11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

mercoledì 5 marzo 2008

055


E
guerra fu.

Dopo il ritorno dei cavalieri fra le proprie fila, due plotoni della Confraternita si distaccarono dagli altri tre, avanzando con passo cadenzato verso gli avversari: essi, per tutta risposta, ripresero a loro volta a procedere verso l’accampamento, mantenendosi ordinatamente disposti come erano stati fino a quel momento. La sproporzione, per quel primo attacco, sarebbe stata quindi inesistente nel confronto fra due fazioni praticamente equivalenti: come Midda aveva previsto nella propria strategia, infatti, la sicurezza dimostrata dalla controparte nei loro confronti risultava tale da considerare quella battaglia come una banale esercitazione.
Meno di cinquanta metri separava i due schieramenti quando iniziarono a sorgere le prime inquietudini nei componenti di entrambe: da un lato, disposti in quattro file verticali su due diverse colonne distaccate da pochi metri, i membri della Confraternita venivano trattenuti a stento dai loro superiori; dal lato opposto, senza una sola parola, la donna guerriero capeggiava i propri compagni mantenendoli su due lunghe righe orizzontali. La scelta compiuta da ella per quel posizionamento apparve del tutto sconclusionata agli avversari, che la ritennero l’ennesima dimostrazione di inferiorità strategica, di mancanza di esperienza rispetto a loro: uno schieramento tanto esposto, infatti, avrebbe accolto con meno resistenza l’imminente attacco, richiedendo maggiori ed inutili sforzi difensivi di fronte alla loro potenza compatta e solida. Le due colonne della Confraternita, approssimandosi ai propri avversari, si riunificarono in una sola grande formazione rettangolare, con coordinazione degna di qualsiasi esercito regolare. Ma mentre il passo di essi si faceva sempre più frenetico nell’entusiasmo dell’imminente attacco, il gruppo di mercenari di Kriarya restava calmo, rallentando, anzi, il proprio avanzare.
Furono lunghi minuti, pieni di tensione al punto da farli apparire intensi come ore intere: era in corso un sottile gioco psicologico fra i due avversari, in attesa che uno o l’altro decidesse di compiere il primo attacco, di versare il primo sangue. Alla fine, però, il desiderio di poter finalmente confrontarsi con un avversario in un combattimento vero e non più in un’ennesima simulazione ebbe il sopravvento nei mercenari della Confraternita: quando solo una decina di metri rimasero a dividere le due fazioni, lanciando un alto grido di battaglia essi si gettarono in avanti, armi in pugno, per investire con l’onda della propria furia i nemici. Midda restò immobile, osservando gli avversari correre proprio verso di lei, lei che era al centro della formazione dei propri uomini, lei che era forse il principale interesse per tutti loro, desiderosi di legare il proprio nome alla notizia della sua uccisione. La donna guerriero non offrì un solo movimento, non un gesto di guardia, socchiudendo appena gli occhi e concentrandosi sull’azione come se l’attacco riguardasse solo lei e quei nemici rosso bardati nei colori della loro organizzazione, come se il resto del mondo avesse cessato di esistere e con esso ogni compagno d’arme attorno a se stessa. Solo quando l’odore aspro del cibo mal digerito fuoriuscente dalle gole dei membri della Confraternita fu chiaramente distinguibile nell’aria di fronte a lei, solo quando le loro armi parvero ormai pronte ad annientarla, la donna guerriero gettò a propria volta un alto grido, lasciando muovere i propri uomini come un membra di un solo essere, del proprio stesso corpo.
La coordinazione di una tattica mai provata prima fu perfettamente posta in essere da un gruppo di mercenari fra loro estranei al punto tale che fra loro riuscivano a distinguersi dagli avversari solo per l’assenza delle caratteristiche vesti scarlatte: aprendosi in due schiere, gli uomini di Kriarya non opposero resistenza al passaggio dei propri nemici, sfruttando anzi l’enfasi di quel tentativo d’offesa contro gli stessi attaccanti in maniera non dissimile da ciò che spesso la donna guerriero compiva nei combattimenti corpo a corpo. Così essi si ritrovarono a circondare su entrambi i lati i membri della Confraternita e questi, allibiti, non poterono fare altro che cercare di organizzare un’estemporanea difesa: le armi saettarono in lampi di metalli lucenti, cozzando contro corazze, scudi ed altre armi, lasciando sprizzare scintille di violenza e sangue di vita nell’aria e sull’erba, in un caos selvaggio e privo di ogni regola al di fuori della più elementare e naturale… la sopravvivenza.

Midda, battendosi con slancio ed determinazione, affrontò i propri avversari con una paradossale e contemporanea fermezza ed agilità, in una danza continua di muscoli e tendini tesi sotto la pelle appena imperlata dal sudore per la presenza a lei scomoda del mantello. Ella era abituata a lottare libera da ogni corazza, libera da ogni manto, sfruttando le proprie risorse fisiche al loro pieno, nel controllo assoluto sul proprio corpo e sulla propria mente: in quel momento, al contrario, uno dei suoi arti non le era concesso e tutto il suo organismo si ritrovava prigioniero di una stoffa inutile e dannosa. Ma, nonostante tutto quello, nonostante solo una mano disarmata le fosse riservata come unica possibilità di offesa e di difesa, ella non si ritrasse per un solo istante dalla mischia, cercando anzi di addentrarsi sempre di più in essa, quasi a voler penetrare il cuore della formazione avversaria come un’arma vivente.
I guerrieri della capitale lottavano al di lei fianco, con vigore e forza, impiegando ogni propria risorsa, ogni stile di combattimento noto, in una varietà eterogenea di menti ed esperienze che si contrapponevano all’omologazione derivata dalla formazione e dall’addestramento a tavolino dei loro avversari. Il principale vantaggio dei mercenari di Kriarya, del resto, era dato dal bagaglio di esperienze, dal carico di sangue e morte che ognuno di essi portava nel proprio animo da epoca più o meno remota: non due fra essi si sarebbero ritrovati a combattere in egual maniera, offrendo ai loro avversari gesti equivalenti, movimenti assimilabili. La formazione di quegli uomini non derivava da una scuola comune, da un addestramento condiviso, ma dalla vita stessa, dal tutti i combattimenti, da tutte le battaglie, da tutte le guerre che prima di quel giorno li avevano visti partecipi. E sfruttando quel loro vantaggio, quel loro punto di forza secondo le indicazioni della donna guerriero, essi non si impegnavano in una sola lotta, non si lasciavano coinvolgere da un solo avversario, muovendosi continuamente, mischiandosi senza tregua al fine di non permettere ad alcun nemico di avere il tempo di elaborare una tecnica difensiva adeguata all’offesa ricevuta.
Ai membri della Confraternita, così, non restò alternativa al di fuori della morte: circondati dai propri antagonisti, in continuo movimento attorno a loro, essi tentarono invano di offrire una difesa o, peggio, un contrattacco, non trovando alcun successo in un senso o nell’altro. La battaglia in cui avevano deciso di impegnarsi, troppo fiduciosi del proprio addestramento, troppo certi delle proprie potenzialità, non vedeva avversari regolari offrirsi loro, in attacchi disciplinati, in azioni riconoscibili, identificabili: ai loro occhi tutto quello era un caos assimilabile ad un’enorme e letale rissa da taverna, senza taverna, senza ubriachi e, purtroppo, senza possibilità di sopravvivenza.

« Vi avevo domandato la resa. Avreste potuto salvarvi, avreste potuto evitare questa carneficina. » sussurrò a denti stretti la donna guerriero, verso un giovane della Confraternita da lei preso in una morsa al collo « Perché non avete voluto ascoltarmi? Perché? »

Ma al di lei avversario non venne offerto il tempo di rispondere a quella domanda retorica, nel momento in cui ella, con violenza, lo slanciò contro i di lui compagni, lasciandolo infilzare dalle loro stesse armi per essere libera di procedere in un nuovo e rapido attacco.

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