L’organizzazione dei turni di guardia alle otto porte della fortezza si dimostrò essere strutturata su tre turni di circa otto ore l’uno, benché, in quella particolare realtà, non avesse a esistere una reale alternanza fra il giorno e la notte, in un contesto di fondamentale e perenne semioscurità qual quello in cui si erano ritrovati a essere sotto quelle pesanti nuvole. Cioè: per quanto avrebbero potuto saperne, forse il giorno e la notte si alternavano anche in quel mondo, passando da una semioscurità a un’oscurità totale. Ma nelle prime trenta ore, circa, che trascorsero in quella realtà, nulla di tutto ciò ebbe mai a palesarsi evidente, suggerendo, al più, un’estensione della durata del giorno in termini decisamente superiori a quanto mai avrebbe potuto essere considerato consueto per loro. Comunque, che i giorni fossero di ventiquattro ore o di centoventiquattro ore, a poco avrebbe potuto loro importare, soprattutto nella speranza di non avere a prolungare eccessivamente la propria permanenza in quelle terre maledette. Quanto importante, piuttosto, avrebbe avuto a dover essere per l’appunto riconosciuto quell’alternanza fra le guardie, e quell’alternanza su turni di circa otto ore l’uno.
Otto porte con tre turni di circa otto ore l’uno, suggerivano una presenza di non meno di quarantotto di quei mostri. E durante la loro cauta perlustrazione dell’intero perimetro della fortezza, Be’Wahr e M’Eu ebbero a confrontarsi con la loro tutt’altro che squisita varietà di forme e dimensioni, benché, in effetti, dal punto di vista delle dimensioni, fossero comunque tutti tendenti all’eccesso, in termini tali da rendere persone come Be’Wahr o lo stesso Ma’Vret, generalmente riconoscibili qual ben piazzate, pressoché degli scriccioli a loro confronto. Diverso discorso, altresì, avrebbe avuto a doversi intendere quello delle forme, e di forme che, in effetti, non sembravano voler prevedere particolare omogeneità fra i supposti figli di Desmair, mostrando, piuttosto, un’evidente univocità a distinguere ognuno fra loro: un’univocità comunque accomunata da due caratteristiche comuni fra tutti loro, quali quella sorta di albinismo già riconosciuto nei primi due da loro incontrati, con pelle bianca, capelli chiarissimi e occhi rossi, e la presenza di corna nere. Corna censibili in numeri estremamente variegati, da una a una dozzina, e conformate nelle maniere più originali possibili, e pur sempre corna, grosse corna di colore nero. In effetti, stando alle cronache relative all’incontro fra Midda e Kah, anche il dio padre di Desmair, e, in ciò, nonno di quelle creature, avrebbe avuto a vantare una vivace presenza di corna attorno al proprio capo, ordinate in una sorta di corona: una sorta di caratteristica distintiva, forse e quindi, di quella linea di sangue, e di una linea di sangue che, trovando origine di Kah, e proseguendo in Desmair, aveva raggiunto una certa diffusa estensione in quella nuova generazione.
In effetti, accanto all’albinismo e alle corna, un terzo, inquietante dettaglio avrebbe potuto essere considerato lì presente ad accomunare tutti coloro i quali avevano avuto occasione, sino a quel momento, di contemplare: il loro genere sessuale e un genere sessuale che, al di là dell’originalità anatomica propria di ognuno di essi, avrebbe avuto a doversi riconoscere declinato soltanto al maschile, nella più totale assenza di donne fra quelle schiere. Certo: facile sarebbe stato ipotizzare quanto un’eventuale progenie femminile di Desmair potesse star venendo assegnata ad altro genere di mansioni rispetto a quei turni di guardia fuori dalle mura, e mansioni allor condotte all’interno della fortezza. Ma, ciò non di meno, la totale assenza di donne non poté non essere notata da parte di Be’Wahr e M’Eu, offrendo spazio a non poche domande a tal riguardo. Domande le quali, comunque e per quanto loro concernente, avrebbero anche potuto restare quietamente prive di risposta, là dove, in fondo, la loro priorità non avrebbe avuto a doversi intendere qual quella di comprendere quella società, quanto e piuttosto quella di comprendere come evitare ogni contatto con la stessa, per raggiungere quel dannatissimo quadro all’interno della fortezza e, attraverso di esso, potersi sospingere a tornare al proprio mondo natale, alla propria realtà originale.
Un ritorno a casa, il loro, che avrebbe avuto a doversi considerare auspicabile anche per una ragione squisitamente pragmatica, riconducibile ancora una volta a un discorso di sopravvivenza e, ciò non di meno, non nei termini più ovvi e banali ai quali chiunque avrebbe potuto appellarsi nel confronto con un mondo avvelenato come quello e con il pericolo rappresentato dai figli di Desmair: l’evidenza di quanto, oramai, fossero terminate le loro scorte d’acqua.
Nel vivere la vita di un avventuriero, vita peregrina e sicuramente ricca di emozioni, quello dell’approvvigionamento di cibo e, soprattutto, di acqua, non avrebbe avuto a dover essere frainteso un problema di minor importanza. E se pur l’argomento del cibo avrebbe potuto essere quietamente affrontato razionando le proprie scorte di carne o frutta secca, quello dell’acqua non avrebbe avuto a dover essere banalizzato qual un problema ininfluente, nella difficoltà, comunque, a trasportare seco ingenti quantitativi della stessa a confronto, tuttavia, con una richiesta indubbiamente superiore, e più urgente, rispetto a quella propria del cibo.
Abitualmente, in verità, il problema dell’acqua avrebbe avuto a poter trovare facile possibilità di risoluzione nel confronto con le risorse naturali circostanti, là dove, a meno di non essere finiti nel bel mezzo di un deserto, o della Terra di Nessuno, la disponibilità di pozzi, laghi e corsi d’acqua non sarebbe mai venuta meno. Purtroppo, il contesto proprio del mondo per loro ora circostante, avrebbe avuto a dover essere catalogato esattamente fra gli ambienti problematici, e ambienti nei quali anche ove fosse stata trovata una qualche sorgente d’acqua, difficilmente avrebbe avuto a doversi fraintendere saggio abbeverarsi a essa. E così, proprio malgrado, forse più dei loro antagonisti e certamente più dell’ormai minima riserva di cibo, quanto più avrebbe avuto a gravare sul futuro di Be’Wahr e di M’Eu, avrebbe avuto a doversi riconoscere la questione idrica.
« Non sono bravo in questo genere di calcoli, ma credo che ci restino non più di una dozzina di ore prima di iniziare a subire i primi effetti negativi della disidratazione... » sospirò Be’Wahr, decidendo di affrontare il problema e di affrontarlo come sprone utile a spingerli ad agire, dopo quelle ultime ore di quieta osservazione e studio dei loro antagonisti « ... ergo sarà meglio fare ritorno quanto prima al freddo e al gelo proprio dei monti Rou’Farth, e alla loro gradevolissima riserva d’acqua nella forma di neve e ghiaccio. »
« Concordo. » annuì M’Eu, serio in volto a quella prospettiva « Se è vero che la morte è sempre e comunque morte, credo che ci siano modi migliori per morire rispetto alla morte per sete. »
« Idee utili a evitare lo scontro diretto con i nostri avversari...?! » domandò allora il biondo, anticipando l’interrogativo che temeva avrebbe potuto essergli rivolto, nella più totale assenza di proposte utili a tal riguardo.
« Chiunque siano questi rossi, abbiamo avuto occasione di comprendere come ne siano tutti decisamente ossessionati. » ragionò quindi il figlio di Ebano, cercando di rimettere in ordine le proprie idee e di farlo in condivisione con l’amico, nella speranza che, così facendo, potesse saltare fuori qualcosa di positivo « I desmairiani sorvegliano tutti gli ingressi della fortezza con assoluta attenzione, magari concedendosi a tratti dei battibecchi e dei momenti di confronto, ma mai trascurando il proprio compito. » puntualizzò, con una smorfia che vide le sue labbra conformarsi in una sorta di sorriso tirato verso il basso « Pensare di riuscire ad avvicinarci alle porte senza attrarre la loro attenzione non è possibile... »
« Concordo. » dichiarò Be’Wahr, attento alle parole dell’interlocutore « ... desmairiani?!... » chiese poi, aggrottando appena la fronte a confronto con quel vocabolo decisamente inedito.
« Sì. » si strinse fra le spalle l’altro, con noncuranza « Mi sembra un po’ meglio che definirli semplicemente “quei mostri bianchi con le corna”... » si giustificò, motivando il senso di quel nuovo termine.
« Non è male. » approvò allora il biondo, sorridendo verso di lui « Certamente è più originale rispetto a “ritornati”... » specificò poi, ponendo quel termine a confronto con quello con il quale gli zombie senzienti generati involontariamente da Midda qualche tempo prima avevano deciso di autoproclamarsi « Ogni volta che si parla di loro vado sempre in confusione, non comprendendo di chi stiamo parlando e da dove sia ritornato. » osservò, non privo di autoironia a confronto con i propri limiti in tal senso.
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