11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

sabato 4 settembre 2021

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« Della mia famiglia...?! » ripeté per un attimo incerto il biondo, non cogliendo almeno all’inizio il particolare accento posto dall’altro sul pronome possessivo lì impiegato.

Un pronome tutt’altro che causale, là dove, volendo far riferimento alla loro famiglia allargata, al loro clan, non sarebbe stato declinato certamente in quei termini. E un pronome che egli ebbe allor a comprendere dopo averci riflettuto un istante, nell’escludere in maniera abbastanza banale le alternative dall’annovero dei possibili amanti di Lys’sh, innanzi alla smentita così presentatagli da colui che, sino a quel momento, aveva considerato qual tale.

« ... figlio d’un cane! » strabuzzò quindi gli occhi, nell’arrivare alla verità, e a una verità sufficientemente ovvia ma nel merito della quale, sino ad allora, non si era riservato opportunità alcuna di riflessione.
« Eheheh... » ridacchiò l’altro, divertito dalla reazione dello stesso a confronto con l’unica, ineluttabile conclusione alla quale avrebbe potuto allor sospingersi.
« Per carità... sono felicissimo per lui! » sottolineò, a scanso di ogni possibilità di equivoco « Ma... avrebbe anche potuto dirmelo! » incalzò, non negandosi un minimo di risentimento per quel segreto così mantenuto nei suoi confronti.
« Mah... » sospirò il figlio di Ebano, stringendosi appena fra le spalle « Più che una sua scelta, penso che sia stata lei a preferire mantenere una certa discrezione attorno all’argomento, almeno per ora. » tentò di difenderlo, cercando di giustificarne il silenzio « Dopotutto abbiamo ben visto il rapporto sororale che esiste fra Lys’sh, Midda e Duva... e, probabilmente, ha preferito non sbandierare immediatamente la cosa ai quattro venti per ovviare di concedere occasione di spettegolare alle amiche per qualcosa che magari neanche avrà a durare a lungo. Chi può dirlo...?! »
« E quindi Midda e Duva non sanno nulla...?! » domandò Be’Wahr, un po’ sorpreso da tutto ciò.
« A te chi ha raccontato di me e Lys’sh...?! » ammiccò l’altro, divertito da quanto ora il biondo stesse andando in confusione, perdendosi nel proverbiale bicchier d’acque.
« ... oh... » commentò quindi lo stesso, ancora strabuzzando gli occhi « ... sono state loro, in effetti, domandandomi se avessi occasione di confermare la cosa! »
« Appunto. » sorrise M’Eu, stringendosi appena fra le spalle « Anche loro hanno provato ad andare per esclusione, e anche loro sono arrivate a me... con buona pace per la verità delle cose. » sottolineò, non privo di una certa ironia a margine della situazione « E prima che tu me lo possa chiedere, non ho mai detto nulla perché, in fondo, non sono affari miei. Ti pare...?! »

Consumato il primo pasto della giornata, e un primo pasto della giornata, come di consueto, a base di carne e di frutta secca, Be’Wahr e M’Eu conclusero quel loro momento di faceto dialogo attorno alle frequentazioni di letto della loro compagnia, per tornare al tempo presente, al luogo presente e, in particolare, alla loro missione...
... e a una missione che, finalmente, dopo tanto peregrinare, avrebbe avuto occasione di entrare nel vivo.

A dispetto della maestosità, ormai distrutta, di quella che avrebbe avuto a dover esser riconosciuta qual la facciata principale della fortezza fra i ghiacci, Fath’Ma aveva loro spiegato quanto quell’edificazione avesse a doversi immaginare simile a una pianta, e a una pianta radicata fra le cime di quelle montagne. Una pianta, quindi, le radici della quale, per l’appunto, avrebbero avuto a diramarsi lungo tutto il territorio lì circostante, a fondersi nello stesso e a presentare, di conseguenza, diverse vie d’accesso secondarie a quell’unico cuore centrale. Vie secondarie molte delle quali, nel corso dei secoli, dei millenni, erano andate perdute per cause più che naturali, ma una delle quali, quella più prossima al blocco centrale, avrebbe avuto a doversi intendere ancor accessibile e usufruibile da chi avesse saputo ove trovarla. E Fath’Ma, un tempo ridotta a essere serva del semidio lì imprigionato, sapeva perfettamente dove trovarla... ed era stata ben in grado di trasmettere questa conoscenza ai due avventurieri, per quanto, obiettivamente, mai avrebbe avuto a immaginare che qualcuno sano di mente avesse avuto a voler accedere, nuovamente, a quel luogo maledetto.
Dimenticata dietro a una vetta minore, così, avrebbe avuto a poter essere ritrovata, e venne allor ritrovata da parte di Be’Wahr e M’Eu, una porta di dimensioni inferiori rispetto allo smisurato portale d’ingresso, e una soglia, chiaramente, non concepita per un dio, quanto e piuttosto per un essere umano. Una porta che, al di là della neve accumulatasi davanti a essa, e che costrinse i due a un certo lavoro di ben poco ingegno per liberarsi la via, non avrebbe avuto a dover essere riconosciuta qual protetta da particolari meccanismi di difesa o trappole di sorta, là dove, in fondo, quel luogo, quella fortezza, era stata edificata al solo scopo di trattenere al suo interno qualcuno, per difendere il mondo, e nella fattispecie di quel caso specifico la sua genitrice, da quel qualcuno e non, certamente, viceversa.

« E così ci siamo... » avvisò Be’Wahr, quando la via d’accesso alla fortezza fu finalmente sgombra e a loro nulla più sarebbe toccato che attraversarla « ... sicuro di volermi seguire?! » domandò, allora, all’indirizzo del proprio compagno di viaggio, del sodale con cui, pur, sino a quel momento aveva affrontato qualunque ostacolo, qualunque imprevisto « Per quanto ne sappiamo, questo potrebbe anche essere un viaggio di sola andata... »
« ... e dov’è la differenza rispetto al solito?! » banalizzò per tutta replica M’Eu, con un sorrisetto divertito a confronto con il monito così rivoltogli « Avanti: e se questa dovrà essere la nostra ultima avventura, assicuriamoci quantomeno che ne valga la pena! » sancì, con quell’entusiasmo tipico della sua giovane età, e quell’entusiasmo che pur non avrebbe avuto a dover essere frainteso, nel suo caso, qual espressione di ingenuità, di inconsapevolezza, avendo egli già avuto modo di affrontare, negli ultimi anni, così tante possibili occasioni di morte da non poter essere certamente riconosciuto qual un’esordiente alle prime armi.

Consapevoli quindi, e invero come sempre, di quanto quel momento avrebbe potuto essere uno degli ultimi della loro vita, ma non per questo disposti a lasciarsi intimidire, a lasciarsi bloccare dalla paura, là dove, altrimenti e per estensione, avrebbero avuto a doversi rifiutare persino di lasciare il proprio letto, rinchiudendosi nelle proprie stanze fino a quello che, comunque e ineluttabilmente, sarebbe stato l’ultimo e inderogabile appuntamento per chiunque; M’Eu e Be’Wahr attraversarono quella soglia e seguirono quieti il lungo, lunghissimo corridoio oltre la stessa, diretti al cuore del complesso. Un corridoio tutt’altro che disagevole, ben distante da quella grotta nella quale si erano ritrovati quasi intrappolati, e che, in effetti, ebbe anche a essere accompagnato lungo tutta la propria estensione dalla tutt’altro che sgradevole presenza di lampade a olio, utili a rischiarare i loro passi e a concedere loro l’illusione di quieta serenità all’interno di quel luogo, e di quel luogo che pur mai avrebbe avuto a poter essere frainteso qual contraddistinto da quiete o da serenità, per così come anche la lunga sfilata di spettri della notte passata avrebbe potuto quietamente comprovare.
Spettri che non ebbero a comparire innanzi al cammino dei due avventurieri, se non nell’eccezione rappresentata da una giovane donna, dall’aspetto semplicemente sublime, che ebbe ad attraversare il loro cammino in maniera del tutto improvvisa, comparendo dalla parete alla loro destra e scomparendo in quella alla loro sinistra come se nulla fosse accaduto, e in nulla offrendo loro attenzione. Non perché essi non fossero visibili al suo sguardo, e a quello sguardo che fece sussultare i cuori di entrambi, a confronto con la bellezza di due occhi come mai avevano avuto occasione di vedere nella propria vita, quanto e piuttosto perché, evidentemente, del tutto priva d’ogni vaga traccia di senno, utile a permetterle di comprendere quanto presente attorno a lei: certamente una delle innumerevoli spose di Desmair, una delle incalcolabili vittime di quel mostro, e una di quelle che, proprio malgrado, doveva aver ceduto alla follia molto prima che alla morte, in ciò continuando a vagare, anche dopo la propria fine, fra quei corridoi, senza una qualche reale motivazione, senza un effettivo scopo.

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