« Io forse oggi morirò... » sospirò quindi, osservando la mezza lancia rimastale in mano e, con essa, le minime possibilità di sopravvivenza rimastale « ... ma, quantomeno, tu verrai con me! » soggiunse, e, nel mentre di tali parole, non mancando di proiettare con tutta la propria forza quella mezza lancia dritta contro il proprio attuale interlocutore, con un gesto tanto potente quanto inatteso a confronto con il quale egli non poté far nulla.
Così, mantenendo istantaneamente la parola data, ella ebbe a strappare la vita dal corpo di quel fanatico, nel trapassargli il cuore, e l’intero busto con esso, da parte a parte, a non lasciar sprecata quella mezza lancia così rimastale e, anzi, a concederle un ultimo momento di gloria.
Un gesto, quello di lei, al quale ebbe a far seguire un rapido movimento di entrambe le mani in direzione dei due corti pugnali presenti ai propri fianchi, corti pugnali che, ancor senza battere ciglio, ebbe a proiettare in un unico, fluido gesto in direzione delle due persone, un uomo e una donna, ai fianchi della propria ultima vittima, andando a colpirli entrambi con precisione chirurgica nel bel mezzo della gola e, in ciò, sancendone la fine.
Inutile, dopotutto, sarebbe stato per lei avere a conservare quelle armi qual motivo d’ornamento sul proprio corpo, là dove, come ormai ben accettato, la sua fine avrebbe avuto a doversi intendere ormai prossima. Senza contare quanto, comunque, attorno a lei avesse lì accumulato un certo numero di cadaveri, e di cadaveri che, almeno nelle prime cariche, avrebbero avuto a doversi riconoscere tutti armati. Motivo per il quale, comunque, non avrebbe avuto a correre il rischio di restare disarmata prima di avere a riconsegnare la propria anima fra le mani degli dei.
« Avanti, cani maledetti! » tuonò quindi, rotolandosi al suolo per sfuggire a una nuova lingua di fuoco e, al contempo, per raccogliere una spada, precedentemente impiegata in sua ipotetica opposizione « Io sono H’Anel, figlia di Ma’Vret Ilom’An, il guerriero conosciuto con il nome di Ebano. E vi giuro, su tutto ciò che ho di più caro, che non me ne andrò da questo mondo senza condurre meco tutti coloro che sarò in grado, nel nome di Midda Namile Bontor! »
Se quella doveva essere la fine, H’Anel si sarebbe allor impegnata a renderla quanto più possibile degna del nome di suo padre e di quello della Figlia di Marr’Mahew, affinché di lei, e di quel giorno, si potesse avere a parlare ancora a lungo negli anni a venire.
Non che ella desiderasse allor morire. Non che ella bramasse di non poter più tornare a casa, di non poter più riabbracciare suo fratello M’Eu. Ma, semplicemente, in quanto guerriera, in quanto avventuriera e in quanto mercenaria, ella era consapevole di quanto ogni propria missione avrebbe potuto essere l’ultima. E, necessariamente, aveva accettato tutto ciò da molto tempo, là dove, altrimenti, non si sarebbe potuta permettere di vivere la vita che aveva scelto qual propria.
E, innanzi allo sguardo di tutti i propri dei, ella non mancò di dimostrare allora il suo valore. E di dimostrarlo, se possibile, con ancor più vigore rispetto a quanto compiuto sino ad allora.
Come una stella capace di rifulgere con maggiore forza prima di spegnersi, ella ebbe a mostrare a quei fanatici il proprio splendore, mai accusando uno solo fra gli attacchi che pur ebbero a raggiungerla e, anzi, riservandosi ove possibile maggior impeto a confronto con ogni scarica di dolore: degna figlia di suo padre, degna erede di Midda Bontor.
Purtroppo, però, la sproporzione non avrebbe potuto essere allor colmata né da Ebano in persona, né dalla stessa Ucciditrice di Dei. E per quanto a dozzine caddero sotto i suoi colpi, vedendola coprirsi interamente del loro sangue e di ogni loro fluido corporeo, ella non avrebbe potuto mai vincere quello scontro...
... non, soprattutto, nel momento in cui gli evocatori nelle retrovie ebbero a completare la propria opera, e a evocare il proprio campione.
« Dei... » gemette ella, passandosi la mancina sul volto a cercare di ripulirsi dal sangue che le annebbiava la vista, nel timore di non aver colto correttamente quanto allor stava emergendo dal terreno dietro alla prima linea di nemici.
Purtroppo per lei, il suo sguardo non l’aveva tradita. E a confronto con quella creatura, proprio malgrado, ella fu certa di sapere in che maniera sarebbe allor morta.
« E’ inutile che raccomando l’anima ai tuoi dei! » reagì una donna fra la schiera della Progenie della Fenice, ridendo con sadica soddisfazione a confronto con lo sgomento allor colto sul volto della propria antagonista « Essa non li raggiungerà mai...! »
Vi era una ragione per la quale Anmel Mal Toise era ricordata come l’Oscura Mietitrice, appellativo atto a rendere palese la propria relazione con la morte. E tale ragione avrebbe avuto a doversi rifare a un’antica rappresentazione dell’idea stessa di morte, qual una figura ammantata di nero che, in grazia a una lunga falce, soleva miete le vite dei mortali così come un contadino avrebbe potuto fare con le spighe di grano in un campo.
Un’immagine sicuramente evocativa, quella così presentata, che non avrebbe avuto necessità di particolari spiegazioni, di reali analisi, e che pur, comunque, avrebbe potuto vantare a propria volta un’ulteriore etimologia, e un’etimologia offerente riferimento a un mito ancor antecedente: un mito atto a ricordare l’esistenza di una genia di antiche creature non meglio descritte, e che pur nel corso dei secoli, dei millenni, avevano finito, come molte altre, a essere associate all’idea propria delle ombre, delle tenebre della notte, abituate a nutrirsi non di carne e di sangue, quanto e piuttosto di anime. Creature, probabilmente, non poi così distanti da quegli alfieri l’esistenza dei quali era stata loro narrata da Tagae e Liagu, e da tutti gli altri loro compagni di disavventura, al ritorno dal proprio viaggio nel regno dei morti, o più probabilmente da una sorta di limbo antistante il regno dei morti, nel merito della terrificante fine imposta alla disgraziata Nass’Hya, la quale, pur già soltanto spirito, aveva incontrato una seconda e più drastica morte, e una morte che le avrebbe allor impedito persino di raggiungere la gloria dell’aldilà al cospetto degli dei tutti.
In verità, né Tagae, né Liagu, né alcun altro dei loro compagni di disavventura, avevano avuto effettiva occasione di contemplare l’aspetto di un alfiere, per poter confermare o meno una qualche correlazione con l’idea alla base del mito dell’Oscura Mietitrice. E, in ciò, H’Anel non avrebbe potuto asserire, in fede, che quanto stesse emergendo in quel momento dal suolo innanzi a lei avesse, effettivamente, a doversi intendere qual un alfiere. Ciò non di meno, e certamente, quella creatura, e quella creatura alta non meno di nove piedi, e forse ancor più, non avrebbe potuto ovviare a incarnare perfettamente quella leggenda, con il proprio manto di tenebra a coprire una figura non meglio riconoscibile, e con una lunga e inquietante arma simile a una falce sorretta nella propria destra, con la fierezza propria di un re o di un dio.
Un’immagine decisamente evocativa, quella così presentata, che, unita alle parole scandite da quella sadica donna della Progenie della Fenice non avrebbe potuto ovviare a evocare lo scenario peggiore, e lo scenario della morte della sua stessa anima immortale a confronto con quella terrificante creatura. E per quanto, innanzi a tutto ciò, più che comprensibile sarebbe stato un suo possibile crollo emotivo, dopo un fugace istante di necessario smarrimento H’Anel ebbe ancora a reagire, ed ebbe a reagire gettando la propria spada, quasi fosse un pugnale o una lancia, dritta contro il petto della propria ultima interlocutrice, a imporle necessario silenzio...
« Inizia ad andare avanti tu, lurida cagna... » ringhiò, a dimostrare quanto, malgrado tutto, ella non avrebbe avuto a dover essere fraintesa qual già sconfitta.
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