« Alla tua sinistra! » gridò la Figlia di Marr’Mahew.
Un grido, il suo, che parve a dir poco controproducente, nell’essere destinato a mettere in guardia la propria stessa avversaria nel confronto con l’imminenza della sua venuta, del suo attacco, e di quell’attacco che, in effetti, offrì evidenza di voler muovere in quieta coerenza con quell’annuncio, balzando con un rapido gesto verso la propria destra, per poter così caricare non tanto un nuovo colpo di spada, quanto e piuttosto, un più brutale gancio, e un gancio che, ove condotto a compimento con il suo arto in nero metallo dai rossi riflessi, avrebbe potuto comunque causare notevoli danni, finanche spaccare un cranio.
E se, tanto in conseguenza al di lei gesto, quanto e ancor più motivata da quella frase dal sapore di allarme, Rín ebbe a reagire con una certa prontezza sul proprio fronte mancino, non esitando ed ergendo in tal direzione una uova barriera energetica utile a proteggere tanto se stessa, quanto e ancor più Be’Sihl, alle sue spalle; fu questione di un fugace istante, dell’intervallo proprio di un rapido battere di ciglia, che la donna guerriero, prima apparentemente impegnata a caricare un pugno sulla propria destra, ebbe a scomparire da lì, per proiettarsi, inaspettatamente, sul lato opposto, alla destra della propria antagonista, e lì dimostrarsi pronta a colpirla, e a colpirla, ora, con un terribile tondo roverso, che avrebbe condotto quella lama bastarda dagli azzurri riflessi a tagliare letteralmente in due i loro addomi, senza mostrare pietà alcuna.
« Porta i miei saluti a Thyres, sorella... » sussurrò ella, nel sferrare il proprio colpo mortale.
Un’analisi utile a comprendere come ciò fosse stato possibile, avrebbe potuto allor giustificare in maniera assolutamente razionale l’accaduto, e quell’accaduto a confronto con il quale altresì non avrebbe potuto ovviare a sorgere l’idea di un qualche genere di magia, prendendo in considerazione una mirabile combinazione di agilità, di velocità e, soprattutto, di abilità a sviare l’attenzione dell’avversaria: una combinazione adeguatamente misurata nelle proprie componenti per garantire, alla futura Ucciditrice di Dei e Campionessa di Kriarya e di Lysiath, da un lato, di concentrare l’attenzione della propria antagonista e, conseguentemente, il suo impegno difensivo, soltanto su un fronte ben definito, e, dall’altro, di riservarsi l’occasione utile a giungere, con il proprio slancio iniziale, sino alla parete alla propria destra, soltanto per avere, lì, a trovare quel necessario punto di appoggio utile a rimbalzare esattamente dal lato opposto della stanza, effettuare un’improponibile carambola e ritornare a proporsi pronta a colpire il proprio obiettivo, e a colpirlo, ora, non con il proprio già temibile pugno, quanto e piuttosto con la propri ancor più letale spada.
Ovviamente, dal punto di vista di Nóirín Mont-d'Orb, pur consapevole del fatto che una spiegazione logica avrebbe avuto a dover essere lì associata a quell’incredibile operato, tutto ciò non avrebbe potuto che essere comunque accettato e banalizzato proprio qual conseguenza di una qualche magia, o forse di una qualche mancanza di rispetto delle leggi della fisica a opera del tempo del sogno. Un atto di fede, il suo, non tanto in conseguenza a una qualche strana ignorante superstizione, quanto e piuttosto nel più totale disinteresse a concedersi occasione di analizzare razionalmente quegli eventi, là dove permettersi una qualche occasione di ulteriore distrazione a tal riguardo avrebbe necessariamente rallentato la sua reazione, e una reazione che, se soltanto avesse desiderato avere a salvarsi, avrebbe dovuto essere più che rapida, per non dire istantanea. E così, offrendo il proprio miglior viso a un sì pessimo gioco, ella non perse tempo a tentare di comprendere come Midda fosse riuscita a trasferirsi istantaneamente da un punto a un altro, ma si limitò a creare un nuovo campo di forza, e un campo di forza che, allora, ebbe a esplodere, simile a una semisfera, lungo tutto il proprio fronte anteriore, per andar a prevenire qualche nuova controreazione da parte della donna guerriero e sperare, comunque, di avere a respingerla.
Così fu. E la Figlia di Marr’Mahew, pur degna d’ogni ammirazione, lode e plauso per il proprio operato, si ritrovò a essere ancora una volta respinta all’indietro, travolta dall’impeto, pur volutamente non letale, di quel colpo, precipitando nuovamente sul fronte opposto della stanza...
« Be’S... » quasi gridò, allora, Rín, nell’appellarsi al proprio compagno d’arme ora con tono tale da non riuscire più a celare la propria più che giustificabile ansia « Nel nome di qualunque dio in cui tu possa credere, portaci via di qui! » lo supplicò, consapevole di quanto, probabilmente, un nuovo attacco da parte della versione alternativa della propria gemella sarebbe alfine giunto sgradevolmente a destinazione.
Fu in immediata conseguenza di quell’urlo, e di quell’urlo a stento trattenuto, che il mondo attorno a loro ebbe improvvisamente a precipitare nell’oscurità, e in un’oscurità assoluta, così anomala nel confronto con il tempo del sogno. Perché se nel tempo del sogno era l’indeterminatezza a regnare abitualmente sovrana, tale indeterminatezza avrebbe avuto a doversi riconoscere solita esprimersi in quell’ormai consueta, per quanto inquietante, coltre nebbia allorché un qualunque, e forse più scontato, manto di tenebra come quello così venutosi a presentare, forse nel considerare, a modo proprio, anche l’idea stessa dell’oscurità qual una condizione, e una condizione troppo definita per poter essere appropriata a tutto ciò.
Quell’oscurità, quindi, avrebbe avuto a dover essere espressione di un istantaneo trasferimento da qualche altra parte, o, per meglio dire, di un’istantanea rimodulazione del mondo a loro circostante, con subitaneità tale che, in effetti, tutto ciò che le era stata concessa occasione di cogliere fu un improvviso oscuramento, quasi qualcuno avesse avuto a spegnere la luce esattamente là dove pocanzi si trovavano...
« Dove siamo finiti...?! » domandò allora la donna dai rossi capelli, nell’invocare un’occasione di confronto verbale con lo shar’tiagho, e con colui che, a ben vedere, avrebbe avuto a dover essere inteso responsabile per tutto ciò.
Ma, a non permettere alcuna flessione della crescente inquietudine propria di quel momento, Be’Sihl non ebbe a offrirle alcuna risposta. E, deglutendo per tentare di soffocare l’ansia che stava risalendole dal profondo delle viscere sino al petto, Nóirín ebbe a constatare, spiacevolmente, quanto la pressione della di lui mano sulla propria spalla, ormai, non avesse più a potersi riconoscere qual presente.
« Be’Sihl! » esclamò quindi, voltandosi rapida verso di lui, e lasciando materializzare fra le proprie mani una torcia elettrica, nella volontà di fendere quelle tenebre e avere occasione di verificare cosa potesse lì star accadendo.
Proprio malgrado, nel voltarsi e nel proiettare un fascio di luce in tal direzione, ella ebbe soltanto occasione di constatare il nulla assoluto. Ma non il nulla assoluto che avrebbe potuto essere proprio di una stanza vuota, quanto e piuttosto il nulla assoluto di un’amplia, smisurata distesa di pietra, al di sopra della quale niente avrebbe potuto essere inteso presente, e i confini della quale, ancor peggio, non avrebbero potuto essere in alcuna maniera distinti.
« Che cosa accidenti è successo...?! » sussurrò Rín, per nulla soddisfatta a confronto con la scomparsa improvvisa di Be’Sihl, a confronto con la quale la situazione, e quella situazione già tutt’altro che semplice, non avrebbe potuto ovviare a complicarsi parecchio.
Ma allorché il silenzio assoluto, e quel silenzio assoluto più che giustificato da quel contesto, una voce ebbe a sopraggiungere alle sue spalle per offrire risposta a quel suo interrogativo. E una voce che, proprio malgrado, aveva già avuto occasione di ascoltare nel corso della propria vita... e, in particolare, nel corso della propria prima visita al tempo del sogno.
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