11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

domenica 14 aprile 2013

1910


In quegli ultimi anni, in quegli ultimi due decenni e qualcosa di più ancora, la Figlia di Marr’Mahew aveva volutamente evitato di pensare al padre e, più in generale, all’intera Licsia e al proprio passato, alle proprie origini, nel tentativo di difendersi dalla tristezza di quanto accaduto, dai drammi e dalle tragedie in esso intrinseche. Il dolore che aveva sepolto nel profondo del proprio cuore, che aveva dimenticato nei meandri della propria mente, che aveva cercato di soffocare in grazia a un presente sempre straordinario e perennemente affollato di incredibili imprese, era stato da sempre alimentato dalla consapevolezza di essere stata abbandonata dalla propria famiglia qual reazione all’abbandono che ella aveva destinato ai propri cari, lasciandoli soli ad affrontare la pena conseguente alla scomparsa prematura e improvvisa di sua madre.
Tuttavia, tale presupposto, simile considerazione, ella aveva ora tardivamente scoperto essere terribilmente errata, oscenamente sbagliata, come in maniera quasi angosciante ancora era stato dimostrato, evidenziato, sottolineato da quell’ultima asserzione del padre, da quella memoria così rievocata per mezzo di un vecchio pupazzo di pezza che pur, in maniera estremamente pratica, avrebbe potuto essere riconosciuto qual esplicita metafora di quanto occorso loro, della follia da loro vissuta per sola colpa di un’assurda incomprensione. E, in conseguenza a ciò, ella stava maturando tardiva consapevolezza di quanto, purtroppo, il suo dolore non fosse stato il solo… né, probabilmente, il maggiore. Suo padre, il suo amato padre, quell’uomo nel leggere negli occhi del quale delusione e condanna ella aveva perduto ogni ragione utile a difendersi, a sostenere le proprie ragioni innanzi alle accuse di sua sorella Nissa, arrivando a rinunciare per sempre alla propria terra natia; aveva sofferto non di meno rispetto a lei, vittima, proprio malgrado, di una scelta neppur compiuta, neppur maturata, diversamente da quanto, altresì, non avesse avuto sciagurata occasione di riservarsi ella stessa.
Un pensiero straziante, quello in tutto ciò impostole, che, ove possibile, la fece sentire ancor peggio di quanto non si fosse sentita più di vent’anni prima, quando, in lacrime, aveva abbandonato Licsia. Un pensiero straziante, quello, innanzi al quale, però, ella non si volle concedere disperazione, non si volle garantire alcuna possibilità di pianto, dal momento in cui, proprio malgrado, ella avrebbe avuto a riconoscersi non vittima, quanto e peggio carnefice; non sventurata ostia sacrificale sull’ara di un dio empio e ingiusto, quanto e peggio dea empia e ingiusta, che tanta pena, tanta angoscia aveva imposto al proprio genitore in quegli anni, disinteressandosi completamente a lui e, addirittura, impegnandosi a considerarlo già trapassato, per alleggerire la propria stessa coscienza, nel mentre in cui a questi, altresì e purtroppo, di lei nulla era rimasto al di fuori di un’infantile lettera d’addio e di un vecchio pupazzo, un dono da sempre amato e, tuttavia, alfine spiacevolmente rifiutato, rinnegato, rigettato e, suo pari, abbandonato.

« Papà… io… » esitò ella, cercando le parole più adatte per esprimere il proprio rammarico, purtroppo non trovandole e, anzi, ritrovandosi costretta a tacere, per evitare che il proprio insistere su quel pensiero, e sul dolore del padre, potesse tradirla e vederla esplodere in lacrime, lacrime che pur, ella, non meritava in alcun modo di piangere « … io… »

In suo insperato e immeritato soccorso, in quel momento, intervenne lo stesso Nivre il quale si sforzò con tutte le proprie energie di tornare a sorridere, e a sorridere con il proprio sorriso più sincero, più vero, nella volontà di non rovinare quel momento in maniera tanto stolida, in misura tanto sciocca, qual solo avrebbe potuto considerare le nostalgie di un vecchio suo pari. E nel sorriderle, egli la volle allora rassicurare, negando la necessità, da parte sua, di dover esprimere una qualunque, ulteriore sentenza a tal riguardo, nel merito di simile accadimento, del resto, ormai, apparentemente a un passato così lontano nel tempo da rendere semplicemente folle e insensata qualunque ipotesi di argomentazione a tal riguardo, tanto per recriminare sulle scelte compiute, quanto per scusarsi per le medesime.

« Lo so… » commentò egli, pertanto, scuotendo il capo e, in ciò, rifiutando anticipatamente qualunque possibile tentativo della figliuola per invocare una qualunque occasione di perdono, fondamentalmente inutile dal momento in cui, malgrado quanto avvenuto, egli non l’aveva mai ritenuta colpevole di alcunché… non della sua prima fuga, non della sua seconda fuga, né, tantomeno, del suo successivo mancato ritorno a casa, fra le sue braccia « Non c’è bisogno che tu dica altro, bambina mia. Non c’è bisogno che tu ti scusi di nulla. Abbiamo entrambi sofferto per quanto è accaduto… e insistere nel cercare ulteriori ragioni di dispiacere avrebbe a considerarsi soltanto masochistico. »

Ma, seppur grata al padre per tali parole, per simile, immeritata assoluzione; e animata dalla stessa intransigenza che in quegli anni l’aveva spinta lontana da lui e dall’intera Licsia, nel non voler concedere ad alcuno una nuova opportunità per ferirla, per farla nuovamente soffrire quanto già sofferto sino ad allora; Midda Bontor non si volle garantire una tanto semplice opportunità per risolvere la questione, preferendo costringersi ad affrontare l’intero carico delle proprie responsabilità, laddove, in caso contrario, ove non fosse neppure riuscita ad accoglierei il peso delle proprie colpe passate, difficilmente sarebbe riuscita a fronteggiare la prospettiva di quelle future, delle quali, pur, desiderava interloquire, appena possibile, con il suo stesso amato padre, che, ella sperava, sarebbe allora riuscito a essere tanto comprensivo con lei così come lo si era dimostrato essere sino a quel momento.

« Invece c’è bisogno che io ti chieda scusa, papà. » asserì ella, con tono fiero, ora determinato a concludere quell’intervento e a non permettersi alcuna scusante per non offrire voce a tutto quello che avrebbe dovuto dire e che, forse e altrimenti se le cose fossero andate diversamente, non avrebbe mai maturato la forza di dichiarare… non, quantomeno, con la stessa energia che, in tutto quello, sentiva qual propria « Quello che ho fatto, per come l’ho fatto, non merita giustificazioni di sorta. Ho agito da sciocca, non offrendoti neppure il beneficio del dubbio, benché tu fossi mio padre, e considerando la tua reazione qual volta a sostenere la posizione adottata da mia sorella Nissa, nel momento in cui ella decise di avanzare e colpire. E negli anni a seguire, sempre ti considerai qual dalla sua parte, a sostegno delle sue scelte e, in ciò, sempre e soltanto intento a condannarmi per il mio tradimento. » ammise, non potendo evitare un profondo sospiro a contorno di tali parole « Tuttavia, tu mai mi condannasti... e, nell’assurda faida fra le tue sole due figlie, tu ti ritrovasti a essere vittima innocente, l’unico che, realmente privo di qualunque colpa, ebbe a pagare un prezzo assurdo per quelle di entrambe noi. Un prezzo che, purtroppo, ancora oggi continui a essere costretto a tributare nel nome della follia del nostro conflitto fratricida. »

Parole dure, quelle da lei pronunciate, che sarebbero apparse ancora più severe ove solo fosse stata concessa la consapevolezza nel merito di quanto, ancora, avrebbe atteso le due gemelle nel futuro immediato, consapevolezza che, in quel momento, non era ancora stata condivisa con il povero Nivre, il cuore del quale, probabilmente, sarebbe stato infranto con violenza e crudeltà un’altra volta nel confronto con tale idea, con simile proposito; e che pur, già, era propria del buon Be’Sihl, il quale, da interlocutore principale lì ritrovatosi ridotto a semplice testimone, spettatore quasi incorporeo sullo sfondo della scena, non avrebbe potuto evitare, ora, che temere il momento in cui si sarebbe giunti a quel confronto, ad affrontare quel tema in maniera aperta.
Un confronto, in verità, che lo stesso locandiere aveva pocanzi promosso, arrivando quasi a rimproverare la propria amata per la sua titubanza ad affrontarlo, e che pur, innanzi all’evidenza di quanto, comunque, a farne le spese sarebbe stato il padre della stessa, non poté che sentirsi improvvisamente inopportuno per quanto prima affermato con una tanto palese mancanza di tatto, a discapito di qualunque propria consueta premura, caratteristica della quale non aveva mai ricercato vanto e che pur gliene aveva sempre garantito innanzi allo sguardo dei propri interlocutori nonché di terze parti.


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