesse star passando per la mente della propria gemella, la fiducia in lei avrebbe avuto a dover essere considerata tale da essere pronta a seguirla anche in capo al mondo... e, ancor più, in una direzione utile ad allontanarle da tutto quell’orrore.
Tornate sui propri passi, verso il fondo del vicolo, le tre ebbero allora a porsi a confronto con una vera e propria montagna di rifiuti, così come, sovente, nella maggior parte dei vicoli di Kriarya, erano soliti accumularsi. Una montagna di rifiuti la cui presenza si sarebbe potuta avvertire, a livello olfattivo, anche a centinaia di piedi di distanza se soltanto, più in generale, l’intera città del peccato non avesse a odorare in maniera del tutto assimilabile a quella. E una montagna di rifiuti a confronto con la quale, senza riservarsi troppe inibizioni, Namile ebbe allora a slanciarsi, per iniziare un’improbabile scalata.
« Dove stiamo andando...?! » domandò Eli, non comprendendo il perché di tutto quello e desiderando, allora, soltanto poter tornare a casa dai propri genitori.
« In alto. » replicò Nami, senza esitazione alcuna, voltandosi in direzione della sorella e della bambina per spronarle a seguirla con un cenno della mano « Venite! Questa pila di rifiuti è così alta che arriva a sfiorare il tetto di uno dei due edifici... »
« Andiamo... » sospirò Meri in direzione di Eli, chinandosi su di lei per avere a prenderla in braccio in quella risalita che avrebbe potuto altrimenti risultare troppo pericolosa per lei, intuendo ora il senso di tutto ciò e sperando che la positività della propria gemella non avesse a doversi scoprire infondata « ... da lassù potremo vedere meglio la città e assicurarci che la locanda sia illesa. »
Dopo aver trascorso gli ultimi cinque anni della propria vita ad arrampicarsi lungo gli alberi della Jol’Ange, per le due figlie di Nissa risalire lungo quella pur incostante montagna di rifiuti fu, tutto sommato, sufficientemente semplice, sebbene per nulla piacevole, soprattutto nella troppo morbida e viscida consistenza di tutto ciò al di sotto dei loro piedi e, troppo spesso, anche al di sotto delle loro ginocchia, nel finire, sovente, per affondare lì in mezzo.
Come suggerito da Namile, tuttavia, dopo poco le tre ebbero a conquistare la cima dell’edificio più basso fra i due circostanti, dal tetto del quale, ancora, poterono avere occasione di passare a un secondo ancor superiore e, da lì, a un terzo, sino a raggiungere, in breve, una quota sufficiente per potersi riservare un’effettiva possibilità di valutazione nel merito di quanto occorso in città... nel bene e, soprattutto, nel male.
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