Un nuovo bacio, quello fra loro, che, seppur contraddistinto inizialmente da una grande dolcezza, in breve si era ritrovato caratterizzato da un appassionato trasporto, e un trasporto che, per un momento, li vide quasi vacillare, nel desiderio di lasciarsi allor cadere sul letto e, ciò non di meno, nella consapevolezza che, così facendo, avrebbero fatto un bel disastro con il vassoio appoggiato lì sopra.
« Questi tuoi baci mi ispirano viziose brame... » sorrise alfine ella, ansimando appena contro le sue labbra nello sforzo di separarsi da lui.
Be’Sihl non rispose, frastornato da quel bacio e da tutto quello in generale: una situazione, quella a confronto con la quale si era ritrovato costretto a essere, che gli stava facendo vivere un vero e proprio maremoto di emozioni, passando dalla gioia al dolore, dalla tristezza all’entusiasmo, dall’eccitazione alla disperazione.
Deeh’Od Eehl-Ei era morta. Era morta molti anni prima. Lustri... decenni ormai. E nulla di tutto quello, in verità, avrebbe potuto essere frainteso positivo per lui. Non nel precipitarlo improvvisamente un quanto avrebbe potuto essere un sogno stupendo, e pur un sogno stupendo aggrapparsi al quale non sarebbe stato né giusto, né sano. Sano per la sua stessa salute mentale, giusto nel confronto con il ricordo di Midda Bontor, e di colei alla quale, ora, egli aveva votato il proprio cuore.
Eppure, proprio malgrado, se pur avrebbe potuto ignorare qualunque rievocato ricordo del proprio passato con Midda, egli non avrebbe mai potuto restare indifferente a quell’ombra di Deeh’Od. Perché se i ricordi di Midda avrebbero potuto essere accantonati nella quieta consapevolezza di quanto, comunque, la vera Midda avesse ancor a far parte della propria esistenza, e, soprattutto, avesse bisogno di lui; ogni fugace visione di Deeh’Od avrebbe avuto a dover essere considerata pari a un dono incomparabile e irripetibile, nell’altresì tragica certezza di quanto, terminato ciò, ella sarebbe scomparsa nel nulla, per sempre.
« Se soltanto non dovessimo partire per Mo-Tiph, probabilmente non ti offrirei occasione di far colazione, in questo momento. » sospirò la donna, scuotendo appena il capo e separandosi da lui o, per meglio dire, spingendolo delicatamente via da sé, nella necessità di porre un po’ di spazio fra loro per riuscire a obbligarsi a un certo contegno « Ma un lavoro è un lavoro. Ed è bene provare a concentrarsi sul potare a termine questo lavoro, prima di concederci ulteriori possibilità di... distrazione. » ribadì, ammiccando verso di lui e muovendosi in direzione del proprio lato del letto, per potersi lì accomodare, prendendo in mano, poi, il proprio piatto, animata dalla volontà di consumare la propria colazione prima di ripartire « Quindi... questa mattina dovrai accontentarti soltanto della dolcezza di questa frutta, mio caro, e di nulla più. E fare tesoro del ricordo di questa notte, giacché non ci saranno altre occasioni simili sino al termine del nostro viaggio. »
« ... Mo... Tiph...?! » gemette allora l’uomo, colto così in contropiede da quel nome da sentirsi prossimo a svenire.
Mo-Tiph: città del regno di Far’Ghar, antagonista naturale del regno di Shar’Tiagh, non soltanto per la propria prossimità geografica, quanto e piuttosto per una visione decisamente antitetica della vita, della società, della cultura e della religione, in termini tali da non prevedere la benché minima opportunità di dialogo fra loro.
Erano trascorsi decenni dall’ultima volta che Be’Sihl aveva udito quel nome. Erano trascorsi decenni dall’ultima volta che Be’Sihl aveva pensato a quel nome. Anche perché a quel nome era legato indissolubilmente il ricordo peggiore di tutta la propria vita.
« No... » scosse il capo, impallidendo malgrado il colore scuro della propria pelle, e quella tonalità più marcata rispetto alla media shar’tiagha, in grazia al sangue di sua madre Ras’Meen, le cui origini avrebbero avuto a doversi ricercare non tanto in Shar’Tiagh, quanto e piuttosto nei regni desertici centrali « Non può essere... » insistette egli, ritrovandosi a essere per un momento cieco e sordo al mondo circostante a confronto con l’orrore suscitato da quel nome e, soprattutto, dalla consapevolezza di quanto, purtroppo, quello avesse a dover essere riconosciuto, in effetti, qual il giorno maledetto per eccellenza « Non voglio... non questo... » continuò, quasi vittima di una crisi isterica, nel voltarsi confusamente e nel muoversi incerto verso la porta, verso l’unica porta presente nella stanza, la stessa da cui Deeh’Od era entrata poco prima.
« Be’Sihl! » esclamò allora la donna, sgranando i propri meravigliosi occhi nocciola e ambra, presa alla sprovvista da quella reazione da parte del proprio compagno, nonché futuro sposo, e da una reazione assolutamente inedita, che non avrebbe potuto ovviare a farla sinceramente preoccupare, nell’impossibilità a comprenderne le motivazioni « Che succede, amor mio...? » domandò quindi, abbandonando il piatto sul letto e subito levandosi in piedi, per correre verso di lui carica di amorevole premura nei suoi riguardi « Non ti senti bene...?! »
Il tempo del sogno aveva esagerato quella volta. E Be’Sihl non desiderava restare in quel ricordo un solo istante di più del dovuto, malgrado l’incommensurabile amore da lui provato per Deeh’Od.
Perché se difficile sarebbe stato lasciarla, sicuramente peggio avrebbe avuto a dover essere inteso restare lì con lei, continuando a vivere quella giornata, quelle ore... e quelle ultime ore della sua vita. Giacché quella mattina, la mattina nella quale il tempo del sogno l’aveva crudelmente proiettato, non era una fra le tante mattine della propria giovinezza, e della propria giovinezza accanto alla donna da lui amata, alla donna che sarebbe dovuta divenire sua moglie. No. Quella era la mattina dell’ultimo giorno che era stato loro concesso di trascorrere insieme, prima che ella fosse brutalmente uccisa innanzi al suo sguardo inerme.
“Devo andarmene... devo andarmene di qui...” pensò Be’Sihl, francamente disperato, continuando a camminare senza una vera e propria direzione e, addirittura, chiudendo allor gli occhi, nella speranza di riuscire a concentrarsi su un altro ricordo, un altro ricordo qualunque, fosse anche quello della propria stessa morte durante il combattimento contro Desmair, là dove, francamente, avrebbe preferito morire altre mille volte lui stesso piuttosto che ritrovarsi costretto a rivivere anche e soltanto una sola volta la morte di Deeh’Od.
Purtroppo come già pocanzi, il tempo del sogno parve non desiderare più rispettare il proprio consueto modo di agire, in termini tali per cui, allorché sfumare, dissolvendosi in una nebbia indefinita, il mondo attorno a lui continuò a restare concreto, solido, reale come fosse stato a tutti gli effetti la sua vera dimensione.
E nel muoversi così alla cieca, nonché animato da tanto intimo sconvolgimento, Be’Sihl Ahvn-Qa si ritrovò a giungere la ripida gradinata presente fuori da quella porta prima che Deeh’Od potesse raggiungerlo, prima che la di lei mano potesse afferrargli una spalla o un braccio, per arrestarlo, per impedirgli di porre il proprio piedi in fallo. Ragione per la quale, improvvisamente, il pavimento ebbe a scomparire da sotto di lui ed egli, senza alcuna possibilità di ovviare a ciò, nella più completa inconsapevolezza a tal riguardo, ebbe a cadere...
« Be’Sihl! »
Il proprio nome, gridato dalla voce di Deeh’Od, fu così l’ultima cosa che egli ebbe a udire, prima di precipitare nuovamente nell’oscurità.
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